Lo sfruttamento del giacimento petrolifero “Tempa Rossa”, in Basilicata, potrebbe essere ad un punto di svolta logistico e politico. Lo stallo sulle autorizzazioni per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio dal porto di Taranto spinge la Total a trovare una soluzione alternativa: far viaggiare 170 autobotti al giorno dall’entroterra lucano fino alle porte della Capitale, forse solo per fare pressing su Taranto.
Da quale porto salperà il greggio estratto dal secondo grande giacimento di greggio della Basilicata? Da Taranto o da Fiumicino? E con quale destinazione? Ad oggi è difficile prevederlo. Una cosa è certa: la multinazionale francese deve risolvere al più presto l’impasse che imbriglia uno dei più grandi progetti petroliferi degli ultimi anni. Tanto che già nel 2001 il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) inserisce Tempa Rossa nell’elenco delle opere strategiche a livello nazionale.
All’epoca, il nodo della questione, o meglio lo snodo, era (ed è ancora) tutto in Puglia. Precisamente nell’area che ospita la raffineria Eni di Taranto, dove dovrebbe arrivare – tramite l’oleodotto già esistente Viggiano-Taranto – il greggio estratto in Basilicata dalla concessione Gorgoglione e trattato nel costruendo Centro olio di Corleto Perticara. Dopodiché stoccato e spedito via mare per la successiva raffinazione. Ma nella città dei due mari la Total, e le istituzioni favorevoli, non hanno fatto bene i conti con l’opposizione di cittadini ed associazioni, che stanno bloccando anche i lavori di adeguamento del porto, necessari per consentire l’aumento del traffico delle petroliere.
Le inchieste della magistratura e il rischio di incidente rilevante
Negli ultimi tempi, su Tempa Rossa, alla Total le cose non sono andate per niente bene. Ad aumentare le tensioni, il coinvolgimento nell’inchiesta del marzo 2016 della Procura di Potenza su petrolio lucano, appalti e politica, con il coinvolgimento dell’ex ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, che secondo gli inquirenti avrebbe agevolato l’inserimento di un emendamento alla legge di Stabilità “che avrebbe agevolato l’iter autorizzativo necessario alla completa realizzazione del progetto Tempa Rossa.” A gennaio, per la Guidi, è arrivata la richiesta di archiviazione da parte della Procura di Roma.
Allo stato attuale, dal versante tarantino, il progetto è fermo in relazione alla direttiva Seveso, in quanto rientra nel campo di applicazione della normativa sui rischi di incidente rilevante.
“Per questo motivo – spiega Daniela Spera del comitato Legamjonici, che sta avendo un ruolo determinante, di presidio, in tutta la vicenda – è previsto che il gestore debba presentare il Rapporto di Sicurezza definitivo almeno sei mesi prima dell’avvio dei lavori di costruzione ma, dopo aver contattato il Comitato Tecnico Regionale, che si occupa dell’applicazione della normativa, abbiamo constatato che l’Eni, che gestisce le autorizzazioni relative alle infrastrutture sul versante Taranto, non ha ancora presentato il rapporto.”
E il governatore pugliese Michele Emiliano come la pensa? “Non risulta – continua Daniela Spera – che la Regione Puglia abbia messo in campo azioni concrete contro il progetto Tempa Rossa non essendo pervenuto alcun documento al ministero dello Sviluppo economico che ha richiesto l’intesa con la Regione interessata. In questo modo si lascia ogni decisione in merito nelle mani del Consiglio dei ministri. Inoltre sul progetto vigila anche la Commissione europea proprio in seguito alla petizione che come comitato Legamjonici abbiamo presentato nel 2011. Da questa data, ad oggi, abbiamo costantemente informato la Commissione sullo stato di avanzamento del progetto e sui rischi connessi.”
Tutte le strade portano a Roma?
Se dal fronte pugliese la situazione non dovesse sbloccarsi, la Total rinuncia ad estrarre dalle viscere della Basilicata 50 mila barili di greggio al giorno? Nemmeno per sogno. Così è scattato il Piano B. Il primo agosto è stata avviata, da parte del ministero dell’Ambiente, la procedura di verifica di assoggettabilità a Valutazione d’impatto ambientale presentata da Raffineria di Roma spa, che prevede di realizzare “modifiche impiantistiche presso il deposito di Pantano di Grano per l’implementazione di un sistema di ricezione, stoccaggio ed esportazione del greggio estratto dai giacimenti Tempa Rossa.” Nello specifico, come è possibile leggere nei documenti di sintesi, si “prevede la possibilità di garantire il transito settimanale di circa 22.950 metri cubi di greggio provenienti dal centro trattamento oli di Corleto di Perticara in Basilicata. Il trasferimento del greggio avverrà tramite autobotti e isocontainers, per un numero stimato massimo giornaliero di 170 mezzi aventi capacità di 30 metri cubi, che saranno caricati a 27 metri cubi. Dal deposito di Pantano di Grano, il greggio sarà quindi inviato, attraverso il reparto costiero di Fiumicino su nave a mezzo delle infrastrutture esistenti.”
Vincoli e svincoli
Sembra essere ritornati alla metà degli anni Ottanta quando, sempre in Basilicata, i sindaci e gli amministratori locali hanno scambiato le autorizzazioni e gli accordi di programma con un po’ di infrastrutture, necessarie per trasportare il greggio estratto da Eni, dalla concessione Val d’Agri, da Viggiano a Taranto, prima dell’entrata in funzione dell’oleodotto. Lo stesso sta avvenendo ora, accompagnato dal battage cultural-turistico. Far attraversare le impervie strade della valle del Sauro da 170 autobotti cariche di petrolio è rischioso. In passato, decine sono stati gli incidenti. Serve adeguare le infrastrutture: ottima chiave di volta per delineare il consenso in sede locale. Insomma, comunque vada, e qualunque sia il percorso che le autobotti Total percorreranno (verso Roma o verso Taranto) servono grandi opere. Ad esempio, come quelle affidate alla Grandi Lavori Fincosit spa, che ha in mano due mega appalti. Il primo, direzione sud, prevede l’adeguamento del porto di Taranto; il secondo, direzione nord, prevede l’ammodernamento e l’adeguamento del terzo macro-lotto della Salerno-Reggio Calabria, partendo dallo svincolo di Lauria Nord.
