Trivellazioni in mare in barba al divieto delle 12 miglia marine? C’è chi ci prova mettendo in contraddizione i decreti Prestigiacomo e “Sviluppo”. Ecco un caso recente.
Il 28 gennaio la società Apennine energy spa ha richiesto al ministero dell’Ambiente l’avvio della procedura di Valutazione d’impatto ambientale (Via) finalizzata alla perforazione di un pozzo esplorativo nel Comune di Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza. Fin qui tutto normale, se non fosse che la trivellazione del pozzo partirebbe dalla terraferma andando a “pescare” in un ipotetico giacimento localizzato nel mar Ionio. Di fronte Sibari.
La storia di questo progetto è particolare. Potrebbe rappresentare per altre compagnie petrolifere un modello da seguire. Infatti, il metodo messo in atto mirerebbe ad aggirare i vincoli relativi al divieto imposto entro le 12 miglia marine. Il condizionale è d’obbligo, perché di mezzo ci sono gli uffici ministeriali che prima hanno negato le autorizzazioni, salvo poi fare marcia indietro.
Ma andiamo, brevemente, con ordine. La prima richiesta risale al 2008. Ad avanzarla la Consul Service srl. Nello stesso anno il progetto incassa il parere negativo, e conseguente rigetto, da parte della Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (Cirm). Nel 2009 cambia la titolarità dell’istanza e subentra la Apennine energy spa. Il procedimento viene riaperto e riceve un primo parere favorevole da parte della sopraccitata Commissione ministeriale, che invita la società a presentare la Valutazione d’impatto ambientale a ministero ed enti locali.
Nel 2011 il progetto viene rigettato per la seconda volta, in applicazione del decreto “Prestigiacomo” (n.128/2010) che ha vietato le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in prossimità della costa, con riferimento anche ai procedimenti autorizzatori e concessori in corso a quella data. La questione sembra chiusa, ma accade che nel 2012 il progetto viene riabilitato per effetto dell’entrata in vigore dell’articolo 35 del decreto “Sviluppo”, grazie al quale tutti i procedimenti bloccati in precedenza dal decreto Prestigiacomo sono stati “salvati”.
Sulla riabilitazione dell’istanza, in fase di osservazioni è intervenuto con decisione Giovanna Bellizzi del Comitato Mediterraneo No Triv, spiegando chiaramente che “il provvedimento di rigetto emesso dal ministero in applicazione delle misure restrittive di cui al decreto legislativo n.128/2010 (Prestigiacomo, ndr) comporta la chiusura del procedimento e l’archiviazione definitiva dell’istanza della società Apennine Energy”. “Il procedimento – ha specificato l’avvocato Bellizzi – non può neanche essere riattivato con una temeraria interpretazione di quanto disposto dall’art. 35 del decreto legislativo n.83 del 22 giugno 2012 perché tale norma non comporta una riviviscenza di un procedimento già chiuso in virtù del decreto Prestigiacomo che ha carattere tassativo e non lascia margini di interpretazione.”
In sostanza, il decreto Prestigiacomo non può certo configurarsi ammissibile per quelli già chiusi. Inoltre, la società interessata al progetto non ha impugnato il provvedimento ministeriale di rigetto dell’istanza che è, pertanto, definitivo.
Quello che sta avvenendo è il tentativo di aggirare i possibili effetti del referendum proposto da Regioni e Comitati No Triv, nonché la ratio accolta dalla Corte Costituzionale relativa all’introduzione delle misure di salvaguardia dell’ecosistema compreso entro 12 miglia marine che, in questo caso, a maggior ragione, dovrebbero essere valide anche per la terraferma. Il rischio è che la procedura seguita in questo caso dal ministero, seppur in maniera indiretta, possa violare le direttive comunicazione in materia di protezione degli ecosistemi marini.
Intanto, dal fronte No Triv, continua la raccolta di firme proposta da Greenpeace per richiedere l’accorpamento del voto referendario a quello delle prossime amministrative (probabilmente a giugno). L’Election Day consentirebbe un risparmio di denaro pubblico di circa 400 milioni di euro. Ma, nel silenzio attuale di quasi tutti i presidenti delle Regioni che hanno promosso il referendum, sembra che l’Esecutivo voglia imboccare la strada opposta.
Se da una parte trivellare in terraferma per “pescare” in mare è operazione suscettibile di verifiche, dall’altra – a sorpresa – l’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse ha disposto 27 provvedimenti di rigetto (compreso il progetto Ombrina Mare) – parziali o totali di istanze di prospezione, di permesso di ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi ricadenti nelle aree precluse a nuove attività entro le 12 miglia, in applicazione della Legge di Stabilità. Uno scossone dagli effetti legali e politici. È il primo passo messo in atto per indebolire il referendum No Triv?