Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Qualcuno fece presto. E fu la camorra

#40Terremoto1980. Dagli atti della “Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori della Basilicata e della Campania colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981” e della “Commissione parlamentare antimafia” emerge un quadro, per molti versi ancora sconosciuto, del post terremoto in Irpinia e in Basilicata del 1980: come la camorra, grazie ad una duratura trama di complicità e alleanze con imprenditoria e forze politiche, è riuscita a mettere le mani sulla ricostruzione.

La data del 23 novembre 1980 ricorre negli annali, nelle celebrazioni che si trascinano di anno in anno, nella memoria di chi è vissuto, nelle lapidi commemorative di chi non c’è più. Il terremoto di magnitudo 6.9, che sconvolte l’Irpinia e la Basilicata, ha cancellato dalla faccia della terra intere comunità: 2.914 morti accertati, 8.848 feriti, 280 mila sfollati, danni gravissimi. Dei bilanci della ricostruzione post-sisma si è largamente occupata sia la “Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori della Basilicata e della Campania colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981”, sia, qualche anno dopo, la Commissione parlamentare antimafia.
Ma della ricostruzione morale e civile di comunità che ancora oggi esistono come province di un eterno cratere, si è parlato poco. Generando un vulnus che qualcuno ha riempito. Peccato che sia stata la camorra.

I NUMERI DELLA «NECESSITÀ ED URGENZA»
Per coprire le necessità dei sopravvissuti e, soprattutto, per far fronte agli impegni della ricostruzione e dello sviluppo il Governi Forlani prima e Spadolini poi, stanziano complessivamente 50.620 miliardi di lire. Di questi, circa 44.620 miliardi provengono da fondi a carico del bilancio statale e 5.980 miliardi da benevole elargizioni di soggetti pubblici e privati, nazionali ed esteri. Stando ai resoconti contenuti nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terremoto viene stabilito che 4.684 miliardi di lire siano destinati al periodo dell’emergenza, 18 mila miliardi all’edilizia residenziale e alle opere pubbliche nei comuni colpiti, 2.043 per gli interventi di competenza regionale, 8 mila per la ricostruzione degli stabilimenti produttivi e per lo sviluppo industriale, 15 mila per il programma abitativo a Napoli e le relative infrastrutture, 2.500 per le attività di amministrazione dello Stato, 393 per i residui passivi.
Ma ci sono numeri che chi ha vissuto quell’enorme spartiacque che è stato il terremoto del 1980 non dimenticherà mai. Sono i numeri di una legislazione d’urgenza – decreto-legge n.776/80 (legge n.874/1980) prima, decreto-legge n.75/81 (legge n.219/81) poi – che ha pesantemente condizionato la gestione dei finanziamenti pubblici concedendo ampie deroghe ai procedimenti di spesa, deleghe di poteri pubblici a soggetti privati, il crollo di un impotente sistema dei controlli, la moltiplicazione dei centri di spesa e la sovrapposizione di competenze attribuite a soggetti portatori di interessi divergenti. «In questi caratteri», scrive nel 1993 la Commissione antimafia, «risiede una delle principali ragioni che ha oggettivamente favorito la penetrazione della criminalità organizzata nel gigantesco affare.»

