Il nostro Paese è ufficialmente sotto processo dinanzi la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, con l’accusa di non aver protetto adeguatamente la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto. Nelle ultime ore il Governo italiano ha preso tempo e dall’Europa accettano di prorogare al 30 settembre 2016 il termine ultimo per la presentazione delle osservazioni in merito ai ricorsi presentati.
I primi a presentare l’istanza alla Corte, nel 2013, sono stati 52 tarantini in seguito ad una iniziativa promossa dal Comitato Legamjonici, che si è avvalso della difesa dell’avvocato Sandro Maggio del Foro di Taranto. Successivamente, nel 2015, la stessa istanza è stata presentata da altri 130 tarantini. In entrambi i casi la decisione della Corte è stata determinata sia dalla corposità delle prove fornite, sia dalla richiesta di trattazione urgente. I ricorrenti accusano lo Stato italiano di non aver adottato tutti gli strumenti giuridici e normativi necessari per garantire la protezione dell’ambiente e della salute ma, al contrario, le leggi emanate – 9 decreti cosiddetti ‘Salva-Ilva’ in 4 anni -hanno avuto il preciso scopo di tutelare gli interessi del privato. Una logica già ampiamente condannata dalla popolazione tarantina, soprattutto alla luce dei risultati dello studio “Sentieri” dell’Istituto superiore di sanità) e della perizia epidemiologica realizzata dagli esperti incaricati dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco agli inizi dell’inchiesta, nel corso dell’incidente probatorio. I ricorsi, accorpati nella trattazione da parte della Corte, si fondano anche sulla presunta violazione degli articoli 2, 8 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ricorso ha senza dubbio una valenza simbolica il cui esito si rifletterà sull’intera città di Taranto. Non solo. A livello nazionale rappresenterebbe un importante risultato per la rilevanza politica del riconoscimento delle violazioni contestate. Un obiettivo non remoto dato che, nell’ambito del diritto internazionale che regolamenta la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ha preso sempre più piede l’opportunità e la legittimità dell’inserimento del diritto alla salute tra i diritti fondamentali dell’uomo. Da “semplice” diritto all’integrità psico-fisica dell’individuo è stato approfondito e ampliato sino a includere anche il “diritto a un ambiente salubre” come presupposto per un’effettiva realizzazione del diritto alla salute stessa. È evidente, come si può evincere nello specifico nel “caso Ilva”, che le condizioni di salute dell’uomo sono strettamente correlate alle condizioni della sfera ambientale in cui egli vive, lavora, si muove. Un ambiente insalubre e degradato ha riflessi immediati sullo stato di salute di chi lo abita. Ora l’Italia dovrà difendersi e Taranto entrerà nel vivo della fase di dibattimento. Una prima vittoria dei cittadini c’è stata, e non era per nulla scontata: l’avvio di un processo nei confronti dell’Italia. Non si chiede un risarcimento, né un indennizzo, ma il riconoscimento di un diritto fondamentale: vivere in un ambiente salubre. Senza il timore di ammalarsi a causa di interessi privatistici sostenuti dal governo italiano. Non resta, dunque, che continuare a vigilare e a lottare. Intanto il processo Ilva a Taranto è stato rinviato al prossimo 18 luglio mentre Taranto attende giustizia, ormai, da troppo tempo.
ESCLUSIVA: SINTESI DEL TESTO DEL RICORSO DEPOSITATO IL 29 LUGLIO 2013 SU INIZIATIVA DEL COMITATO LEGAMJONICI
[…] Nel corso degli anni, molteplici sono state le denunce e le segnalazioni alle pubbliche autorità inerenti il drammatico stato di contaminazione ambientale e conseguente assoluta invivibilità dell’area cittadina senza che, tuttavia, alcun provvedimento efficace fosse mai stato adottato.Di dominio pubblico, ad esempio è l’annosa problematica della volatilità delle polveri provenienti dai parchi minerali dell’Ilva S.p.A. […] […] A queste si aggiungano le missioni diffuse provenienti dagli impianti e quelle convogliate che contengono una miscela di inquinanti altamente cancerogeni (solo per citarne alcuni: diossine, pcb, benzo(a)pirene, benzene, metalli pesanti, PM10). Le suddette emissioni provocano inoltre danni diversi su organi e apparati che generano patologie croniche degenerative. […][…] In un contesto ambientale così seriamente contaminato, nel luglio del 2010, la Procura di Taranto contestava ai dirigenti Ilva i reati (tra gli altri) di disastro ambientale, di rimozione e/o omissione dolosa di cautele a salvaguardia della salute dei lavoratori sul posto di lavoro, di avvelenamento di sostanze destinate all’alimentazione […] Così, il 26 luglio 2012, il G.I.P. Patrizia Todisco accoglieva la richiesta della Procura ed emanava un decreto di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., di sei reparti dello stabilimento, rilevando che “Le risultanze tutte del procedimento denunciano a chiare lettere l’esistenza, nella zona del tarantino, di una grave ed attualissima situazione di emergenza ambientale e sanitaria, imputabile alle emissioni inquinanti, convogliate, diffuse e fuggitive, dello stabilimento Ilva Spa.”
