Articolo tratto da “Airone Basilicata” del
NOVEMBRE 2000 Supplemento allegato al n.235 di AIRONE
Inchiesta
la Val d’Agri e il petrolio
A Viggiano oggi si producono 9.000 barili al giorno. Tra due
anni saranno 104.000. Una grande risorsa che non trova tutti concordi
Texas e deserto d’Arabia,
Mare del Nord e Alaska. Per i non addetti ai lavori la geografia del petrolio
sembra immutata da sempre. Da quattro anni e mezzo, invece, una piccola parte
del fabbisogno nazionale di “oro nero” viene dalla Basilicata, dalle
montagne della Val d’Agri. Ci sono voluti quindici anni, dal 1981 al 1996, per
passare dalle prime ricerche all’estrazione.
A tutt’oggi sono stati
completati 20 pozzi, e dai 4 già in attività si estraggono circa 9.000 barili
di petrolio al giorno. Tra due anni, quando il Centro Olio di Viggiano lavorerà
a pieno ritmo, si arriverà a produrne 104.000, pari a circa il 6 per cento del
fabbisogno nazionale.
Quando si parla di petrolio
occorre avere una prospettiva globale. “Nei giacimenti della Basilicata hanno
quote di partecipazione anche i francesi della Total-Fina-Elf, gli americani
della Exxon-Mobil e i britannici della Enterprise Oil”, spiega Gianfranco
Amici, l'ingegnere dell’Eni (Ente nazionale idrocarburi) responsabile delle
attività estrattive in Val d’Agri. “Oggi nei rapporti con la Regione e i
Comuni rappresentiamo pure i partner stranieri. Per la ricerca esplorativa
abbiamo speso, noi soli, più di 1.500 miliardi”.
Ma anche la prospettiva locale
è importante. Visto su una scala pianetaria, il petrolio della Val d’Agri non
costituisce un ritrovamento straordinario. Nella regione più piccola (600.000
abitanti) del Mezzogiorno c’è però chi lo ritiene un vero e proprio
miracolo. O la terza tappa di un unico prodigio economico - le prime due essendo
la Fiat di Melfi e l’industria dei divani di Matera - che consentirà a questa
terra di uscire da un'arretratezza secolare.
“Quando si parla di petrolio,
si rischia un'euforia eccessiva”, mette in guardia Filippo Bubbico, presidente
della Regione Basilicata dallo scorso aprile. Nella legislatura precedente era
assessore all’Ambiente ed è stato il protagonista della trattativa con
l’Eni. Gli elettori, evidentemente, hanno apprezzato ciò che ha fatto. E
puntualizza: “La prima richiesta da parte dell'opinione pubblica è stata di
abbassare il prezzo della benzina. Abbiamo risposto di no, poi ci siamo
impegnati in due anni di trattative. Il protocollo tra la Regione e l’Eni,
firmato nel novembre 1998, è un esempio di federalismo in azione. Avevamo la
possibilità di negoziare e lo abbiamo fatto, ottenendo dei risultati".
Nei vent’anni di vita del
giacimento, la Basilicata dovrebbe incassare sotto forma di royalties tra i
1.500 e i 2.000 miliardi: una cifra che il decollo del prezzo del greggio
potrebbe far ulteriormente aumentare e che verrà suddivisa tra la Regione e i
29 Comuni interessati dai giacimenti.
Oltre all’investimento
finanziario, l’Eni si è impegnata a creare una rete di monitoraggio
ambientale, a investire nella formazione professionale, a finanziare la
metanizzazione della regione. E a pagare rimboschimenti e altri interventi di
ripristino ambientale del territorio una volta che i pozzi si saranno esauriti.
Sono state, inoltre, concordate con la Soprintendenza ai Beni Archeologici le
modalità per il recupero di eventuali reperti che dovessero essere portati alla
luce dagli scavi per la presa delle condotte.
Di fronte a ciò, la Val
d’Agri ha sicuramente pagato un prezzo. Il Centro Olio oggi in funzione è
sorto nel fondovalle, nel territorio di Viggiano. Accanto a esso sta crescendo
una struttura più grande che entrerà in attività, in tre tappe, fra la metà
del 2001 e la fine del 2002. Circa 200 chilometri di condutture collegheranno i
42 pozzi al Centro Olio. Un oleodotto di 136 chilometri porterà il greggio
dalla Basilicata alle raffinerie e al porto di Taranto. Chi finora è rimasto ai
margini vuole far parte dell’affare. “Il petrolio è la nostra risorsa più
importante. Vogliamo che anche il nostro Centro Olio entri in funzione al più
presto”, spiega Rosaria Vicino, sindaco di Corleto Perticara, il paese della
Valle del Sauro dov’è stato individuato il nuovo giacimento di Tempa Rossa.
Secondo altri,
però, la corsa al petrolio è stata una iattura per questa terra. “La
scoperta dell’oro nero ha bloccato l’iter istitutivo del Parco nazionale
della Val d’Agri”, ricorda Albano Garramone, presidente del Wwf Basilicata.
“Quattro autobotti piene di greggio si sono rovesciate causando gravi danni
all’ambiente. L’intera Val d’Agri è a rischio sismico. Vari pozzi sono
stati aperti in aree Sic (Siti di importanza comunitaria) di cui l’Unione
Europea impone all'Italia la tutela”, aggiunge Luigi Agresti, segretario
dell’associazione. “Il petrolio, probabilmente, c’è anche nel Parco
nazionale del Pollino”, accusa Antonio Bavusi, rappresentante degli
ambientalisti nel consiglio dell’Ente Parco. “Lì però il parco ha impedito
ogni ricerca e il Tar ha approvato. Lo stesso dovrebbe avvenire in Val d’Agri,
che è un Parco nazionale ancora in via d’istituzione”.
Visitando il cantiere del nuovo
Centro Olio, le cose appaiono in una prospettiva diversa. Dei 1.200 operai
impegnati nei lavori, un terzo proviene dai 29 Comuni della Val d’Agri.
“Centinaia di persone imparano come si lavora in un cantiere moderno, ad alta
tecnologia e in sicurezza. Per il Sud questa e un’occasione straordinaria”,
dice Carlo Femiani, responsabile del cantiere. Il quale non ha dubbi nemmeno sui
rischi connessi all’estrazione. “L’Eni lavora da anni in Paesi a rischio
sismico, come l’Iran, e tutti gli impianti sono in grado di resistere ai
terremoti. Il trasporto con le autobotti verrà progressivamente eliminato
quando l’impianto entrerà a regime. Nel Centro Olio e nei pozzi, sistemi
automatici bloccheranno ogni attività in caso di problemi".
A guardarlo da Viggiano, il
Centro Olio appare al profano come un mostro un po’ troppo vicino. Vittorio
Prinzi, sindaco in carica fin dalla scoperta del petrolio, distribuisce parole
di saggezza. “È vero, a volte arriva un po’ di puzza: ma le vecchie
fabbriche di concimi puzzavano molto di più. Certo, quando il cantiere sarà
completato tanti posti di lavoro svaniranno: ma l’energia a buon mercato ci
consentirà di far insediare in Val d’Agri altre industrie. Vogliamo che il
Parco nasca, ma sappiamo che non potrà produrre posti di lavoro sufficienti.
Quanto ai rischi per l’ambiente, ci sembra che gli strumenti per controllarli
esistano”.
Federalismo, sviluppo
compatibile, formazione. In un mondo che ha ancora sete di petrolio (e in
un’Italia un po’ troppo innamorata degli slogan), il petrolio della Val
d’Agri può essere una risorsa, e una bella lezione di concretezza.