Nel Vecchio Continente si rafforzano i partiti e le politiche verdi, mentre in Italia tardano ad affermarsi. Il partito dei Verdi europei in vista delle prossime elezioni europee. Manifestazioni in tutta Europa per chiedere politiche rispettose della salute e dell’ambiente in occasione del Cop24 che si terrà dal 2 al 14 dicembre a Katowice, capitale polacca dell’inquinante carbone.
Mentre in Europa si punta a dare forza al rilancio dello sviluppo attraverso scelte energetiche compatibili con l’ambiente, per fermare gli effetti globali dell’inquinamento, ipotizzando modelli puliti di produzione energetica e riqualificando le periferie e le città, in Italia, da più di un decennio, l’ambiente è considerato “cenerentola” della politica. Il ministero dell’Ambiente è stato trasformato in dicastero elargitore di “compatibilità” ambientali, spesso forzate, favorevole alle fonti fossili. La “green economy” stravolta nel falso modello dietro il quale si celano “eco-affari” da parte di potentissime lobbies multinazionali che influenzano le decisioni governative e quelle parlamentari a danno dell’ambiente. Un esempio emblematico è il recente articolo 41 inserito nel decreto Genova sui fanghi contenenti idrocarburi policiclici aromatici da spargere come fertilizzanti nei terreni agricoli. Si pensi in proposito all’eolico selvaggio in alcune aree del Belpaese, così come avviene in Puglia, Basilicata, Molise, Sicilia e Sardegna, oggi autorizzate a livello statale per potenze superiori a 30 megawatt.
Decisioni che promettono di sfregiare montagne e paesaggi, anche all’interno delle aree protette, senza alcune beneficio per le comunità e le economie tradizionali locali. Ma si vedano le estrazioni petrolifere e gli stoccaggi del gas in Italia nei parchi, in zone a rischio sismico e vulnerabili dal punto di vista idrogeologico.
Quello che preoccupa maggiormente è l’assenza di politiche capaci di fronteggiare i cambiamenti climatici, mentre nuovi progetti prevedono stravolgimenti ambientali su un territorio divenuto merce di scambio per le lobbies politico-affaristiche dell’energia, incentivate con soldi pubblici.
QUALE GOVERNANCE PER LE CITTÀ E LE CAMPAGNE D’ITALIA?
Nelle città il “panorama” non è diverso. Nelle periferie incombe prepotente e violento il degrado sociale e l’inquinamento (ne è l’esempio la mancata decarbonizzazione dell’Ilva di Taranto e un’intera città ostaggio dell’acciaio), con tassi di criminalità e di marginalità sociale che sono pari a quello dei danni alla salute. Manca una programmazione contro gli effetti dei cambiamenti climatici per limitare gli effetti degli eventi meteorologici estremi a livello locale. La politica è incapace di programmare la diminuzione dell’inquinamento attraverso il trasporto pubblico, incentivando quello su ferrovia e in mare delle merci, con le ristrutturazioni energetiche in edilizia. Sarebbe urgente una riforma urbanistica che favorisca la rigenerazione urbana e scoraggi il nuovo consumo di suolo agricolo con l’inquinamento dei corsi d’acqua e delle preziose falde idriche. Da tutto questo il governo in Italia è ancora molto distante, ideologicamente ma anche con le intenzioni.
MA IN EUROPA IL VENTO STA CAMBIANDO
In Italia manca una visione di governance ambientale tesa a sconfiggere le ecomafie, i crimini contro l’ambiente, la corruzione. Non una parola da parte del governo giallo-verde contro lo smantellamento della legge n.394/1991 in materia di aree protette. Una legge che gli altri Paesi, invece, ci invidiano e che l’ex governo Renzi aveva iniziato a smantellare. Un tentativo che purtroppo oggi troverebbe favorevole una larga maggioranza trasversale nell’attuale Parlamento Italiano. Mentre nell’Europa dei banchieri, dei giubbini gialli del caos e violenza nelle periferie che oggi arriva nelle capitali europee, in regioni tradizionalmente conservatrici, come in Baviera, c’è chi apre ai migranti e si oppone ai sovranisti, e prende voti. Come la Linke a Berlino o gli ecologisti in Spagna e in Portogallo. I Verdi passano dal 9 al 18 per cento: un risultato non previsto dai grandi media. Quanto accaduto il 14 ottobre scorso in Germania rilancia un movimento progressista ecologista europeo aperto, un soggetto politico attento alle politiche verso i migranti, anti-sovranista, tradizionalmente anti-revisionista e anti-xenofobo, capace di una visione del futuro di pace nella società moderna e in Europa.