Contestualmente nominava quattro custodi-amministratori affidando loro il compito di avviare “immediatamente le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti.”
Il 7 agosto 2012 il Giudice del Riesame del Tribunale di Taranto confermava il sequestro preventivo senza facoltà d’uso delle sei aree inquinanti dello stabilimento, evidenziando che “le emissioni di sostanze nocive alla salute della popolazione sono chiaramente in corso» e che pertanto occorre sottrarre al Gestore la disponibilità delle predette aree e degli impianti ivi esistenti allo scopo di eliminare tutte le disfunzioni che determinano le emissioni.”
Tuttavia lo stesso Giudice del Riesame attribuiva ai custodi-amministratori (sotto la supervisione del Pubblico Ministero) il compito di valutare e decidere quali potessero essere le migliori decisioni per il raggiungimento della cessazione delle emissioni nocive. Restava ad ogni modo ferma l’impossibilità di utilizzare l’impianto ai fini produttivi, posto che in più parti del provvedimento il Tribunale evidenziava come questa circostanza dovesse considerarsi sostenibile solo in futuro, all’esito dell’eliminazione totale delle emissioni nocive. […] […] Il 27 ottobre 2012 veniva ufficialmente approvata la già annunciata modifica dell’Aia rilasciata nell’agosto del 2011: alla luce delle nuove modifiche l’Ilva avrebbe potuto proseguire l’esercizio delle attività produttive nell’integrale rispetto delle 94 prescrizioni ivi contenute. […] In data 20 novembre 2012 Ilva spa. depositava presso il Tribunale di Taranto una richiesta di dissequestro degli impianti dello stabilimento siderurgico fondata, per l’appunto, sulla necessità di poter dare esecuzione a quanto previsto nell’Aia. […].[…]. Il 30 novembre 2012 il gip respingeva la richiesta di dissequestro degli impianti presentata dall’azienda evidenziando come “l’adozione della nuova AIA non vale affatto a dimostrare che sia venuta meno la situazione di grave e concreto pericolo a fronte del quale è stato disposto il sequestro”, sia perché “i tempi di realizzazione delle misure prescritte dalla nuova AIA risultano incompatibili con le improcrastinabili esigenze di tutela della popolazione locale e dei lavoratori”, […] Nella serata dello stesso giorno, il Governo Italiano […] decideva di intervenire approvando un decreto legge volto a garantire la «continuità del funzionamento produttivo dello stabilimento ILVA”. Tale provvedimento governativo veniva definitivamente recepito nel decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 […] successivamente convertito con legge del 24 dicembre 2012, n. 231 […] In particolare, l’art. 1 della predetta legge prevede che, […], l’esercizio dell’attività di impresa, quando sia indispensabile per la salvaguardia dell’occupazione e della produzione, possa continuare per un tempo non superiore a 36 mesi, anche nel caso sia stato disposto il sequestro giudiziario degli impianti, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata in sede di riesame. […] […] e) La legge 231/2012, inoltre, violerebbe la Carta europea dei diritti dell’uomo e del Trattato di Lisbona. […] […]. In particolare la Procura ritiene che la normativa nazionale violi l’art.191 del Trattato di Lisbona inerente al cosiddetto “principio di precauzione”, che consiste nell’adozione di “tutte le misure idonee a prevenire il pericolo di danni causati alla salute e all’ambiente anche in situazione di incertezza scientifica”. E i magistrati concludono: “a Taranto la fase di rischio è stata già ampiamente superata da anni a causa dell’attività del siderurgico”. […]
L’ESPOSTO ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI TARANTO E L’INEFFICACIA DELL’AIA RILASCIATA AD ILVA SPA
