Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Il cemento sporco di Puglia

Lo scorso 8 settembre un’indagine condotta dalla Guardia di finanza di Taranto, coordinata dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) di Lecce, ha portato al sequestro, con parziale facoltà d’uso, della centrale a carbone Enel di Cerano, della Cementir e dei parchi loppa d’altoforno dell’Ilva di Taranto. Nell’operazione – denominata “Araba Fenice” – 34 persone sono finite nel registro degli indagati. Traffico illecito di rifiuti, attività di gestione rifiuti non autorizzata ed ingiusto profitto: queste le accuse ipotizzate alla base di un sistema che con le ceneri e gli scarti contaminati avrebbe prodotto cemento. “Araba Fenice” non è solo contraffazione e declassificazione di scorie pericolose ma, soprattutto, l’impronta indelebile ed inquinante dell’industria pesante sul territorio. Le cui origini vanno ricercate altrove.

Come l’Araba Fenice, l’uccello mitologico che dopo la morte rinasce dalle proprie ceneri, così – per anni – si è prodotto cemento dagli scarti industriali, nocivi e pericolosi. È quanto emerge dall’omonima inchiesta condotta dalla Procura di Lecce, che ha portato al sequestro della centrale a carbone Enel di Cerano, della Cementir e dei parchi loppa d’altoforno dell’Ilva di Taranto. A firmare il provvedimento il pubblico ministero Antonia Martalò. Alla base del sequestro degli impianti un accertamento tecnico, svolto dal perito Mauro Sanna che, nell’ambito della normativa ambientale, ha evidenziato condotte illecite in merito alla classificazione della loppa ottenuta come residuo di produzione presso lo stabilimento siderurgico di Taranto e in merito alla classificazione delle ceneri volanti provenienti, invece, dalla centrale Enel.

ALLE ORIGINI DEL CEMENTO
La loppa d’altoforno e le ceneri volanti costituiscono, al tempo stesso, materiali di scarto e preziose materie prime. Nella produzione del cemento il loro impiego rientra nel ciclo di recupero degli scarti industriali, in cui la linea di demarcazione tra rifiuto e materia prima viene definita dalla normativa europea. Il Catalogo europeo dei rifiuti (Cer) stabilisce dei codici specifici assegnati assegnati ai materiali di scarto sulla base delle loro caratteristiche chimico-fisiche. Un prodotto, per essere riutilizzato, deve possedere determinati requisiti, in caso contrario segue la strada del rifiuto vero e proprio che deve essere adeguatamente smaltito. Ogni deviazione da questo elementare comportamento rappresenta un illecito e come tale viene perseguito. La loppa d’altoforno tal quale può essere riutilizzata solo se ha le caratteristiche di sottoprodotto. Le ceneri volanti, invece, possono entrare nel ciclo produttivo del cemento solo se possiedono qualità ben definite. Ma cosa spinge un’azienda a violare la legge? La risposta è semplice: i costi di smaltimento. Soprattutto se si tratta di rifiuti speciali, meglio se pericolosi. Spedire i rifiuti a ditte specializzate nello smaltimento costa molto. Allora tanto vale fare carte false, stoccare e cedere i materiali come materie prime o con codici Cer contraffatti.

LA STORIA DI UNA SIMBIOSI
L’inchiesta Araba Fenice ha origine da un altro procedimento penale condotto dalla Procura di Taranto per i reati riguardanti la realizzazione e la gestione di diverse discariche abusive destinate allo stoccaggio, direttamente a contatto con il suolo, di rifiuti anche pericolosi quale loppa d’altoforno non deferrizzata, clinker e rottami ferrosi. I fatti, contestati fino al 13 marzo 2012, trovano addirittura fondamento negli ultimi cinquanta anni. Siamo nel 1962, anno in cui è entrata in funzione la Cementir, non a caso, in prossimità dell’Italsider, ora Ilva spa. Cementir e Italsider lavoravano in simbiosi, proprio con l’intento di produrre cementi utilizzando come materia prima la loppa d’altoforno della produzione della ghisa. “In sostanza – sottolinea il pubblico ministero nel decreto – lo stabilimento Cementir era stato realizzato per essere in simbiosi con lo stabilimento Italsider al quale era stato, ed è ancora, collegato a mezzo di nastro trasportatore, alla stessa stregua di un cordone ombelicale.” Dunque, un legame viscerale. Fatale per entrambi.