IL PARTITO DEI VERDI IN EUROPA
Nell’attuale ottava legislatura del Parlamento europeo, in scadenza nel 2019, i rappresentati dei Verdi sono 51. Fanno parte del “Gruppo Verdi-Ale” che vede i tre partiti “Verdi” tedeschi (Grüne, ODP e Piraten) esprimere ben 11 rappresentanti, seguiti da “Ecolo” francesi con 6, e dagli svedesi dell’M.P., con 4 rappresentanti. Mentre i 6 rappresentanti del Regno Unito (Gran Bretagna, Scozia e Galles) con la Brexit non saranno più presenti. I Verdi europei attualmente sono la quarta forza politica europea, ma puntano, sull’onda delle elezioni in alcuni Paesi nord-europei e, soprattutto, in Germania, a divenire una forza centrale nello scacchiere decisionale europeo, puntando soprattutto ad incrementare rappresentanti nelle nazioni in cui sono già presenti: Germania, Francia, Spagna, Svezia, Austria, Paesi Bassi, Belgio, Ungheria, Lussemburgo, Lituania, Estonia, Croazia, Slovenia, Norvegia, Danimarca e Finlandia. Mentre l’Italia non ha rappresentanti.
Michael Koß, politologo presso l’Università Ludwig Maximilian di Monaco, ha spiegato che il classico conflitto tra destra e sinistra, con i rispettivi opposti posizionamenti sulla redistribuzione della ricchezza e su altre questioni socioeconomiche, è stato gradualmente sostituito da una nuova divisione ideologica che sta favorendo il partito dei Verdi definiti «cosmopoliti contro gli isolazionisti, con vedute liberali-alternative contro le opinioni tradizionali autoritarie, europeisti contro gli euroscettici». E poiché questa trasformazione è una tendenza a lungo termine – ha spiegato Michael Koß – «è improbabile che l’attuale successo dei Verdi in Europa sia temporaneo.» Katharina Schulze, astro nascente dei Verdi in Germania, ha 33 anni. È carismatica ed afferma che «essere antifascista non significa essere un’estremista di sinistra». Femminista, si ispira alle tradizioni bavaresi ma parla dell’importanza di prendersi cura della Terra spingendo i governi nazionali in Europa verso politiche che se ne debbono occupare.
Claudia Köhler, altra candidata verde di Monaco, coinvolge il volontariato cattolico e parla di sostenibilità, di investimenti da effettuare nelle infrastrutture verdi, nell’istruzione e verso la cultura aperta a tutti. È sostenitrice di politiche umanitarie e in materia di asilo sostiene politiche verso i paesi orientali e nord africani, là dove l’acuirsi della crisi economica, i conflitti e le guerre coincidono in modo drammatico e violento con la crisi ambientale globale.
LA COP24 E LE POLITICHE FOSSILI EUROPEE
La Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici (COP24) si terrà a Katowice, la capitale polacca dell’inquinante carbone, dal 2 al 14 dicembre prossimo. Le banche dell’Unione europea e la Banca europea degli investimenti (Bei) e dalla sua partecipata, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) nel mentre si dichiarano a favore dell’energia sostenibile e lo sviluppo durevole e pulito, assicurano i loro finanziamenti agli inquinanti fonti fossili e al carbone. La Bei vede come azionisti i 28 Stati membri, mentre la Bers è partecipata dalla stessa Bei e da 67 Paesi del Mondo.