IL CARSISMO DELLA CAMORRA
«La camorra», si legge nella relazione della Commissione parlamentare antimafia, «a differenza di Cosa Nostra non contrappone un ordine alternativo a quello dello Stato, ma governa il disordine sociale. In tal senso si presenta sempre con due facce. La prima è rivolta verso la disperazione sociale, che controlla nelle forme più varie. L’altra è rivolta verso il potere, in un rapporto di interscambio dal quale emerge che, nella storia, è più spesso il potere ad avere bisogno della camorra che la camorra del potere.»
Queste caratteristiche, insieme alla mancanza di strutture gerarchiche durature, rendono le organizzazioni camorristiche flessibili, adattabili alle circostanze e prive di regole precostituite che ne minaccino le esigenze economiche. È un mondo aperto, dinamico, mutabile. O, per utilizzare un termine caro a chi conosce le terre dell’Appennino sconvolte dal terremoto dell’80, “carsico”. «Come carsica», aggiunge la relazione, «è stata anche la reazione istituzionale. Perché ad ondate repressive si sono alternate fasi di disattenzione o di spregiudicata utilizzazione politica.»
Le capacità di mimetizzazione, unite all’inesauribile vocazione economica, hanno fatto della camorra la forza che è riuscita a incidere su ogni attimo – e su ogni aspetto – di una sciagura in grado di generare un flusso economico atto a rimpinguare costantemente i bilanci mafiosi. In maniera più sicura, e persino più redditizia, del traffico di stupefacenti.
Il condizionamento della politica, degli enti pubblici, degli aiuti alle famiglie in difficoltà – la cosiddetta “usura familiare” –, delle imprese e persino delle forniture dei materiali da utilizzare per la ricostruzione post sisma si sono sedimentati in tempi rapidissimi. Incidendo in maniera irreversibile sulla ricostruzione materiale, morale e civile di intere comunità.

© 1980 Earthquake // Giuseppe Maria Galasso

“LAST OPPORTUNITY SYNDROME” E LE NUOVE HOLDING CRIMINALI
Agli inizi del 1981 – quando cioè ci si accinge a spendere la parte più cospicua degli oltre 50 mila miliardi di lire stanziati – le regioni colpite dal sisma mostrano al mondo le proprie macerie.
Accanto alle tragedie umane dei morti e dei senzatetto, la Commissione antimafia parla a chiare lettere di «un generalizzato atteggiamento da “last opportunity syndrome” con la doppia convinzione che il terremoto poteva rappresentare, per le zone colpite, la grande occasione per uscire dal sottosviluppo e, per ciascun interessato, una buona opportunità di arricchimento personale; un ceto politico di amministratori locali storicamente impreparato ad assumersi oneri e responsabilità organizzative e di programmazione e, nel contempo, subalterno alle scelte provenienti dal centro e dalle lobbies patronali locali; una pubblica amministrazione in genere lenta, distratta, eccessivamente burocratizzata, scarsamente professionale, a volte collusa e corrotta; una criminalità organizzata determinata, con una forte vocazione imprenditoriale e fortemente motivata dalla necessità di riciclare il denaro illecito, proveniente soprattutto dai traffici di stupefacenti e dei tabacchi; un impianto legislativo fortemente derogatorio che presupponeva, per poter ben funzionare in carenza di puntuali controlli, un’altissima professionalità, elevate capacità di programmazione, forte tensione ideale e disinteresse da parte dei soggetti chiamati a gestire il denaro della ricostruzione.»
Dato il contesto di riferimento, dunque, la camorra non si lascia sfuggire l’occasione. Dimostrando, di fatto, una mentalità criminale di altissimo livello. Nella primissima fase, quella dell’emergenza, la camorra opera soprattutto nelle zone periferiche – quelle in cui il sisma ha maggiormente inciso – intervenendo in tutte le attività in cui i finanziamenti vengono resi immediatamente esigibili: la rimozione delle macerie, il movimento terra e l’installazione dei prefabbricati. Solo in una seconda fase, quando cioè vengono materialmente sbloccati i fondi destinati alla ricostruzione e allo sviluppo, la camorra si fa impresa assumendo gli onori e delocalizzando gli oneri: incide sull’edificazione di nuove case destinate all’abitazione civile, sull’utilizzo degli stabilimenti produttivi rimasti, sulle costruende infrastrutture industriali, sulle grandi opere e, persino, sui materiali da utilizzare per la ricostruzione.
Per coprire l’intero “pacchetto” del terremoto, infine, la camorra investe nel settore del credito, in quello dei servizi e nel grande mercato dell’indotto. «Le famiglie camorristiche», dice ancora la Commissione, «diventano così delle vere e proprie holding di imprese produttive capaci di controllare l’economia dell’intera regione.»

