Lo scorso 23 marzo i maggiori movimenti italiani per l’ambiente hanno manifestato, a Roma, contro le grandi opere inutili. Una battaglia comune, di grande attualità, che continua ad attraversare trasversalmente vertenze e territori. È la lotta per il clima a fare da trait d’union tra cittadini che appartengono a mondi differenti. Vi raccontiamo l’Italia in movimento.
Non è il popolo dei “No”, degli antagonisti violenti o degli anarco-insurrezionalisti quello che ha sfilato per le vie di Roma. È l’Italia fatta da gente che dice sì alle alternative, che sceglie di non chinare la testa. Nel momento storico in cui il mondo si scopre avvelenato, genitori, ragazzi, nonni, gridano, uniti, l’esigenza di cambiare. Anche questo è il popolo dei movimenti.
I PRIMI PASSI DI 23M NEL CONTESTO ITALIANO ED EUROPEO
«Questa è una giornata storica» commenta a caldo uno dei coordinatori del gruppo 23M (il movimento di comitati che ha lanciato la manifestazione del 23 marzo, ndr) già membro della rete StopBiocidio, Raniero Madonna. «Per la prima volta tutti i comitati per l’ambiente e contro le grandi opere inutili si incontrano a Roma per gridare la colpevolezza di questo governo e dei governi precedenti rispetto alla tutela della vita, del territorio e dell’ambiente. Quel che è accaduto in Campania è particolarmente significativo. La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha già aperto un procedimento contro il governo italiano rispetto a questo tema, stabilendo che le istituzioni erano a conoscenza della devastazione ambientale e non sono intervenute a tutela della salute dei cittadini. Con la tappa romana abbiamo rilanciato la lotta per l’ambiente. Se in passato siamo stati accusati di nimbysmo (Not in my back yard, non nel mio giardino, ndr) da chi ci diceva che lottavamo solo per il giardino di casa nostra, oggi ribadiamo di essere a difesa di quel grande giardino che è l’intero pianeta Terra. Il governo deve andare oltre gli accordi di Parigi diminuendo le emissioni.»
Per il momento si sono svolte quattro assemblee nazionali del movimento 23M, di cui l’ultima a Napoli. Il prossimo 6 aprile, tuttavia, i vari referenti si incontreranno a Roma per pianificare le prossime mosse.
«Non siamo un’organizzazione “formale” per così dire,» spiega Madonna. «23M è un movimento aperto dove tutti possono dare il proprio contributo nelle assemblee.» Alla manifestazione di Roma hanno partecipato 625 realtà diverse provenienti da tutta Italia. Tutti, indistintamente, sono stati concordi sulle proposte programmatiche portate in piazza: No alle grandi opere inutili e dannose, No all’inquinamento, difesa dei territori. 23M, per altro, ha già iniziato a emergere nel contesto europeo stringendo contatti con le realtà d’oltralpe. Come quello con il movimento contro le miniere di carbone nel sud della Germania. Ed è proprio qui che alla fine del prossimo mese di giugno si svolgerà un incontro tra 23M e gli attivisti tedeschi. Tutti uniti nella lotta contro l’inquinamento in uno degli angoli d’Europa più esposto, insieme alla Polonia, alle emissioni dannose di anidride carbonica.
FRIDAYS FOR FUTURE VERSO L’ASSEMBLEA NAZIONALE
Poi ci sono loro. I giovani che lo scorso 15 marzo hanno scioperato per portare avanti le ragioni della lotta per il clima sull’onda della giovane attivista svedese Greta Thunberg. Fridays For Future, nato prevalentemente sui canali social e definito dai suoi referenti come un comitato nazionale di transizione, punta alla prossima assemblea nazionale. Un momento che segnerà il passaggio verso la costituzione di un’organizzazione condivisa dalla totalità delle unità locali.
«Il problema climatico non è questione di ideologia, ma di scienza» dice Tommaso Felici, uno dei membri di FFF. «E la scienza è univoca. Alla manifestazione del 15 marzo scorso hanno partecipato ragazzi molto giovani. L’età media era quella liceale. E questo è un dato importante, che non va interpretato nel senso di voler creare una spaccatura col “mondo” degli adulti. Ora però è giunto il momento che i ragazzi, coadiuvati dall’esperienza degli adulti, collaborino insieme per salvare il Pianeta.»