LA LOPPA DELLA DISCORDIA
La loppa d’altoforno, che può sostituire fino al 70 per cento le materie prime utilizzate per la produzione di cemento, assume rilievo in campo industriale per il suo impiego nella realizzazione di strutture massive o in ambienti chimicamente aggressivi. È molto utilizzata per l’edificazione di infrastrutture pubbliche di grandi dimensioni come viadotti, ponti, gallerie.
Nel caso di specie – sottolinea il perito Mauro Sanna – la loppa d’altoforno prodotta e commercializzata da Ilva spa […] presenta però delle criticità connesse alla commistione della stessa con scarti eterogenei […] che ne inficiano la capacità di impiego allo stato tal quale […]. […] A causa della presenza di tali materiali estranei la loppa, per poter essere utilizzata nel processo produttivo del cemento, necessita di operazioni di trattamento effettuate, in tempi diversi, sia dal produttore che dal destinatario ed aventi ad oggetto la vagliatura […] e la deferrizzazione […]. Per le criticità innanzi esposte, la loppa prodotta e commercializzata da Ilva spa deve essere esclusa dal novero dei sottoprodotti ed inserita in quello dei rifiuti.
In sostanza tutto ruota attorno alla definizione di sottoprodotto specificata dall’articolo 184 bis del decreto legislativo n.152/2006, il quale stabilisce la coesistenza di quattro requisiti: 1) derivazione da un processo produttivo, 2) certezza, effettività dell’utilizzo del materiale da parte del produttore o di un terzo, 3) compatibilità ambientale dell’ulteriore utilizzo, 4) diretta utilizzabilità del materiale senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale.
Nel caso specifico, l’Ilva avrebbe dovuto dotarsi di adeguati sistemi di separazione e vagliatura a monte della produzione della loppa d’altoforno, in tutto il ciclo produttivo, nonché di idonei sistemi di trasporto per l’attività di movimentazione. Del resto, l’Autorizzazione integrata ambientale dell’Ilva non prevede il recupero delle loppe d’altoforno. Attività per la quale gli impianti risultano del tutto inidonei. Proprio per questo, l’Ilva prima e la Cementir in seguito, ricorrendo ad attività extra – non previste dalla normale pratica industriale – manipolavano il materiale finale che quindi non poteva rientrare nella categoria di sottoprodotto, ma risultava a tutti gli effetti rifiuto e come tale andava trattato. Tutto questo avveniva almeno dal 2011, fino ai giorni nostri. Per tale motivo Nicola Riva, Bruno Ferrante, Enrico Bondi, Piero Gnudi, Corrado Carruba, Enrico Laghi, Luigi Capogrosso, Salvatore De Felice, Adolfo Buffo, Antonio Lupoli, Ruggiero Cola, Marco Andelmi, Tommaso Capozza, in concorso tra loro nelle rispettive funzioni e qualità, in seno ad Ilva spa, risultano oggi indagati “in relazione ai reati di cui agli articolo 110 e 260 del decreto legislativo n152/2006”, perché “effettuavano attività non consentite di recupero di rifiuti, nonché – al fine di conseguire un ingiusto profitto in capo alla società di appartenenza, in termini di risparmio dei costi di smaltimento delle scorie di produzione – con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti costituiti dalla loppa d‘altoforno frammista a materiali eterogenei quali blocchi di ghisa, profilati ferrosi, inerti, pietrisco di origine fluviale, qualificandoli in toto come loppa d’altoforno.
E non si può certo dire che non ci fosse la consapevolezza da parte degli indagati di entrambi gli enti, della presenza di impurità nella loppa e della necessità che questa venisse sottoposta ad ulteriore trattamento a valle del ciclo produttivo siderurgico, allo scopo di renderla riutilizzabile, come è emerso dalla relazione consuntiva del 2010, in cui Luigi Capogrosso – direttore pro tempore dell’Ilva – riferiva che “dalle riserve di loppa (valutata intorno a 250 mila tonnellate) stoccata in cava non è stato prelevato nulla da ottobre 2009” e che “[…] occorre vigilare sulla qualità della loppa che si estrae perché ci possono essere presenze di scorie di acciaieria frammiste alla stessa loppa.