LA VERGINITÀ PERDUTA
La camorra, per un verso, riesce a tessere una duratura trama di complicità e alleanze con l’imprenditoria e con tutti coloro i quali, in forza delle proprie funzioni politiche, hanno potere decisionale. E per l’altro, si preoccupa di assorbire i gruppi criminali già presenti in territori che mai in precedenza erano stati oggetto della sua attenzione. Nel corso delle audizioni che la Commissione antimafia svolge ad Avellino e Benevento tra il 14 e il 15 giugno del 1993 emerge che per le realtà dell’entroterra campano «la camorra è stata un fenomeno di importazione dal napoletano e dal casertano. Ai 119 comuni colpiti dal sisma della provincia di Avellino sono andati circa 6.500 miliardi, oltre un terzo, cioè, delle somme complessivamente stanziate per i comuni. Nei 78 comuni della provincia di Benevento sono confluiti 1.475 miliardi. A tutt’oggi (l’anno di riferimento è sempre il 1993, ndr) nelle due province non sono state insediate significative iniziative industriali; non sono state create nuove occasioni di lavoro, anzi i livelli occupazionali registrano un ulteriore trend negativo; il reddito medio pro capite è rimasto tra i più bassi d’Italia; si registrano forti presenze camorristiche, presenze che, prima del 1981 erano assai flebili. Pertanto l’unico vero fatto “nuovo” scaturito dalla grande occasione perduta è rappresentato dalle fortune della nuova struttura criminale che tuttora procede nell’opera di “riallineamento” dell’entroterra campano alle ben più solide situazioni del casertano e del napoletano.»

LE VITTIME TRASVERSALI DEL SISMA MORALE: TORRE, AMMATURO, SIANI
Eppure c’è chi, coraggiosamente, quel sistema prova a combatterlo. E, nel farlo, paga un prezzo altissimo. Il 16 dicembre 1980 Marcello Torre, sindaco di Pagani (Salerno), viene ammazzato perché decide di non favorire un sodalizio criminale nell’affidamento di appalti per la rimozione delle macerie. «Si tratta di un’esecuzione avvenuta a pochissimi giorni dal sisma», scrivono i membri della Commissione antimafia, «che costituisce anche un “segnale” nei confronti degli amministratori degli enti locali, ai quali vengono indicate le “procedure” che saranno seguite in caso di non assoggettamento o di dissenso.»
Solo pochi mesi prima dell’omicidio, gli organi di polizia erano stati informati che l’avvocato Torre era esposto al rischio di aggressioni armate. Lo stesso Torre, rivolgendosi direttamente al dirigente del Commissariato di Polizia di Stato di Nocera Inferiore dopo la sua elezione a sindaco – e dopo aver annunciato pubblicamente di voler combattere ogni ingerenza camorristica nella gestione del Comune – aveva espresso fondati timori per la propria vita.
«Le indagini sull’omicidio sono partite molto a rilento; l’esame della documentazione contenuta nella scrivania dell’ufficio in municipio fu effettuato solo dopo tredici giorni dall’evento; la perquisizione dello studio e dell’abitazione della vittima fu disposta dal giudice istruttore soltanto il 5 febbraio 1982. Il giudice istruttore nell’ordinanza di rinvio a giudizio scriveva che “per ben due anni l’istruttoria veniva a trovarsi in una pressoché totale stasi” sino a quando le rivelazioni di alcuni collaboratori davano un nuovo impulso alle indagini. Eppure gli imputati indicati dai pentiti come autori materiali del delitto sono stati tutti assolti», ricorda ancora la relazione.
Il 15 luglio 1982 il capo della squadra mobile Antonio Ammaturo viene barbaramente assassinato, reo d’aver agito con troppa determinazione nella ricerca della verità sulla vicenda del sequestro Cirillo e di aver, nel corso della propria carriera, contrastato gli interessi della camorra cutoliana. Insieme a lui muore anche l’agente scelto Pasquale Paola.
«Secondo le dichiarazioni di terroristi dissociati», prosegue la relazione, «il funzionario sarebbe stato scelto per l’attività svolta contro gruppi che sostenevano la lotta armata a Napoli. L’inserimento di Ammaturo fra i possibili obiettivi risaliva a più di un anno prima. L’azione brigatista sembra tuttavia essersi svolta con caratteri di improvvisazione. Uno dei brigatisti che avevano partecipato all’agguato, ferito e in fuga, viene ospitato a curato dal camorrista Renato Cinquegranelli, che sarà condannato per favoreggiamento. Secondo le dichiarazioni del collaboratore Pasquale Galasso, l’omicidio sarebbe da porre in relazione con le indagini che Ammaturo stava personalmente svolgendo sulla vicenda del sequestro Cirillo.»
Tre anni dopo, il 23 settembre 1985, Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino, viene trucidato perché le sue inchieste stavano svelando tutte le interconnessioni tra i politici locali e i membri del clan Gionta nelle spese per la ricostruzione a Torre Annunziata (Napoli). Solo qualche anno più tardi (procedimento n.5773/R/93, ndr) la Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Napoli emetterà una lunga serie di provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di soggetti facenti capo al clan Gionta, di amministratori del comune di Torre Annunziata, di funzionari comunali nonché di due imprenditori edili risultati aggiudicatari di ricche commesse ed erogatori di tangenti miliardarie. Dall’indagine emergono – ben oltre i soli interessi economici – specifiche connessioni di carattere politico: la camorra avrebbe offerto come contropartita, oltre ad una certa quantità di denaro, anche l’impegno di voto e di propaganda elettorale a vantaggio degli esponenti politici e degli amministratori collusi.