Il percorso di FFF, benché virtuoso, ha già vissuto i suoi primi momenti di difficoltà tutti italiani. Basti considerare che, sui social media, esistono due differenti realtà che dicono di parlare a nome della medesima associazione: ‘Fridays for Future Italy’ e ‘Fridays For Future Italia’. In verità, però, solo la seconda sarebbe espressione del movimento. A quanto ci raccontano la prima, ‘Fridays for Future Italy’, sarebbe utilizzata da una singola persona che si fa pagare persino una quota d’iscrizione. I referenti della seconda, invece, aspettano l’assemblea costituente per stabilire se ci sarà o meno una quota d’iscrizione.
«Nel frattempo non bisogna dimenticare che Fridays For Future è un movimento che parte dal basso,» ribadisce Felici. «Per cui, ogni comitato locale è libero di organizzarsi come meglio desidera, portando avanti le proteste che desidera. L’invito, ovviamente, è quello di protestare ogni venerdì attraverso i presidi, e a uniformarsi alle proteste decise su scala internazionale come quella che sta emergendo per il prossimo 24 Maggio. Il movimento resta il più imparziale e apartitico possibile dando tuttavia la possibilità ai vari coordinamenti locali di partecipare alla rete in maniera più o meno attiva, a seconda delle loro scelte.»
Tommaso Felici, dal canto suo, aprirebbe il dialogo con la politica, portando le istituzioni a doversi confrontare con le ragioni della comunità scientifica internazionale. Ma questo è solo il suo parere. Per le modalità d’azione di FFF, invece, dovremo aspettare l’assemblea nazionale.
«ME IAMAN MARISA»
È stata tra le prime ad arrivare in piazza. È un’anziana signora proveniente dalla Val Susa. Una No Tav. Tra quelle sempre in prima linea per protestare davanti a un cantiere della Torino-Lione. Si chiama Marisa.
«Sono venuta a questa manifestazione nonostante l’età perché qui si fa il nostro futuro, al di là della lotta per il clima. Noi abbiamo bisogno di fare rete. Il nostro movimento è forte, ma sono convinta che sono meglio cento piccoli movimenti sparsi che uno solo alla guida di tutto.»
Marisa è fermamente convinta che, dato il contesto politico attuale, i giovani abbiano bisogno di incontrarsi e unirsi nella lotta. Proprio attraverso la sua personalissima esperienza, Marisa vorrebbe aiutare le nuove generazioni in marcia proteggendole dalle insidie.
«Con queste cose non fai in tempo a muoverti che ti strumentalizzano subito, afferma decisa. Ma tu hai visto come sono piombati addosso a quelli di Fridays For Future? Per fortuna tra loro ci sono ragazzi molto in gamba. Io personalmente nei giovani ho fiducia, è delle istituzioni che non mi fido più. Adesso le istituzioni li incoraggiano. Ma quante altre volte lo hanno fatto con gli altri movimenti e poi nulla è cambiato? So quante realtà hanno fatto una brutta fine.»
In Val Susa, ora come ora, c’è chi tenta di far passare il Tav come un’opera ambientalista. La tregua dei comitati in difesa della valle, però, è solo momentanea. Il commento di Marisa, sul punto, è indicativo. «Il movimento, dice «ha ancora tanto da lavorare».
“SI PARTE DAL SINGOLO…”
Cristina e Luca, invece, sono giovani universitari. Non fanno parte di movimenti ambientalisti ma appoggiano comunque la lotta trasversale contro il cambiamento climatico. Luca, che a casa bacchetta i famigliari affinché adottino comportamenti quotidiani responsabili e sostenibili. Cristina che invece prende coscienza del punto di non ritorno verso cui sembra andare il Pianeta dai confronti con i suoi colleghi d’Università.
«Puoi anche non parlarne, ignorare la questione, dire che non è vero. Ma alla fine lo vedi, lo senti su di te,» dice. «Soprattutto per chi come me vive e frequenta la montagna. Il cambiamento climatico lì è evidente. Posti che frequentavo, aree in cui nevicava in maniera consistente in vari momenti dell’anno, ora sono privi di neve.»
