Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Parco della Majella a rischio cementificazione?

Il Consiglio direttivo del Parco nazionale della Majella ha approvato il nuovo Piano per il Parco. Consultabile presso le sedi dei Comuni appartenenti all’area protetta potrà essere eventualmente contestato entro la fine di gennaio.

L’attuale Piano del Parco nazionale della Majella in via di modifica è stato approvato nel 2009, dopo una prima stesura del 1997. La bozza più recente, in attesa dell’entrata in vigore ufficiale, prevede una nuova zonizzazione del territorio protetto: aumento della zona A (riserva integrale) dal 48 al 56 per cento del territorio, diminuzione delle zone D1 (insediamenti turistici) dallo 0,12 allo 0,09 per cento, aumento delle zone D2 (infrastrutture ricettive) dallo 0,65 all’1,01 per cento.

Secondo la direzione dell’ente, nel nuovo Piano “sono stati aggiunti importanti passaggi e chiarimenti relativi alle misure previste per la gestione e la conservazione delle c.d. aree Natura 2000, ad indirizzi di gestione attiva della wilderness, alle misure di prevenzione degli incidenti stradali causati dalla fauna selvatica, alla semplificazione procedimentale recata per le attività edilizie nelle zone D, all’impiego di meccanismi pattizi tra Parco e stakeholder, ed altri strumenti che corrispondono un adeguamento strutturale che tende ad avvicinare la realtà italiana all’esperienza europea”. Parole che descrivono il nuovo Piano come un passo in avanti nella tutela del Parco. Ma, in una regione come l’Abruzzo, che già soffre di una fortissima cementificazione, diverse associazioni ambientaliste ne hanno pesantemente criticato iter e contenuto.

Secondo Appennino ecosistema, Lipu, Mountain Wilderness, Salviamo l’Orso, Stazione ornitologica abruzzese (Soa), WWF, Pro Natura e Altura la nuova zonizzazione è stata approvata “in tutta fretta ed in segreto, stravolgendo quello attualmente vigente ed aprendo la porta a nuove cementificazioni e ad usi dissennati di uno dei territori più integri, da un punto di vista ecologico, dell’Appennino Centrale”. Alla richiesta di Appenino ecosistema di conoscere il nuovo Piano, il cartello di associazioni denuncia che “il Presidente del Parco Franco Iezzi aveva risposto, con formale nota n.13746 del 13 ottobre 2016, senza fornire alcuna informazione su un eventuale procedimento amministrativo in corso relativamente alla revisione del Piano del Parco. Mentre si scopre ora che il Consiglio direttivo aveva deliberato fin dal mese di luglio dello scorso anno (deliberazione n.7 del 16 luglio 2015) di avviare l’iter per la nuova redazione del Piano del Parco.

Ad oggi, le uniche informazioni disponibili in merito alla destinazione delle aree e alle principali regole di gestione del territorio sono state riferite alle associazioni esclusivamente nelle loro linee generali. Da qui la denuncia delle associazioni ambientaliste: “nel nuovo Piano saranno annacquati i vincoli compromettendo la rigorosa tutela della zona A, consentendo l’espansione delle aree edificabili e la realizzazione di nuove captazioni idriche”, senza alcuna considerazione per “i Piani di gestione delle aree della Rete Natura 2000 (SIC e ZPS).

L’eccessiva cementificazione e la mancata pianificazione territoriale in Abruzzo è vissuta come una vera e propria emergenza. Nel 2014 la superficie interessata ad urbanizzazione ha coperto un’area pari ad 85 mila campi da calcio. Emblematica è la situazione del fiume Pescara: si autorizzano nuovi centri commerciali sulle sue sponde, mentre si è costretti a costruire cinque vasche di espansione, ovvero un intervento strutturale dalle notevoli implicazioni ambientali. Secondo il WWF Chieti-Pescara “le casse di espansione ubicate all’interno delle aree golenali interferiscono con la naturale e ordinaria esondazione del fiume. Non bisogna per questo realizzare degli invasi in sostituzione ma recuperare invece le aree di esondazione naturale”. Il nuovo progetto, invece, “viaggia in direzione opposta, artificializzando e irrigidendo ulteriormente le fasce di pertinenza fluviale, riducendo in maniera significativamente negativa le possibilità di divagazione naturale del corso d’acqua.

Dal WWF paventano il rischio che “dopo la costruzione delle casse, invece di procedere con una pianificazione di bacino che punti al recupero della capacità di laminazione nella parte di fondovalle e a un aumento della capacità di ritenzione idrica a monte” si potrebbero “ridurre le classi di rischio in alcune zone limitrofe al fiume e appetite da interessi di urbanizzazione incontrollata”. In questo caso “le casse in questo caso darebbero un importante contributo negativo ad aumentare la cementificazione” del fiume Pescara. Le “aree costiere sono fragilissime, segnate dell’erosione e dall’impossibilità di evolvere naturalmente a causa della cementificazione imperante”. Oltre il 60 per cento delle coste abruzzesi è antropizzata. Da Vasto a Francavilla, sulla costa teatina, si può viaggiare per decine e decine di chilometri senza vedere null’altro che cemento, cemento e ancora cemento.

Iscriviti alla nostra newsletter!

Condividi questo articolo
Autore:

Attivista di vari movimenti pacifisti e ambientalisti abruzzesi, referente locale dell’associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink.