Come una tregua forzata, l’estate è intervenuta a rallentare la corsa del Parlamento italiano alla ratifica del Ceta (Comprehensive economie and trade agreement), il trattato di libero scambio tra Canada e Unione europea. Un “cessate il fuoco” strappato dalle organizzazioni della società civile con intense pressioni su deputati e senatori. Dopo l’entrata in vigore provvisoria del 21 settembre, il Senato ha rinviato a data da destinarsi la ratifica del trattato.
I promotori del Ceta stanno raccogliendo le forze per un nuovo assalto da lanciare entro novembre. L’autunno, infatti, rappresenta l’ultima finestra utile per inserire il trattato Canada-Ue all’ordine del giorno, almeno in Senato, dove a luglio è stato bloccato in extremis con una sollevazione popolare e due mobilitazioni a Roma. Una mezza sconfitta per il governo che, con la benedizione del presidente della Repubblica, sperava di ottenere subito la ratifica del trattato commerciale almeno in uno dei due rami del Parlamento. Decisione che non è ancora arrivata nemmeno nel mese di settembre. Il Senato, infatti, ha posticipato a data da destinarsi l’approvazione del Ceta.
Solo Lettonia, Danimarca e Spagna hanno completato l’iter di un accordo approvato a febbraio al Parlamento europeo. Francia e Germania, invece, stanno prendendo tempo: il premier francese Emmanuel Macron ha dovuto affidare ad un gruppo di esperti la valutazione di sostenibilità dell’accordo, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel non ha alcuna intenzione di forzare la mano su un argomento tanto controverso con le elezioni alle porte.
L’ITALIA HA PROVATO L’ACCELERAZIONE
A questo punto la testa sul ceppo del libero scambio ha deciso di metterla l’Italia, per dare al Canada un segnale della buona volontà dell’Unione europea di portare a termine quanto prima l’accordo. Per ora il tentativo non è riuscito: una coalizione di oltre 200 organizzazioni – la Campagna Stop TTIP Italia – insieme a Cgil e Coldiretti è riuscita a spaccare il fronte dei favorevoli, che coincide con la maggioranza parlamentare. Per non rischiare un voto troppo incerto il Senato ha deciso di fermare tutto e far passare l’estate. Il Ceta, comunque, dovrebbe entrare in vigore in applicazione provvisoria il 21 settembre: ciò significa che verranno implementati solo quei capitoli di competenza esclusiva dell’Europa. Il 98 per cento delle linee tariffarie cadrà (oggi solo il 25 per cento è duty free), mentre su altri punti chiave, di competenza concorrente tra Ue e Stati membri, bisognerà aspettare tutte le ratifiche nazionali.
IL CASO DELLA CORTE PER GLI INVESTIMENTI (ICS)
Quello della Corte per gli investimenti è un caso opaco. Alla ICS possono adire le imprese estere quando ritengono ingiuste le misure varate da uno Stato. Il sistema interferisce pesantemente con i sistemi giuridici nazionali, permettendo agli investitori esteri di aggirarli e ricorrere direttamente alla ICS, inoltrando richieste di compensazioni virtualmente illimitate.
Dato l’impatto democratico di un simile dispositivo, sarà necessario l’avallo dei parlamenti nazionali per renderlo effettivo. Dato l’utilizzo pretestuoso di meccanismi di arbitrato simili all’ICS negli ultimi 20 anni, l’opinione pubblica in Europa è fortemente critica rispetto al loro inserimento negli accordi di libero scambio. La scarsa trasparenza e i conclamati conflitti di interessi dei giudici, insieme allo sbilanciamento del sistema (gli Stati possono comparire solo come imputati), rappresentano motivo di preoccupazione circa l’equità delle sentenze. Se il reddito del giudice dipende dal numero di cause che dirime, e se queste cause possono essere intentate soltanto dal privato, non è dietrologico notare che vi sono tutti i presupposti affinché le aziende ottengano un trattamento di favore. Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha sempre minimizzato la portata di questi rischi, sostenendo che dal Ceta l’Italia e l’Europa avranno grandi benefici. Concorda con lui il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, sebbene buona parte degli agricoltori italiani siano sulle barricate. La spietatezza della matematica non aiuta i promotori del trattato: le stime della Commissione europea calcolano un aumento del Prodotto interno lordo grazie al Ceta pari allo 0,1 per cento in otto-dieci anni. Un dato che parla da solo.
