Uno studio del Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi della Basilicata ha rilevato tracce di idrocarburi nel miele prodotto a Corleto Perticara e in Val d’Agri dove l’attività di estrazione del petrolio da parte di Eni procede senza sosta, dopo che lo scorso anno il Centro olio di Viggiano ha ottenuto tutte le autorizzazioni per la messa in funzione della quarta linea.
La produzione di miele in Basilicata – che conti alla mano rappresenterebbe attività di tutto rispetto, con importanti valori economici – potrebbe essere a rischio a causa dell’intensa attività petrolifera che sta devastando alcuni degli angoli più belli ed incontaminati della regione. A lanciare l’allarme è uno studio condotto dal Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi della Basilicata – a quanto pare mai pubblicizzato – risalente al dicembre dell’anno scorso. È passato quasi un anno e sulla stampa locale non se ne parla.
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, invece, lo studio è molto noto perché pubblicato sull’International journal of food science and technology. [Analysis of volatile organic compounds in honey from Basilicata. Evidence for the presence of pollutants from anthropogenic activities (Giovanni Bentivenga, Maurizio D’Auria, Pietro Fedeli, Giacomo Mauriello, Rocco Racioppi)]
Gli studiosi italiani che hanno lavorato a quello che loro stessi dicono essere «il primo report che utilizza l’analisi del miele per monitorare l’inquinamento ambientale causato dall’estrazione di petrolio», suggeriscono – traducendo letteralmente dall’articolo originale – che «il miele può essere considerato come un segno tangibile dell’inquinamento ambientale. Infatti, sia la presenza di inquinamento antropico nell’area dove vivono le api o una perdita accidentale di petrolio dagli impianti di estrazione potrebbe spiegare la presenza di idrocarburi nel miele.»
Le api e il miele sono sempre stati considerati indispensabili indicatori biologici ambientali della salubrità dei prodotti del territorio, in tutto il mondo, ed anche dei cambiamenti climatici.
Il Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi della Basilicata dopo aver analizzato alcune sostanze organiche del miele lucano è giunto alla conclusione che la presenza di agenti inquinanti da attività antropiche sono evidenti.
«L’uso del miele è stato proposto per determinare la presenza di sostanze inquinanti come il benzopirene», spiegano gli autori che, nello studio, hanno riportato l’identificazione dei sapori dei componenti presenti nei campioni di miele delle zone di Corleto Perticara (13 campioni di miele). I In Val d’Agri, invece, i campioni analizzati sono 6 stati sei. «In quest’area c’è un’intensa attività di estrazione e volevamo indagare se questa attività determina la presenza di componenti antropogenici nel miele. […] Più di 400 componenti sono stati identificati e descritti come volatili nelle differenti varietà di miele. Ad ogni modo, si crede che numerosi altri componenti volatili saranno identificati nel futuro, perché ci sono altre varietà di miele che non sono ancora state studiate.»
Dal Dipartimento di Chimica evidenziano che «in tutti i campioni è stato trovato un componente mai trovato prima nel miele (2-Ethyl-3-hydroxyhexyl 2-methylpropanoate). […] La presenza di Componenti organici volatili è degna di nota. Inoltre, abbiamo trovato altri idrocarburi aromatici in un numero minore di campioni. La presenza di questi idrocarburi rappresenta l’indicazione di un possibile problema ambientale. Questo tipo di componente è comunemente usato come un segnale di inquinamento nell’acqua.»
Ma sono andati oltre, testando «anche la possibilità di verificare se questo tipo di idrocarburi potrebbero essere presenti nella cera. Alcuni idrocarburi sono stati rintracciati ma non rilevati. […] Non ci sono attività industriali nella terra dove i campioni sono stati raccolti; è una regione rurale dove un piccolo paese (Corleto Perticara, ndr) è servito da uno stabilimento di trattamento delle acque industriali e questo stabilimento potrebbe essere all’origine della presenza di idrocarburi nel miele. Probabilmente la formazione di particelle nell’aria contenenti questi componenti potrebbe portarli a depositarsi sui fiori intorno allo stabilimento. Abbiamo anche analizzato sei campioni di miele proveniente dalla Val d’Agri. Questa regione è caratterizzata dalla presenza di numerosi siti estrattivi di petrolio. I campioni che abbiamo analizzato sono quelli di una azienda agricola vicino uno stabilimento per il primo trattamento del petrolio.»
Analisi che dovrebbero far riflettere chi, ormai da molti anni, propina lo sviluppo e lo sfruttamento del petrolio in Basilicata come essenziale, vitale e rispettoso dei caratteri fondanti di una terra sostanzialmente a vocazione agricola, da difendere e da tutelare, come la produzione del miele.
Anche perché i numeri non mentono. In Basilicata si producono quasi 4 quintali e mezzo di miele da circa 44 mila alveari gestiti da 476 aziende tra quelle iscritte all’albo regionale, divisi in 14 diverse varietà tra cui miele di acacia, di agrumi, di castagno. Chi produce miele o chi ha intenzione di sviluppare nuove produzioni – sono più di 200 gli imprenditori rientranti in queste categorie – forse non conosce il report dell’Università della Basilicata, che invece fa molto riflettere.
Conosce però l’importanza di far ottenere al miele lucano l’Indicazione geografica protetta (Igp), grazie ad un percorso di certificazione già avviato.
La Basilicata è all’undicesimo posto in Italia per produzione di miele, prima della Puglia, della Liguria e del Friuli Venezia Giulia. Lo dice l’Osservatorio della produzione del mercato del miele nazionale che ci ha fornito i dati del 2004.