Il 5 aprile 2013 un gruppo di cittadini (tra cui Daniela Spera, ricorrente e rappresentante) ha presentato un esposto presso la Procura della Repubblica di Taranto, teso a richiedere agli organi inquirenti l’accertamento del rispetto e applicazione della normativa di cui al decreto legislativo 152/06 e smi in materia di Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) con riferimento allo stabilimento Ilva S.p.A. di Taranto. In particolare nell’esposto veniva evidenziato quanto segue: Lo stabilimento Ilva di Taranto, a seguito del rilascio dell’A.I.A., è stato autorizzato dal Ministero dell’Ambiente all’esercizio della propria attività produttiva a condizione che questa ottemperi a ben 94 prescrizioni di cui al sopra citato provvedimento; In assoluto dispregio di ogni disposizione autorizzativa, nonché dei provvedimenti cautelari disposti dall’Autorità Giudiziaria tarantina, lo stabilimento Ilva di Taranto non ha mai interrotto la propria attività produttiva; […] Proprio a seguito della presentazione della relazione trimestrale da parte dell’azienda Ilva S.p.A., il Ministero dell’Ambiente in data 14 marzo 2013 diramava la seguente nota, apparsa sul proprio sito internet: AIA ILVA: non risultano inadempienze dell’azienda […]. Al contrario, è stato possibile verificare la sussistenza di evidenti ritardi esecutivi che si traducono in incontestabili violazioni poste in essere da Ilva S.p.A. come, peraltro, documentato ufficialmente nella tabella riassuntiva del 25/01/2013 sul sito internet dell’Ispra (peraltro sulla base dei dati comunicati dall’azienda stessa); […] Si precisa, altresì, che Ilva S.p.A. ha chiesto proroghe per interventi che avrebbero dovuto essere attuate sin ‘da subito’ a partire dalla data della pubblicazione del decreto di riesame, […] […]. In data 20 maggio 2013, la cittadina italiana Daniela Spera (ricorrente e rappresentante dei ricorrenti), preoccupata per la salute dei suoi concittadini, si recava a Roma presso il Ministero dell’Ambiente, al fine di invitare le autorità italiane ad applicare la normativa in vigore sull’A.I.A. […], in particolare in materia di revoca dell’autorizzazione integrata ambientale, perché preoccupata per la salute dei suoi concittadini. […]. Il Governo, anziché ascoltare la cittadina italiana ha proposto il commissariamento come deroga all’articolo di legge che prevede la revoca per reiterate violazioni. Ha emanato quindi il decreto legge del 4 giugno 2013, No.61, detto Salva-Ilva bis, che tra le altre cose, stabilisce (al comma 1-ter dell’articolo 1) che nel caso di reiterate violazioni e inadempienze alle prescrizioni autorizzative, si procede al commissariamento dell’azienda bypassando, in sostanza, la revoca dell’AIA che avrebbe portato alla chiusura degli impianti. […] Tali violazioni assumono, per di più, maggiore gravità se rapportate tanto al contesto fattuale in cui sono state e sono tutt’ora perpetrate (procedimento penale per disastro ambientale e conclamata emergenza sanitaria), quanto a quello normativo di riferimento: si pensi, anche per una maggiore chiarezza espositiva, a quanto disposto dall’art. 29-decies d. lgs n. 128/2010 […], nonché dall’art. 217 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 in tema di misure precauzionali da adottarsi anche in caso di solo pericolo per la salute pubblica. […]Nel mese di settembre 2013 è definitiva la procedura d’infrazione alla quale si giunge dopo una serie di inadempienze esposte dalla Commissione Europea da parte dello Stato Italiano che non ha dato risposte soddisfacenti nell’ambito dell’attuazione del progetto EU-PILOT, che si inserisce nel contesto delle indagini complessive avviate dall’Ue sul caso Ilva.
IN CONCLUSIONE
[…]. I fatti esposti al precedente punto violano le disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti Umani di cui agli articoli n. 2 (nella parte in cui dispone che “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”), n. 8 (nella parte in cui dispone che “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio”), e n. 13 (nella parte in cui dispone che “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale”).[…]
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
Il quadro delineato dai sopra citati studi di carattere scientifico, pertanto, non lasciano alcun dubbio circa l’evidente e reiterata violazione delle disposizioni della CEDU come sopra indicati. Nondimeno, in virtù del principio di precauzione di cui all’articolo 174 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, la mancanza di certezza allo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento non può giustificare il fatto che lo Stato ritardi l’adozione di misure effettive e proporzionate volte a prevenire il rischio di danni gravi e irreversibili all’ambiente. […]