La raffineria di Roma e il porto di Fiumicino
La raffineria di Roma, controllata al cento per cento da TotalErg, ha cessato le attività nel 2012. Prima della chiusura aveva una capacità di lavorazione di 4,3 milioni di tonnellate di greggio all’anno. L’anno successivo, nel mese di luglio, con l’emanazione del decreto interministeriale n.17375 del 4 luglio 2013 (ministero dello Sviluppo economico) si è formalmente concluso il percorso autorizzativo per lo smantellamento degli impianti di lavorazione del greggio, collegato al progetto di trasformazione del sito produttivo in un importante polo logistico. Che ottiene, a dicembre del 2016, l’Autorizzazione unica ambientale, con determinazione dirigenziale emanata dalla Città metropolitana di Roma Capitale.
Autorizzazioni ambientali pervenute parallelamente al contenzioso, di natura economica, in atto tra Total e Autorità portuale circa l’aumento delle tariffe applicate sull’attracco delle petroliere. Ai francesi, dopo corsi e ricorsi, dovrebbero andare sei milioni di euro di risarcimento.
La chiusura della raffineria di Roma ha causato problemi a circa 300 famiglie e a tutto l’indotto.
Problemi occupazionali ed ambientali. La raffineria di Roma si estende su un’area di 97 ettari a ovest della Capitale, tra l’Aurelia, il Grande Raccordo Anulare e la Roma Civitavecchia. “La raffineria di Roma – documenta l’Atlante italiano dei conflitti ambientali – completa il disastroso quadro sanitario dell’area di Malagrotta. […] Nel contempo, all’interno del dibattito pubblico, si è ricominciato a parlare anche della pericolosità del sito contro il quale, per lungo tempo, gli ambientalisti e i movimenti civici avevano dato battaglia. […] È per questo motivo che a partire dagli anni Novanta furono incoraggiati diversi studi epidemiologici – che tuttora continuano ad essere effettuati con cadenza periodica – vista la presenza nella stessa area di diversi impianti industriali e il conseguente aumento della preoccupazione dei residenti riguardo i possibili rischi per la loro salute. I risultati delle indagini (i più recenti sono datati aprile 2013) hanno dimostrato che ci sono stati eccessi di mortalità per varie tipologie tumorali – tra le quali spiccano quelle ai polmoni e alla vescica oltre che decessi causati da tumori celebrali e mieloma multiplo – tra i lavoratori della raffineria che si sono succeduti negli anni.”
Il ministro e l’intermediazione per il progetto Tempa Rossa a Taranto
Il presidente della Giunta regionale pugliese, Michele Emiliano – dopo aver proposto e visto snobbare dai governi Renzi e Gentiloni la decarbonizzazione dell’Ilva e lo spostamento di Tap da San Foca di Melendugno a Brindisi – si accontenterà delle royalty per Taranto – che i cittadini ionici non vogliono – in cambio del peggioramento delle condizioni ambientali e della salute, già al limite della vivibilità? Dai piani alti del ministero dello Sviluppo Economico sembrano puntare il dito proprio contro il governatore pugliese, reo di bloccare gli investimenti francesi in Italia che – nel corso della visita dell’ambasciatore d’Oltralpe in Italia – si sono dichiarati pronti ad avviare le attività già dal 2018. Tanto che a luglio, a Roma, ci sarebbe stato un incontro tra il ministro Carlo Calenda e il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, investito del ruolo di intermediazione proprio con Emiliano. Per l’uno e per l’altro la questione ruota ancora una volta attorno alle compensazioni. C’è chi chiede più royalty e chi, invece, rischia di vedersi posticipati gli incassi.
Ma la Total non molla Taranto
Il pressing istituzionale ed il contesto impongono di seguire la via delle petroliere del mare, e quella delle autocisterne via terra. Obiettivo è la destinazione del molo di Taranto dove la Grandi Lavori Fincosit spa ha in mano il progetto della “costruzione a regola d’arte dell’ampliamento delle strutture del terminale petrolifero sito nel Mar Grande di Taranto”, finalizzato all’adeguamento della “logistica stoccaggio movimentazione greggio destinato all’esportazione”. Grazie alla legge Obiettivo si prevede l’adeguamento del molo per l’attracco di almeno 90 petroliere per l’esportazione del greggio proveniente dalla Basilicata verso raffinerie non meglio indicate. Forse Augusta? Località apparsa nelle carte dell’inchiesta della Procura di Potenza.
Restano comunque altri dubbi, anche dal punto di vista tecnico, sull’effettivo utilizzo dell’oleodotto Viggiano-Taranto per il greggio di Tempa Rossa. In attesa che Emiliano si decida, i bisonti del petrolio utilizzeranno la rotta per il molo di Taranto proveniente da Corleto Perticara e dalla Valle del Sauro, utilizzando le autobotti?
L’ago della bilancia delle decisioni governative (e quelle lucane) – più per ragioni politiche, che istruttorie – sembrano dipendere tutte dal governatore pugliese, alle prese anche con due nuove recenti autorizzazioni di ricerche idrocarburi autorizzate dal ministero dell’Ambiente nel mar Adriatico di fronte alle coste di Bari e di Santa Maria di Leuca.