Luca, originario della Liguria, ci racconta invece di come nei luoghi della sua infanzia l’acqua sia diventata una grande questione. Entrambi sono convinti che le cose possono cambiare a partire dai singoli. Anche attraverso i social. Come tenta di fare la “trash challenge”, la novità virtuale che sta spopolando tra i giovani, grazie alla quale i ragazzi si sfidano reciprocamente a ripulire i luoghi pubblici dai rifiuti pubblicando sui canali social le foto del prima e del dopo.
«Partire dal singolo è fondamentale,» arringa Cristina. «Ma l’obiettivo deve essere quello di arrivare alla politica, facendo diventare i singoli un bene comune, una cosa sola. Effettivamente io ho paura. Ho paura anche alla sola idea di fare un figlio per poi farlo vivere in un mondo così, del tutto diverso da quello che io ho conosciuto. Senza una politica globale sui temi dell’inquinamento e del cambiamento climatico, non si va da nessuna parte.»
Luca e Cristina sottolineano poi come il senso delle rivendicazioni della comunità scientifica internazionale venga inficiato dall’azione dei negazionisti e da coloro i quali contestano e criticano le iniziative giovanili a prescindere. Nel loro piccolo, cercano di fare quel che possono.
«Se ciascuno partisse dal fare quel che può, il “proprio piccolo” potrebbe diventare un principio comunitario. E allora, il vero cambiamento sarà già in atto.»
…E SI CONTINUA UNITI DAL BASSO
Tra i presenti, c’è anche chi ha coniugato la causa ambientalista col proprio credo politico. Come Cristian, membro del partito dei Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo (Carc).
«La manifestazione di Roma è un momento importante,» secondo lui «per spingere il Movimento 5 Stelle, al governo, a rispettare le promesse sulle base delle quali è stato eletto. Inoltre, la buona riuscita della marcia può avere ricadute positive in termini di entusiasmo e di fiducia. I comitati ne possono trarre nuova linfa vitale da reinvestire nelle battaglie nei territori.»
Anche la sua Firenze non è immune all’inquinamento. Ci racconta di un’area completamente invasa da pesticidi e fitofarmaci, ritrovati poi anche nelle acque. E del progetto di ampliamento dell’aeroporto di Peretola. Un aeroporto che sorge praticamente a ridosso di un centro densamente abitato e di cui gli abitanti chiedono a viva voce la totale dismissione.
Cristian è fiducioso. «Tanto più si formeranno organizzazioni, consigli di fabbrica, consigli d’istituto, tanto più si coordineranno tra loro e si rafforzeranno con lo scambio d’esperienza, spingendo chi rappresenta il Paese a fare cose che magari non farebbe mai. Anche oggi, i No Tap sono portatori di un’esperienza, i No Tav di un’altra, ma entrambi possono contribuire a ispirare e rafforzare anche movimenti più modesti come quello contro l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola. Alla fine chi sta in alto dovrà rispondere alle istanze portate dalle masse e dalle organizzazioni.»
E SE NON BASTASSE?
Per Lorena, una ragazza di Bologna, «una manifestazione, da sola, non cambierà mai le cose. Ma attraverso questa manifestazione tante idee comuni si raggrupperanno formando un grande pensiero comune, un movimento comune. Questo potrebbe essere il cambiamento.»
Poi ci sono anche loro, le mamme No Tap. «Con il progetto “Mamme da Nord a Sud”,» dice una dei membri del gruppo ‘Mamme No Tap’, Serena Fiorentino «ci stiamo muovendo nel contesto nazionale. Nel Salento le mamme del Nord Italia hanno parlato dell’inquinamento da Pfas, noi invece abbiamo trasportato da loro la nostra esperienza di mamme No Tap.»
Stefano, originario della provincia di Avellino, in Campania, è in piazza perché ritiene che per l’emergenza climatica si stia facendo troppo poco. «Chi difende il clima, difende il territorio,» dichiara. «Questa è una manifestazione bellissima proprio per questo. Sebbene di clima ormai si parli, specie sui media, non si sa ancora bene cosa fare. L’inquinamento non si può vedere, ma esiste. Sono convinto che le cose possano cambiare. E cambieranno quando i movimenti, le nuove generazioni che sono scese in piazza in questi giorni, si faranno politica. Quando si smetterà di delegare e i movimenti incominceranno a rendersi autonomi dettando all’agenda politica le priorità. L’agenda climatica deve diventare un progetto complessivo che non guardi solo all’ambienta ma alla proposta di un nuovo modello di sviluppo. Un po’ come un nuovo ‘Green New Deal’.»
