Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Ilva di Taranto, ecco cosa dice l’Anac sulla procedura di alienazione

In attesa che il ministero dello Sviluppo economico renda pubblico il parere dell’Avvocatura dello Stato sull’annosa procedura di alienazione dell’Ilva di Taranto, cerchiamo di ricostruire le valutazioni fornite da Anac con comunicazione del 19 luglio 2018.

Come alcuni ricorderanno, a sollevare numerosi dubbi sulla legittimità della procedura e a sollecitare il ministero dello Sviluppo economico affinché si rivolgesse all’Authority presieduta da Raffaele Cantone era stato il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano.
Lesione della concorrenza per dilazione dei termini di esecuzione del Piano ambientale, rideterminazione unilaterale delle scadenze intermedie di attuazione dello stesso da parte di AM InvestCo Italy ed un ingiustificato diniego dei rilanci richiesti dalla cordata (seconda classificata) AcciaItalia sono sufficienti ad annullare l’aggiudicazione? Attenzione alla prevalenza dell’interesse pubblico e, probabilmente, al termine decadenziale dei diciotto mesi.

LA PROCEDURA DI ALIENAZIONE DI ILVA DI TARANTO
Con una nota del ministro del Sviluppo economico datata 11 luglio 2018, si segnalavano ad Anac «presunte anomalie della procedura di gara per il trasferimento a terzi dei complessi industriali facenti capo alle imprese del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria, chiedendo di esprimersi al fine di poter eventualmente assumere conseguenti provvedimenti.»
Per potersi orientare nella risposta di Raffaele Cantone, è però necessario ricostruire le tappe fondamentali della procedura di alienazione dell’Ilva di Taranto, facendo attenzione al cosiddetto Piano ambientale, ovvero il Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria approvato con decreto del presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014 (così come modificato con successivo decreto del 29 settembre 2017).
Il decreto legge n.191 del 4 dicembre 2015 “Disposizioni urgenti per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA”, con cui era stata dettata la disciplina per la cessione fissava il termine per il completamento del Piano ambientale al 31 dicembre 2016, con la facoltà per il ministero dell’Ambiente di indicare scadenze intermedie (articolo 1, commi 7 e 8). Già in fase di conversione di quel decreto, avvenuta con il n.13 del 1 febbraio 2016, però, il termine in questione veniva posposto al 30 giugno 2017.
Anche nell’Invito a manifestare interesse – prima occasione di contatto con i potenziali offerenti, che avrebbero dovuto esprimersi entro il 10 febbraio 2016 – si specificava che i termini per l’assolvimento di tali obblighi sarebbero stati successivamente definiti «nella fasi di chiusura dell’operazione di trasferimento.»
La previsione, inoltre, faceva salvi anche ulteriori interventi normativi e, già con decreto-legge n.98 del 9 giugno 2016 “Disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del gruppo Ilva”, il processo di adeguamento e modifica del piano è stato articolato in due momenti diversi della procedura.
In prima battuta, successivamente alla presentazione delle offerte iniziali (non vincolanti e da presentarsi entro il 30 giugno 2016), gli offerenti avrebbero potuto proporre modifiche o integrazioni al Piano ambientale; mentre a seguito del parere vincolante del ministero dell’Ambiente, gli offerenti erano ammessi a presentare offerte definitive e vincolati (da presentarsi entro il 6 marzo 2016) conformi al parere fornito dallo stesso ministero dell’Ambiente.
Il secondo momento veniva invece individuato nella fase successiva all’aggiudicazione, nella quale l’aggiudicatario, entro 30 giorni dal decreto di aggiudicazione, veniva ammesso a presentare apposita domanda di autorizzazione dei nuovi interventi e di modifica dello schema di Piano ambientale già allegato all’offerta definitiva.
Al di là di questi due momenti di determinazione dei contenuti del Piano ambientale, il termine ultimo per l’attuazione del Piano stesso, veniva poi ulteriormente dilazionato ben oltre il termine per la presentazione delle offerte iniziali (fissato al 30 giugno 2016):

  • Tra il termine per la presentazione delle manifestazioni di interesse e quello per la presentazione delle offerte iniziali, si prevedeva che l’aggiudicatario potesse chiedere una proroga per l’attuazione fino a 18 mesi (comma 8, decreto legislativo 191/2015);
  • Nel periodo intercorrente tra la presentazione delle offerte iniziali e quello delle offerte definitive, poi, il decreto-legge n.244 del 30 dicembre 2016 (cosiddetto Milleproroghe), il termine per l’attuazione del Piano ambientale veniva posticipato al 30 settembre 2017;
  • Con la conversione in legge del decreto Milleproroghe, infine, il termine veniva definitivamente ancorato alla scadenza dell’autorizzazione integrata ambientale dello stabilimento siderurgico che – a seguito di decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 settembre 2017, di modifica del Piano ambientale stesso – è stata fissata al 23 agosto 2023.