TOGHE “SPORCHE”
Ma se l’ordinario è stato sospeso per far posto alla necessità e urgenza, chi controlla la gestione? Chi garantisce che le leggi, persino quelle ad hoc, vengano rispettate? E, soprattutto, chi controlla che il controllore agisca come deve? Ancora una volta, la spiegazione è racchiusa nelle fitte pagine della relazione della Commissione antimafia. «Dopo il terremoto», si legge, «furono conferiti “pieni poteri” amministrativi al presidente della regione ed al sindaco di Napoli, quali commissari straordinari delle gestioni fuori bilancio istituite per la ricostruzione. In tale qualità i commissari straordinari hanno designato nelle commissioni di collaudo e per altri incarichi un numero particolarmente elevato di magistrati, tra i quali magistrati penali, amministrativi e contabili. Gli incarichi erano lautamente retribuiti. Il Consiglio superiore della magistratura negò ai magistrati ordinari l’autorizzazione a ricoprire questi incarichi. Ma il Tar, presieduto da un magistrato che a sua volta aveva avuto numerosi incarichi extragiudiziari, alcuni autoassegnati, decise, su ricorso di 15 magistrati ordinari, che l’autorizzazione del Csm non era necessaria. Il Consiglio di Stato confermò la decisione del Tar preoccupandosi di rilevare che in materia di opere pubbliche varie disposizioni prevedono che nelle commissioni di appalto, concorso e collaudo “siedano magistrati amministrativi, in genere con funzioni presidenziali”.»
Chiaramente, la liceità formale degli incarichi – tenendo conto dell’esplicito divieto del Csm – non preclude giudizi di inopportunità sostanziale. Se i controllori coincidono coi controllati, ed entrambi percepiscono lauti compensi per i servizi offerti, è chiaro che la necessità ed urgenza è una sola: quella di approfittare della situazione. È un magistrato di Napoli ad offrire al Csm la miglior chiave di lettura possibile: «Il motivo della presenza dei magistrati era duplice: uno di coinvolgere il magistrato per parare tutte le disavventure giudiziarie che sarebbero potute venire in seguito, l’altro di dare una credibilità esterna alla funzione dei collaudatore perché, almeno all’epoca, i magistrati godevano di una certa credibilità.»
Nel corso della stessa seduta un altro magistrato sottolinea che la maggior parte dei collaudi vengono affidati ai giudici della procura della Repubblica o, comunque, agli uffici inquirenti. Mentre altri controllano il potente “ufficio denunce” che, nel contesto, ha il compito di selezionare le denunce stabilendo a quali si dovesse dar seguito e quali, invece, dovessero essere archiviate.
Senza contare, chiaramente, gli “aggiustamenti” dei processi che vedono imputati camorristi d’eccellenza e di cui dà debita informazione – tanto alla Commissione antimafia quanto all’autorità giudiziaria – il collaboratore di giustizia Pasquale Galasso.