Ricerche indipendenti, che utilizzano il modello macroeconomico adottato dall’Onu, giungono a conclusioni ancora più preoccupanti: profetizzano la perdita di 200 mila posti di lavoro in Europa (42 mila in Italia), con un aumento della compressione dei salari. Le piccole e medie imprese, agricole e non – che secondo i promotori dovrebbero aumentare le esportazioni grazie all’accordo con il Canada – per il momento non esistono: solo 13 mila imprese italiane su 4,2 milioni vendono oggi le loro merci oltreoceano, e le cifre presentate poco sopra, non sembrano delineare un futuro roseo per le piccole e medie imprese italiane, già in difficoltà per la concorrenza di aziende europee che operano nel mercato unico. In pochi hanno una gittata in grado di superare l’oceano, e l’avevano anche prima del Ceta.
LE QUOTE DI IMPORTAZIONE DEL GRANO
Il trattato ridefinisce anche le quote di importazione per alcune commodities, come il grano. Le 38 mila tonnellate annue che arrivano in Ue a dazio zero diventeranno 100 mila, con un potenziale tracollo dei produttori del Sud Italia. Sulla salubrità del grano canadese, inoltre, sono state sollevate critiche, vista la diffusione di una pratica proibita nel vecchio continente come il trattamento con glifosato in pre-raccolta per accelerare l’asciugatura delle spighe.
Di fronte all’aumento della concorrenza di prodotti canadesi a basso costo e di bassa qualità, l’Ue non ha negoziato protezioni sufficienti: solo 173 indicazioni geografiche su circa 1.500 sono state inserite nell’accordo. L’Italia, che ne conta quasi 300, ha ottenuto tutela dalle copie canadesi solo per 41 di esse. Ma il Ceta è un argine piuttosto debole, perché consente ai produttori che già commercializzavano marchi italian sounding prima del 2013 di continuare a farlo indisturbati.
OGM E PESTICIDI
La stessa scarsa cautela si riscontra nel capitolo dell’accordo che contiene le disposizioni per la sostanziale equivalenza delle misure sanitarie e fitosanitarie, cioè, a voler sintetizzare, Organismi geneticamente modificati e pesticidi. Stando al Ceta, un prodotto potrà evitare di essere ricontrollato nel paese di destinazione se verrà dimostrata la sostanziale equivalenza con quelli commercializzati dalla controparte. Ma tale equivalenza deve essere valutato in base a criteri e linee guida che “verranno definiti in un secondo momento“, come si legge all’allegato 5D. Da chi e in che modo non è dato sapere. Un fatto che mina decisamente il principio di tolleranza zero in vigore nell’Ue sulle importazioni di Ogm per il consumo umano.
LA LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI
Con il Ceta si apre anche un nuovo fronte di liberalizzazione su scala internazionale dei servizi pubblici, perché quello tra Ue e Canada è il primo accordo in cui prevale l’approccio del cosiddetto “elenco negativo“: tutti i servizi, se non esplicitamente esclusi dai governi, saranno da considerarsi aperti a gara. Le esclusioni negoziate dall’Ue all’interno del Ceta, ad esempio, non tutelano completamente il servizio idrico.
QUALI SONO I BENEFICI DEL CETA? MA, SOPRATTUTTO, SARANNO MAI IN GRADO DI COMPENSARE I RISCHI?
Nonostante i promotori del trattato sostengano che non esista un partner migliore del Canada, è opportuno andare a fondo del testo. Il Paese nordamericano è stato oggetto di una recente ispezione dell’Onu per il mancato rispetto dei diritti dei popoli nativi a seguito delle operazioni minerarie. Inoltre, è ben lontano dai suoi obiettivi sul clima e non ha ancora ratificato le convenzioni numero 98 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) sul diritto di contrattazione collettiva, numero 138 sull’età minima per l’assunzione all’impiego e numero 155 su salute e sicurezza dei lavoratori.