Tirando le fila del discorso, al netto del susseguirsi e sovrapporsi di termini differenti, una questione appare chiara: le modifiche del termine ultimo per l’attuazione del Piano ambientale, quando ormai la platea dei soggetti candidati era già stata ristretta, dapprima con le manifestazioni di interesse (concedendo 18 mesi di proroga a richiesta dell’offerente) e, successivamente, ad offerte iniziali già formulate (spostando il termine al 2023) avrebbe inciso e non poco sulla libertà di concorrenza degli operatori economici.

I PROFILI CRITICI SOLLEVATI DAL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Anche a parere del ministero dello Sviluppo economico, la determinazione di ampliare il margine temporale per l’attuazione degli interventi previsti nel Piano avrebbe dovuto suggerire di riaprire il termine per la presentazione di eventuali offerte da parte di quei soggetti che «avendo una prospettiva temporale ben più ampia, avrebbero potuto valutare diversamente il loro interesse a formulare un’offerta vincolante e l’opportunità di prendere parte alla gara.»
La cordata di imprese risultata aggiudicataria (AM InvestCo Italy, ndr), in ragione dello slittamento del termine finale al 2023, ha poi ritenuto di poter rideterminare anche le scadenze intermedie che – sempre secondo quanto riferito dallo stesso ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio – sarebbero state nel frattempo avallate proprio con decreto del ministero dell’Ambiente. La cordata avrebbe dunque violato le prescrizioni del Dicastero oggi presieduto dal ministro Sergio Costa.
Infine – sempre secondo il ministero di via Vittorio Veneto – nonostante la cordata risultata seconda classificata avesse chiesto di avviare un “procedimento derivato” di rilancio delle offerte, tale possibilità le sarebbe stata ingiustamente preclusa, con conseguente pregiudizio per l’interesse pubblico.

L’INCOMPETENZA DELL’ANAC
Il primo elemento di valutazione da parte dell’Authority di Cantone è proprio la competenza a valutare la questione sottoposta. Il punto è tutt’altro che scontato.
A seguito del decreto-legge n.90/2014, l’attività dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) è riconducibile alla “prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi.”
La procedura di alienazione dell’Ilva, pur regolata da una normativa specifica quale il decreto-legge n.191/2015, è comunque riconducibile alla normativa generale in materia di amministrazione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza (in tal senso opera il richiamo di cui all’articolo 1, comma 2, decreto-legge n.191/2015 all’articolo 4, comma 4-quater del decreto legislativo n.347/2003, provvedimento rubricato “Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza”).
La questione, dunque, non riguarda la prevenzione della corruzione e neanche la trasparenza; estranea, inoltre, è anche alla materia dei contratti pubblici, poiché il trasferimento di complessi aziendali facenti capo ad un soggetto privato non è in alcun modo riconducibile al Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n.50/2016 (neppure nell’ambito dei cosiddetti “contratti esclusi” di cui all’articolo 213): quella che riguarda l’acciaieria di Taranto è una vera e propria trattativa privata, cui la legge attribuisce obiettivi funzionali precisi, tra cui «vi è senz’altro, e primariamente, il conseguimento di un prezzo di cessione quanto più elevato possibile.»
Anac, tuttavia, rileva come la normativa sull’alienazione di Ilva richiami i principi comunitari di parità di trattamento, trasparenza e non discriminazione, principi fondamentali per la contrattualistica pubblica. «Proprio tale considerazione – si conclude – induce a ritenere che, in uno spirito di leale collaborazione istituzionale, l’Autorità possa rispondere alla richiesta di parere espressa da codesto Ministero in una valutazione prettamente giuridica […] senza alcun potere di accertamento specifico o di vigilanza.»