La Cementir di Taranto

MAMMA ILVA E SORELLA ENEL
Il legame viscerale instauratosi tra Ilva e Cementir, oltre all’inchiesta condotta qualche anno prima dalla Procura di Taranto, ha inevitabilmente portato gli investigatori a concentrare l’attenzione anche su vari dirigenti del cementificio. E infatti, per gli stessi reati sopra esposti, risultano indagati anche Mario Ciliberto, Giuseppe Troiani, Leonardo Caminiti, Mauro Ranalli, Leonardo Laudicina, Paolo Graziani e Vincenzo Lisi, poiché, nelle rispettive funzioni e qualità, “al fine di conseguire un ingiusto profitto in termini di risparmio sui costi di approvvigionamento dei fattori di produzione […] ricevevano o comunque gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti, costituiti da scorie della lavorazione siderurgica, denominate loppa d‘altoforno frammiste a detriti di vario genere […] che, in assenza di autorizzazione al recupero, sottoponevano a trattamenti di vagliatura e deferrizzazione […] per ottenere un materiale idoneo al ciclo produttivo […].
Non solo. Cementir riceveva anche “ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi denominati come ceneri leggere […] provenienti dalla centrale termoelettrica Federico II di Brindisi, località Cerano, di proprietà della società Enel Produzione spa […], il tutto in assenza di autorizzazione al recupero in quanto rifiuti ai quali il produttore aveva illecitamente attribuito il codice Cer 100102 che in realtà non competeva agli stessi poiché le ceneri in questione non derivavano dall’impiego esclusivo del carbone ma anche di altri combustibili di natura idrocarburica quali OCD e gasolio ed erano inoltre contaminati da residui, anche pericolosi, del processo di denitrificazione […].
Il cerchio, dunque, si é stretto. E la lunga lista di indagati si arricchisce di ulteriori nominativi di dirigenti riconducibili ad Enel, quali Giovanni Mancini, Enrico Viale, Giuseppe Molina, Paolo Pallotti, Luciano Mirko Pistillo, Antonino Ascione, Francesco Bertoli, Fabio Marcenaro, Fabio De Filippo, e questa volta anche per il reato di cui all’articolo 256 comma 5 sempre del decreto legislativo n.152/2006. In sostanza, avrebbero effettuato attività non consentite di miscelazione di rifiuti.