STORIE DI RAGAZZI CHE VOGLIONO CAMBIARE IL MONDO
In marcia c’è anche GianMarco, il volontario di Colli del Toronto che ci ha guidati nel reportage “Cratere Centro Italia”. A dilaniare il suo territorio, oltre al terremoto, ci stanno pensando anche il gasdotto Snam e i progetti di trivellazione che interessano il Piceno.
«In questo momento ci sono partiti che danno la colpa ai poveri, come la Lega, partiti che danno la colpa al pubblico, come il Pd, altri che danno la colpa ai governanti, come il Movimento 5 stelle. Tutti lamentano l’assenza di soldi. Per poi scegliere comunque di investire in queste grandi opere inutili. Inquinano, distruggono, danno soldi alla guerra come con la questione del Muos. Allora, dobbiamo concludere che i soldi ci sono ma vengono spesi in maniera sbagliata. Per arricchire i grandi capitali. Quando invece l’unica grande opera utile sarebbe la messa in sicurezza delle case, delle proprietà private e pubbliche. È per questo che oggi siamo qui,» prosegue. «Perché ci troviamo in uno Stato in cui chi partecipa alle manifestazioni è tacciato di violenza anche se non la commette. A Roma hanno sfilato padri, madri, bambini. Tutti in lotta per un luogo migliore in cui vivere.»
I nuovi ambientalisti, a Roma, si muovono sulle tracce di Greta Thunberg. Una ragazzina di quindici anni che ha saputo far guadagnare terreno alla causa ambientalista. Giorgia, la ragazzina che intervistiamo, è poco più grande di Greta. Con i suoi diciotto anni è entusiasta della marcia romana.
«Qui stiamo facendo la storia,» esclama. «E io voglio farne parte. Voglio che i miei compagni, gli studenti, le giovani generazioni ne facciano parte insieme a me.»
Nella sua scuola il problema ambientale viene affrontato in prima persona dai ragazzi. Che promuovono la raccolta differenziata, la pulizia dei luoghi esterni dai mozziconi di sigaretta, le assemblee ogni venerdì – sulla scia dell’invito di Greta – per manifestare e proporre piccole azioni di sensibilizzazione. Sebbene si sia ancora lontani dalla costituzione di un unico movimento nazionale, per Giorgia ciascuno di noi è chiamato a fare la propria parte.
«Se ognuno di noi abbassasse di un solo grado il riscaldamento di casa, ridurrebbe il proprio impatto di CO2 di 300 kg all’anno. Sono piccoli gesti, ma servono».
Giorgia è molto preparata sui temi relativi all’inquinamento. E, del resto, lei l’inquinamento lo conosce da vicino. Si chiama Pfas. Un composto chimico utilizzato per impermeabilizzare, per cui è sotto inchiesta l’ex fabbrica Miteni, accusata di essere responsabile del più grave inquinamento delle acque italiane scoperto finora.
«Il Pfas è incolore, inodore, insapore,» ci dice. «Io e tanti compagni della mia classe, della mia città, di tutta la mia regione, fortemente inquinata da questo composto, abbiamo problemi alla tiroide, problemi di salute. Questa sostanza è cancerogena, inquinante distruttiva. Ormai ce l’abbiamo nel sangue. Alcuni di noi devono sottoporsi a delle trasfusioni ogni 15 giorni. Le conseguenze di questa sostanza sul lungo periodo, siccome non si conoscono, non sono prevedibili. Forse tra trent’anni non sarà più così, ma per il momento alcuni dei miei compagni devono fare trasfusioni continue. Tutto è partito proprio dalla mia città, Lonigo, in provincia di Vicenza. Da quando hanno scoperto il primo focolaio d’inquinamento non hanno più smesso. E purtroppo in molti casi il Pfas si rivela impossibile da rimuovere.»
Per Giorgia, sensibilizzare su questi temi è fondamentale. La sua è la voce delle nostre coscienze.
«Non sono solo le aziende a inquinare, ma siamo anche noi a inquinarci» conclude. «E se noi non ci rispettiamo, non rispettiamo la nostra casa, il nostro ambiente, la natura, non possiamo aspettarci che la politica lo faccia. Tutti dobbiamo essere un esempio. Le nostre non devono essere solo parole al vento.»