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Raffineria di Gela, nessuna irregolarità sul Black Hole

Non ci furono irregolarità nella gestione della vasca A zona 2 della raffineria di Gela, quella che gli investigatori ribattezzarono “Black Hole”, buco nero. Il giudice del tribunale, Miriam D’Amore, ha emesso un dispositivo di assoluzione per i quattro imputati, finiti sotto accusa sei anni fa. Si tratta di tecnici e manager Eni.

Il fatto non sussiste”, questa la formula pronunciata dal giudice in aula per Battista Grosso, Giuseppe Ricci, Rosario Orlando e Felicia Massetti, della Raffineria di Gela. L’indagine, condotta dai pm della Procura e dai militari della Capitaneria di porto, nel 2012 fece scattare il sequestro della vasca che, secondo le accuse, veniva utilizzata per stoccare sostanze tossiche e rifiuti pericolosi di ogni genere. “Dagli accertamenti svolti sul posto e dalle analisi di laboratorio”, spiegò il consulente scelto all’epoca dalla Procura, “è emersa chiaramente la presenza di scarti altamente pericolosi classificabili come H7.”
La stessa area della discarica, stando al tecnico, non sarebbe stata messa in sicurezza, rimanendo del tutto aperta e senza alcuna recinzione. Diversi operai e l’allora custode della zona, Vincenzo D’Agostino – costituitosi parte civile nel procedimento – avrebbero avuto contatto diretto con le sostanze rilasciate dal buco nero, servito a smaltire rifiuti altamente tossici e scarti di produzione.
I lavoratori”, ammise in aula il consulente, “avevano libero accesso alla zona e non utilizzavano alcun dispositivo di sicurezza. Le operazioni di bonifica, inoltre, non vennero effettuate entro i termini dettati dai decreti regionali.”
Una “verità” del tutto opposta ha invece tenuto banco nelle consulenze dei periti di parte, scelti dalle difese degli imputati. Hanno escluso che le sostanze pericolose presenti in discarica possano aver inciso sulla falda sottostante.
La quota di falda”, hanno detto, “non è stata intaccata da inquinanti.
Per gli esperti dell’Eni quell’area sarebbe stata interessata da fenomeni di “contaminazione storica”.
Il pubblico ministero, Pamela Cellura, dopo aver constatato la prescrizione per uno dei capi di imputazione e la depenalizzazione di un secondo, ha invece chiesto la condanna ad un anno e sei mesi di reclusione per tutti gli imputati, ritenendo fondate le accuse legate alle presunte violazioni nell’iter di bonifica.
Il giudice D’Amore, alla fine, ha emesso un verdetto di assoluzione nel merito, appunto con la formula “perché il fatto non sussiste”, che fa cadere tutte le accuse mosse ai quattro. La maxi indagine sul “buco nero” e sul presunto smaltimento illecito di sostanze tossiche sbatte contro l’esito processuale.

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Autore:

Giornalista pubblicista. Responsabile del sito d’informazione locale <a href="http://www.quotidianodigela.it">Quotidianodigela.it</a>. Si occupa di nera, giudiziaria e fenomeni legati alla presenza industriale nel suo territorio.