ENEL. CENERI CONTAMINATE E CEMENTO A RISCHIO CROLLO
La centrale termoelettrica “Federico II”, gestita da Enel, è situata a Cerano, in provincia di Brindisi. È autorizzata a produrre energia mediante l’utilizzo nel proprio ciclo produttivo di carbone, quale combustibile principale, di olio combustibile denso, come combustibile secondario, al posto del carbone, nelle fasi di accensione e per il sostegno della fiamma, e di gasolio nelle sole fasi di accensione. Nel corso delle operazioni di combustione si producono delle polveri che devono essere allontanate dalle emissioni gassose per impedire la contaminazione atmosferica. Le polveri vengono captate mediante elettrofiltri in grado di fermare sia la frazione minerale, sostanzialmente carbone, sia le particelle incombuste. In questo modo si formano le ceneri. Solo quelle contenenti carbone, classificate come materiale di scarto con codice Cer 100102, possono essere riutilizzate come materia prima per la produzione di cemento. Il resto deve essere separato e smaltito come rifiuto.
In pratica l’operazione di gestione che risulterebbe illecita consiste proprio nell’attribuzione arbitraria del codice CER 100102 a tutte le ceneri stoccate all’interno dell’unico silos di stoccaggio utilizzato. Questo a fronte di una dotazione impiantistica che avrebbe consentito la separazione di materiali di scarto tra loro eterogenei ma di fatto non funzionante. Non solo. A monte del processo di abbattimento delle polveri di combustione, da cui si originano le ceneri volanti raccolte negli elettrofiltri e nei filtri a manica, sono presenti gli impianti di denitrificazione (uno per ciascuna delle quattro unità di combustione) denominati Denox. Tali impianti, tramite processi chimici che impiegano ammoniaca come reagente principale e catalizzatori (acceleratori di reazione) a base di acciaio inox – interamente ricoperto da un impasto di biossido di titanio con l’aggiunta di ossidi di molibdeno e di vanadio – trasformano in azoto molecolare e acqua gli ossidi di azoto che, per effetto delle alte temperature raggiunte nella fiamma delle caldaie, si originano dall’ossidazione dell’azoto organico contenuto nei combustibili e dall’ossidazione diretta dell’azoto contenuto nell’aria. In questo modo gli ossidi di azoto, agenti inquinanti, non vengono emessi in atmosfera. Infine, i residui del processo devono essere separati dal resto per evitare la contaminazione delle ceneri. Questo, di fatto, non avveniva. L’assegnazione unica del codice 100102, sottacendo la commistione con le sostanze derivanti dal processo di denitrificazione e con le polveri derivanti dall’uso di altri combustibili, è apparsa agli investigatori non solo fraudolenta ma anche “preordinata unicamente allo scopo di far apparire adempiute, almeno (e solo) in via formale, le indicazioni del decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, richiamato nell’Autorizzazione integrata ambientale di Cementir, che annovera il surrichiamato CER tra i rifiuti ammessi a recupero presso lo stabilimento tarantino.
Per intenderci, l’uso contemporaneo di combustibili di natura idrocarburica (OCD e gasolio) e, soprattutto, la commistione con le ceneri raccolte nelle tramogge sottostanti gli impianti Denox impone la caratterizzazione nell’ambito di uno dei seguenti codici: 100118(*) o 100119 a seconda delle risultanze analitiche volte ad accertarne la pericolosità. Nel Catalogo europeo dei rifiuti, alla voce 100118(*) corrispondono i “rifiuti prodotti dalla depurazione dei fumi contenenti sostanze pericolose”, mentre il codice 100119 comprende i “rifiuti prodotti dalla depurazione dei fumi, diversi da quelli di cui alle voci 100105, 100107 e 100118”. I rifiuti con codice 100119, definiti anche con “codice a specchio”, derivano dallo stesso processo produttivo ma si differenziano tra loro per origine e per la diversa concentrazione di sostanze inquinanti che ne stabilisce la pericolosità o meno. L’assegnazione dell’uno o dell’altro codice è diretta responsabilità del produttore. Di conseguenza, la mancata effettuazione di analisi che escludano la presenza di sostanze pericolose implica automaticamente la riconducibilità del rifiuto al codice 100118(*), cioè rifiuto con sostanze pericolose.

“HAI CONTAMINATO TUTTE LE CENERI…GIÀ MI IMMAGINO I TITOLI DEI GIORNALI”
Uno degli indagati, Fausto Bassi, a commento dell’attività investigativa condotta dalla Guardia di finanza, rivolgendosi ad uno dei suoi principali collaboratori, ipotizza titoli di giornale sulla sua posizione: “Hai contaminato tutte le ceneri…già mi immagino i titoli dei giornali.
Ma il primo a mettere nero su bianco è Mauro Sanna, il consulente tecnico del pubblico ministero, che nella sua relazione, tra le altre cose, specifica che “il campione analizzato ha evidenziato un PH nettamente alcalino che non trova giustificazione nel fatto che esso sia costituito esclusivamente da ceneri leggere da carbone. Tale valore di PH e l’elevata concentrazione di azoto ammoniacale riscontrata nel medesimo campione, che possono essere correlati tra loro, trovano una giustificazione nel fatto che alle ceneri leggere siano miscelati i prodotti di reazione dell’impianto Denox. […]”.
Secondo quanto accertato nel corso delle indagini, sia tramite analisi dei prelievi effettuati, sia attraverso la sola valutazione della collocazione degli impianti di denitrificazione, le ceneri volanti sono risultate contaminate da sostanze pericolose, in primis l’ammoniaca. Sanna, inoltre, non usa mezzi termini e rincara la dose aggiungendo che questo incide drasticamente sulla qualità e sulla composizione del prodotto finale, “privando il cemento così ottenuto di alcune delle caratteristiche chimico-fisiche coessenziali alle sue funzioni di impiego in campo civile e industriale. In particolare, lo ione ammonio può essere alla base del processo di decalcificazione del calcestruzzo che inficia le proprietà leganti del più utilizzato materiale di costruzione.

La Cementir di Taranto

NOTEVOLE RISPARMIO E ILLECITO GUADAGNO
I presunti illeciti perpetrati dal 2011 al 2016 si sono tradotti in costi ed oneri per Enel che, non provvedendo al corretto smaltimento delle ceneri in questione, ha risparmiato, e dunque indebitamente guadagnato, ben 523.326.050 di euro. Resta l’interrogativo su dove sia finito il cemento già commercializzato.