IL RISPETTO DEI PRINCIPI COMUNITARI DI PARITÀ DI TRATTAMENTO, TRASPARENZA E NON DISCRIMINAZIONE
A fronte della segnalazione e della documentazione presentata dal ministero, l’Autorità rileva che la modifica del termine finale di attuazione del piano ambientale oltre il termine di presentazione delle offerte «ha senza dubbio modificato in modo rilevante il quadro economico e fattuale tenuto in considerazione dalle imprese che hanno partecipato alla prima fase della procedura per decidere della prosecuzione della gara. Il periodo più lungo addirittura di sei anni avrebbe potuto spingere più imprese a partecipare alla competizione aumentando il livello di concorrenza e la stessa qualità delle offerte.»
E, anche se si ha a che fare con una trattativa privata, «tali considerazioni avrebbero potuto indurre a valutare motivatamente […] l’opportunità di una riapertura dei termini per consentire alle imprese eventualmente interessate di compiere nuove scelte industriali che avrebbero reso possibile e appetibile la partecipazione alla procedura.»
Anche la condotta di AM InvestCo Italy di rideterminare unilateralmente le scadenze intermedie per l’attuazione del Piano ambientale, in difformità da quanto stabilito dal parere vincolante del ministero dell’Ambiente all’esito della valutazione delle offerte iniziali sarebbe censurabile.
In effetti – spiega Anac – nonostante le varie modifiche apportate al termine finale per l’attuazione del piano ambientale (giugno 2017, settembre 2017 e, infine, agosto 2023), non è mai venuto meno «l’obbligo per l’offerente, in sede di presentazione dell’offerta definitiva vincolante, di accettare tutte le risultanze del parere reso dal Ministero dell’Ambiente e di conformare e aggiornare di conseguenza l’offerta […].»
Per altro, l’articolo 1, comma 8 del decreto legislativo n.191/2015 sanziona chiaramente una simile ipotesi con l’esclusione dalla procedura («sono esclusi dalla procedura gli offerenti che non accettino tutte le risultanze del parere ovvero non conformino o aggiornino di conseguenza l’offerta»). Come mai ArcelorMittal non sia stata esclusa, tuttavia, resta questione nella quale Anac non può e non deve intromettersi: «resta ovviamente nella competenza dell’amministrazione la valutazione, anche nelle speciali forme previste dalla normativa speciale che regola la procedura, della conformità al Piano Ambientale dell’offerta definitiva vincolante presentata dai partecipanti.»
Quanto, infine, alla mancata attivazione di un momento di rilancio delle offerte, si rileva come il documento di Invito alle manifestazioni di interesse da parte degli operatori economici rinviasse ad una cosiddetta “Lettera di Procedura” la regolamentazione delle modalità dell’eventuale espletamento delle fasi di rilancio.
Per di più, nonostante la Lettera di procedura non abbia poi effettivamente regolato l’ipotesi in questione, a fronte dell’espressa richiesta della seconda classificata, la fase dei rilanci «avrebbe dovuto avere luogo ove ritenuta utile – con motivata decisione dei commissari – ad una migliore tutela dell’interesse pubblico e sempre che non ostassero circostanze di fatto o di diritto idonee ad impedirne l’espletamento […].»

L’EVENTUALE ANNULLAMENTO DELLA TRATTATIVA PRIVATA
A fronte delle criticità rilevate, ci si chiede ovviamente se il ministero abbia titolo per annullare il provvedimento col quale il 5 giugno 2017, il ministero dello Sviluppo economico stesso aveva autorizzato la cessione del gruppo Ilva alla cordata AM Investco Italy srl.
La valutazione, dice in sostanza Anac, spetta esclusivamente al ministero stesso. «L’individuazione di eventuali irregolarità – si legge nelle conclusioni della comunicazione – non potrebbe portare di per sé all’adozione di provvedimenti di autotutela», in quanto occorre verificare il ricorrere di tutti i presupposti di cui all’articolo 21-nonies della legge n.241/1990, con particolare riguardo all’esistenza «dell’interesse pubblico specifico all’annullamento, diverso – secondo la costante giurisprudenza amministrativa – dal mero ripristino della legalità.»
In attesa di conoscere quali siano le valutazioni dell’Avvocatura dello Stato, va detto non solo che si impone all’amministrazione di verificare la prevalenza dell’interesse pubblico all’annullamento rispetto a quello dei privati interessati al mantenimento dello stesso, ma anche che l’annullamento – qualora si ritenga che il provvedimento rientri tra quelli di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici – deve comunque intervenire entro «un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi» (articolo 21-nonies, comma 1, legge n.241/1990). Se così fosse, essendo il provvedimento datato 5 giugno 2017, un eventuale annullamento dovrebbe comunque intervenire entro dicembre di quest’anno.

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