STIME DI UN DISASTRO
Le irregolarità nella ricostruzione, la lievitazione dei prezzi, i discutibili meccanismi relativi all’assegnazione e all’esecuzione delle commesse portano la Commissione antimafia a concludere che in buona sostanza i veri commissari del dopo sisma siano stati i camorristi. Capaci di creare, attraverso il controllo delle forniture e del sistema degli appalti – o dei subappalti, portati a ribassi fino al 50 percento dei prezzi –, un mercato privo di concorrenza.
«Affidate le sorti della ricostruzione a tale intreccio di interessi illeciti», scrive la Commissione, «l’intera operazione non poteva che fallire. Dei 18 mila miliardi erogati direttamente dai comuni risulta mediamente corrisposta, per ogni singolo abitante, la somma di 25 milioni di lire. Alla fine del 1990, a dieci anni cioè dall’evento, risultavano ancora risiedere in roulottes, containers e prefabbricati leggeri, 10.307 nuclei familiari (per complessive 28.572 persone) ed in alloggi requisiti altri 1.141 nuclei familiari (per complessive 4.405 persone). Per quanto concerne invece i programmi di sviluppo», prosegue, «la gestione del terremoto presenta il seguente bilancio: 107 aziende industriali, finanziate dalle gestioni terremoto, non sono entrate in produzione (perché non realizzate, ovvero non ultimate, ovvero non operative) e non sono stati attivati 7.539 posti di lavoro; in provincia di Salerno, rispetto ai programmi, mancano il 45,3 per cento delle aziende ed il 75,3 per cento degli addetti; nella provincia di Avellino la differenza rispetto a quanto doveva essere realizzato è del 39,2 per cento per quel che riguarda le unità produttive e del 44,1 per cento per la manodopera; in provincia di Potenza non sono state attivate il 48 per cento delle imprese ed il 54,8 per cento delle opportunità di occupazione; solo 7 iniziative hanno un numero di addetti corrispondenti ai progetti finanziati; 40 aziende dopo un inizio di attività produttiva, sono attualmente ferme ed è molto probabile che non riprenderanno più ad operare e devono perciò considerarsi perduti altri 2693 posti di lavoro; gli stabilimenti di proprietà di singoli imprenditori finanziati dalle gestioni del terremoto sono 210. Di questi solo 113 sono in attività; dei 10.657 posti di lavoro previsti sono state coperte solo 3.323 unità. Risultano definitivamente perduti 2.340 posti di lavoro ed altri 2.999 tuttora attendono di essere attivati.»