SESSANTA GIORNI PER METTERSI IN REGOLA
A garanzia dei livelli occupazionali il giudice Antonia Martalò ha disposto il sequestro degli impianti in questione concedendo comunque la facoltà d’uso, con l’obbligo di adempiere alle prescrizioni necessarie all’adeguamento degli impianti alla normativa vigente e alle autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti. Entro e non oltre sessanta giorni. Il tempo è scaduto. Resta da verificare se le aziende hanno ottemperato alle prescrizioni riportate nel decreto di sequestro. Ad oggi non abbiamo notizie positive in tal senso.
A carico di Enel è avvenuto il sequestro del patrimonio aziendale fino a concorrenza della somma imputata che supera il mezzo miliardo di euro, così come il già citato blocco preventivo della centrale termoelettrica “[…] con provvisoria facoltà d’uso, per un termine non superiore a sessanta giorni, subordinata alle seguenti prescrizioni: l.A) utilizzo delle infrastrutture deputate alla separata evacuazione delle ceneri derivanti dagli impianti Denox e di quelle rivenienti dall’impiego di combustibili diversi dal carbone; l.B) sino all’integrata attuazione della prescrizione di cui al punto precedente, invio a smaltimento, nelle forme di legge presso impianti autorizzati al trattamento di rifiuti pericolosi, di tutte le ceneri leggere derivanti dall’abbattimento dei fumi di combustione, previa loro corretta classificazione nell’ambito del Catalogo europeo dei rifiuti, che tenga conto della contaminazione con i reagenti dei processi di denitrificazione e della commistione con le polveri derivanti dall’impiego di combustibili diversi dal carbone.
A carico di Cementir spa si è disposto “il sequestro preventivo dello stabilimento di Taranto, con provvisoria facoltà d’uso, subordinata alla prescrizione di cessare con decorrenza immediata l’approvvigionamento di ceneri dalla centrale Enel di Brindisi, fino all’integrale attuazione della misura di cui al punto l.A) e di impiegare nel proprio ciclo produttivo ceneri leggere conformi alla normativa UNI-EN 450-1. Il sequestro preventivo delle scorte residualmente stoccate presso i magazzini e/o altre unità organizzative sul territorio nazionale di pertinenza di Cementir Italia spa di cemento Portland (CEM V-B), prodotto mediante l’impiego di ceneri leggere provenienti dalla centrale Enel di Brindisi, in quanto indebitamente provvisto della marcatura UNIEN 197 in assenza dei requisiti previsti dal relativo disciplinare di produzione che impone l’impiego di ceneri conformi alla normativa UNI EN 450-1”. E il sequestro di compendi aziendali, con provvisoria facoltà d’uso “[…] subordinata alla prescrizione che si proceda alla gestione della loppa d’altoforno oggetto di impiego nel ciclo produttivo del cemento in ossequio alla disciplina normativa ed amministrativa in materia di gestione e recupero di rifiuti nonché alla caratterizzazione ed eventuale bonifica delle aree destinate allo stoccaggio della loppa […]: parco loppa comprensivi dei materiali ivi stoccati al momento dell’intervento; nastri trasportatori loppa, tramogge e impianti di vagliatura asserviti al punto che precede; impianto di deferrizzazione loppa; sito di stoccaggio delle ceneri leggere impiegate nel ciclo produttivo del cemento.
A carico di Ilva spa, infine, il sequestro preventivo di aree e compendi aziendali, con provvisoria facoltà d’uso “[…] subordinata alla prescrizione di procedere alla gestione della loppa d’altoforno in ossequio alla disciplina normativa ed amministrativa in materia di rifiuti nonché alla caratterizzazione ed eventuale bonifica delle aree destinate allo stoccaggio della loppa: parchi loppa comprensivi dei materiali ivi stoccati al momento dell’esecuzione; nastri trasportatori e tramogge asserviti ai parchi loppa di cui al punto precedente; nastro trasportatore denominato S14 bis; tramoggia e impianto di deferrizzazione asserviti al nastro di cui al punto che precede.

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Autore:

Responsabile del Comitato Legamjonici di Taranto. Nel 2010 consulente di parte nell’inchiesta “Ambiente svenduto” sull’Ilva.