Bankwatch, l’osservatorio che monitora i finanziamenti delle due banche europee (non esistono rappresentanze in Italia ma principalmente rappresentanti dell’Europa dell’Est) evidenzia come le fonti fossili abbiano ottenuto dal 2013 al 2017 altri 11,8 miliardi. I verdi e gli ecologisti europei non ci stanno e già contestano in tutta Europa queste banche che finanziano il carbone, il settore fossile e il gas, mentre in Italia sono ben altri i temi all’attenzione dei partiti e dei media. Per la realizzazione delle “pipeline”, la Bei ha stanziato 10,4 miliardi di euro tra il 2007 e il 2012 e altri 8,3 miliardi tra il 2013 e il 2017. A questi vanno aggiunti altri 2,8 miliardi stanziati di recente per la Trans adriatic pipeline (Tap) e Trans Anatolian Pipeline, due segmenti del Southern Gas Corridor per garantire la fornitura di gas per l’Europa proveniente dal Caspio e dal nord Africa, al quale il governo giallo-verde ha confermato il suo pieno appoggio. Ma queste politiche trovano contrari principalmente i partiti verdi della Germania che denunciano danni alla salute per i cittadini europei e all’ambiente nei prossimi anni, con elevati costi sociali ed economici a danno della collettività. La Germania aveva programmato di uscire dalle fonti fossili e dal nucleare nei prossimi venti anni, mentre l’Europa non ha ancora espresso il proprio ruolo politico verso il cambiamento delle politiche a favore dell’ambiente per bloccare le emissioni di gas serra.
Contestano la Bei, che tra il 2013 e il 2017, ha previsto programmi di finanziamento per costruire nuove centrali a carbone e pipeline che invece potrebbero servire a rilanciare l’uso di tecnologie verso il trasporto elettrico. Secondo Bankwatch, tra queste società figurano «Energa, Tauron e Pge in Polonia, Endesa in Spagna, Ppc in Grecia e Cez in Repubblica Ceca».
L’EUROPA, I PARTITI E L’AMBIENTE IN ITALIA
In Italia la nascita di un nuovo soggetto politico ecologista europeo deve essere capace di unire su obiettivi condivisi le diverse anime ecologiche: il volontariato progressista cattolico che si ispira all’Enciclica di Papa Francesco “Laudato Sì”, sull’ambiente e l’origine delle povertà nel mondo, e i movimenti ambientalisti presenti numerosi in Italia, al momento esclusi sia dal governo e sia delle “opposizioni” dalla sinistra e dalla destra in Parlamento. Un nuovo partito verde capace di andare oltre la storia dei Verdi italiani, ricollegandosi a quanto indicato nell’Enciclica di Papa Francesco allorquando fa riferimento al ruolo del «movimento ecologico mondiale che ha già fatto un lungo percorso, arricchito dallo sforzo di molte organizzazioni della società civile. Non sarebbe possibile qui menzionarle tutte, né ripercorrere la storia dei loro contributi. Ma grazie a tanto impegno, le questioni ambientali sono state sempre più presenti nell’agenda pubblica e sono diventate un invito permanente a pensare a lungo termine. Ciononostante, i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci […]»
Nati nel 1986, i Verdi Italiani, dopo un incremento in termini di consenso culminato durante il primo governo Prodi con la presenza in alcuni dicasteri importanti (Agricoltura e Ambiente), sono scomparsi dal panorama politico italiano, segnando un declino costante anche delle politiche in favore dell’ambiente. Alcuni commentatori imputano questo declino alla condivisione alle politiche industrialiste e alla crisi della sinistra al quale essi erano legati, dopo aver lanciato e vinto sfide importanti sul terreno dei diritti, così come nel referendum vittorioso nel 1987 contro il nucleare in Italia, per la legge n.394/1991 sui parchi italiani, l’istituzione del ministero dell’Ambiente, il referendum contro l’uso dei pesticidi in agricoltura del 1990. Ma il nuovo vento ecologista nel nord Europa potrebbe raggiungere anche la società italiana, imbrigliata negli slogan autoritari dei partiti di governo, molto simili a quelli dei vecchi partiti. I cittadini in Italia, incapaci nell’esprimere un consenso verso i partiti tradizionalmente più moderati, la parte cattolica dell’opinione pubblica italiana notoriamente conservatrice, come in Germania, potrebbero superare le vecchie ideologie guardando ai nuovi programmi ecologisti e alle politiche che la nuova Europa saprà promuovere nei prossimi anni a partire dalle prossime elezioni del Parlamento europeo.