© 1980 Earthquake // Giuseppe Maria Galasso

IMPRENDITORIA MALATA
La Commissione antimafia sostiene che, dato il contesto e le evidenti collusioni, «non solo le regioni colpite, ma l’intero Paese ha perduto una grande occasione di sviluppo.»
Perché alcuni fenomeni, al di là degli accertamenti giudiziari, sono incredibilmente passati sotto silenzio. «La Procura di Avellino ha scoperto una vera e propria organizzazione facente capo a Roma, e con intermediari in varie zone (es. Verona) dove venivano costruite e rilasciate le false certificazioni con la complicità di funzionari dell’albo. Le indagini, tuttora in corso, hanno già portato all’arresto di sette imprenditori della Valle Caudina, di funzionari del provveditorato e del Ministero dei lavori pubblici.»
Come dimenticare, poi, l’appalto per i prefabbricati pesanti di Avellino, dove sono coinvolti direttamente Roberto Cutolo – figlio del boss Raffaele Cutolo – Francesco Pazienza ed Alvaro Giardili. O, ancora, l’appalto di Fontanarosa (Avellino) affidato ad un’impresa (la Irpec, ndr) di cui Stanislao Sibilia è socio al 50 per cento e il cui direttore dei lavori è Fausto Ercolino, inviato al confino dal giudice Gagliardi – poco dopo misteriosamente vittima di un attentato – insieme ad altri camorristi «tra i quali», ricorda ancora la Commissione, «l’imprenditore camorrista Sergio Marinelli (coinvolto nel caso Cirillo); le estorsioni ai danni della Società Silar relativamente all’appalto della tangenziale di Avellino; l’assassinio del vicesindaco di Sant’Agata dei Goti, avvenuto nel luglio 1990, dove è poi bruciata tutta la documentazione relativa alla ricostruzione.»
Infine, grazie alla compiacenza di un’imprenditoria malata, la camorra assume il controllo di tutti i settori fondamentali dell’edilizia, dalla fornitura degli inerti alla produzione e distribuzione del cemento e del calcestruzzo.
«La costituzione di società come Medicem srl, Investitalia srl, Beton Mix srl, Beton Partenio srl, Eurocem spa, tutte operanti nel settore del calcestruzzo e nei confronti delle quali sono stati disposti provvedimenti di sequestro dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Napoli», si legge nella relazione «sta ad indicare l’ampiezza del fenomeno della penetrazione della camorra nel settore. A conferma del quasi totale regime di monopolio e, comunque, dell’alterazione delle regole della concorrenza è anche il caso del Consorzio dei produttori di calcestruzzo preconfezionato, nel quale i maggiori operatori del settore – la Calcestruzzi Spa del gruppo Gardini, la Cal.Co.Bit. dei Tuccillo e la Maione – sono stati indotti ad associarsi insieme alla Bitum Beton del camorrista Romano. I più significativi nomi della camorra appaiono titolari – palesi od occulti – delle imprese che si sono aggiudicate i più importanti appalti. Per l’opera di disinquinamento dei Regi Lagni è stato segnalato il subappalto da parte della società appaltatrice, l’Icar, ai camorristi Antonio Iavarazzo e Giuseppe Natale. La Tirrenia Costruzioni di Natale de Rosa, appartenente al clan Bardellino, è subappaltatrice di varie infrastrutture viarie. La ditta Madonna è subappaltatrice del Consorzio S.I.F. La società Mediterranea ‘71 (stabilizzatori residui) è vicina alla famiglia dei D’Alessandro di Castellammare. La Sican (fase fine lavori) è affiliata alla famiglia Alfieri di Torre Annunziata. La Silar (travi e solette) appartiene al clan Nuvoletta di Napoli. E anche l’impresa Messere», conclude, «è ora nelle mani del clan Nuvoletta.»

GLI IRRESPONSABILI
La Corte dei conti ha chiamato il consorzio Italtecna – convenzionalmente titolare di potestà pubbliche per la concessione di provvidenze in favore di stabilimenti industriali – e i membri della commissione di collaudo – relativamente a contributi illegittimamente erogati alla società Castelruggiano – a corrispondere un risarcimento danni per un valore complessivo di ben 12.202.000.000 lire. Ma i procedimenti conclusisi in un nulla di fatto, sono molti di più.
«A tale epilogo, nefasto per le ripercussioni sul sistema economico, per l’alterazione del sistema democratico e l’inquinamento delle rappresentanze parlamentari e degli organismi elettivi delle amministrazioni locali», stigmatizza la Commissione «si è giunti per evidenti responsabilità omissive e commissive dei soggetti che avrebbero potuto e dovuto contrastare i fenomeni di infiltrazione camorristica nelle pubbliche gestioni. Non può sottacersi che da parte di taluni personaggi che hanno rivestito ruoli di carattere istituzionale – oltre che di rappresentanza politica – si sia fatto affidamento sulla “forza persuasiva” derivante dal governo delle provvidenze del terremoto per confermare e potenziare la propria presenza sul territorio campano ed acquisire ulteriore capacità contrattuale all’interno dei partiti di provenienza. Il terremoto non è stata un’occasione di sviluppo, ma un acceleratore della crisi della Campania, anche per queste ragioni. Ma anche quando cessò la spinta emotiva furono approvate, a grandissima maggioranza, modifiche legislative che hanno reso ancora più debole l’impianto originario, allargando l’area interessata dal terremoto a comuni neppure sfiorati dal sisma», sottolinea, «consentendo la realizzazione di opere pubbliche senza una previa seria verifica della loro utilità, dando avvio a iniziative di sviluppo industriale legate al solo conseguimento del contributo e facendo arbitri della situazione categorie di tecnici e professionisti privati, inevitabilmente legati a logiche di profitto e spesso aventi interessi contrapposti a quelli delle pubbliche amministrazioni. Lo stesso Parlamento, avvertito dei gravi effetti di quella legislazione, costituì una Commissione d’inchiesta sul terremoto e salvaguardò, escludendo l’operatività dell’amnistia (concessa con decreto del Presidente della Repubblica n.75 del 12 aprile 1990, ndr) le responsabilità penali derivanti dai reati connessi alla ricostruzione.»

LA MALAPOLITICA
E così il grande affaire del terremoto ha fatto in modo che una politica spregiudicata – interessata a cristallizzare i consensi – incontrasse una camorra altrettanto spregiudicata sul piano delle “convergenze parallele”.
Tutto è consentito a chi ha la forza per ottenerlo. Nulla è permesso a chi, legalmente, ha provato a reagire. E le macerie umane, inerti, sono rimaste lì.
«Ne sono nate enclavi senza legalità», stigmatizza la Commissione. Veri e propri non luoghi in cui, per molto tempo, è stato difficile circoscrivere le responsabilità dei singoli. Nel marasma generale, ben otto parlamentari campani vengono indagati dalle rispettive procure distrettuali per associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra questi spiccano i nomi di Paolo Cirino Pomicino, Carmelo Conte, Paolo Del Mese, Antonio Gava, Raffaele Mastrantuono, Vincenzo Meo, Raffaele Russo e Alfredo Vito. Nessuno, tuttavia, risulta condannato in via definitiva.
Sul piano locale, infine, l’esame delle relazioni che accompagnano i decreti di scioglimento di talune realtà comunali fornisce un quadro esaustivo sulla capacità di penetrazione della camorra nel tessuto politico-amministrativo.
«Gli organi elettivi», si legge, «subiscono condizionamenti da parte della criminalità organizzata la quale, in molti casi, non si accontenta di essere “rappresentata” nel consiglio e nella giunta, ma designa direttamente esponenti del sodalizio nelle cariche di sindaco, assessore e consigliere. È quanto è avvenuto ad esempio nel comune di Quindici (Avellino) dove il clan Graziano, impadronitosi della sigla del Psdi, fa eleggere ben 17 consiglieri su 20 e pone, in ossequio ad una tradizione ultra decennale, al posto di primo cittadino il suo capo Carmine Graziano. Parimenti nel comune di Pago del Vallo di Lauro (Avellino), il monopolio politico-amministrativo degli organi elettivi e della struttura comunale è tenuto dal clan dei Cava, organizzazione concorrente ed avversaria a quella dei Graziano. Ma nei comuni disciolti della Campania», conclude la Commissione antimafia «più che di penetrazione, di infiltrazione e di condizionamenti della camorra può parlarsi di immedesimazione della camorra con l’amministrazione. Che diviene così funzionale al gruppo criminale e svolge nei suoi confronti un’ossequiosa funzione servente.»

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Autore:

Giornalista, caporedattrice del periodico Terre di frontiera. Specializzata in tematiche ambientali. Crede nel cambiamento e nella possibilità di ciascuno di contribuirvi.