A seguito dell’accorpamento di oltre 7 mila militari del Corpo forestale dello Stato nell’Arma dei carabinieri – avvenuto ufficialmente nel gennaio del 2017, come disposto dalla riforma Madia del 2015 – solo in 236 hanno chiesto di passare ad altre amministrazioni civili. La paventata smilitarizzazione, di fatto, non c’è stata, probabilmente per una scelta condizionata. La nostra analisi delle attuali norme che regolano il settore, tra mancanza di chiarezza e numerosi elementi di incostituzionalità.
Poco più del 3 per cento degli ex forestali ha salvaguardato il proprio status civile preferendo gradi e mostrine. Per comprendere fino in fondo questa decisione, occorre aver chiari i meccanismi che hanno regolato l’assorbimento del Corpo forestale nei carabinieri.
Il tutto ha inizio con la legge n.124/2015 – la cosiddetta riforma Madia – oggetto di numerose norme già dichiarate incostituzionali.
Con quel provvedimento – fermi restando “la garanzia dei livelli di presidio dell’ambiente, del territorio e del mare e della sicurezza agroalimentare”, oltre alla “salvaguardia delle professionalità esistenti” – il Parlamento delegava il governo alla riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato e ad un eventuale assorbimento dello stesso in altra forza di polizia, con contestuale “riordino delle funzioni di polizia di tutela dell’ambiente, del territorio e del mare, nonché nel campo della sicurezza e dei controlli nel settore agroalimentare.”
In caso di assorbimento avrebbe dovuto essere previsto “il transito del personale nella relativa forza di polizia, nonché la facoltà di transito, in un contingente limitato, previa determinazione delle relative modalità, nelle altre forze di polizia, in conseguente corrispondenza delle funzioni alle stesse attribuite e già svolte dal medesimo personale, con l’assunzione della relativa condizione, ovvero in altre amministrazioni pubbliche.” [articolo 8, comma 1, lettera a]
Semplificando, si delegava il governo a riorganizzare il Corpo forestale entro diciotto mesi e a disporne l’eventuale assorbimento in altra forza di polizia, salvaguardando la specialità e l’unitarietà delle funzioni, oltre, naturalmente, alle professionalità dei singoli.
In attuazione di quel provvedimento, il governo ha poi emanato il decreto legislativo n.177 del 19 agosto 2016, rubricato “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n.124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.”
Con l’articolo 7 di quella legge si disponeva l’assorbimento e il transito della maggior parte delle competenze del Corpo forestale nell’Arma dei carabinieri, con la conseguente costituzione, il 25 ottobre 2016 del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentale (Cutfaa).
Diversa sorte, invece, hanno seguito altre attività prima svolte dal corpo: le competenze in materia di lotta agli incendi boschivi attribuite ai vigili del fuoco (articolo 9); le competenze in materia di ordine e sicurezza pubblica e contrasto della criminalità organizzata, attribuite alla Polizia di Stato; le attività in materia di soccorso in montagna, sorveglianza delle acque marine e controllo doganale in materia di commercio illegale della flora e della fauna in via di estinzione, attribuite alla Guardia di finanza (articolo 10); le funzioni residue del Corpo passate al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (articolo 11).
IL TRASFERIMENTO DEL PERSONALE
Assieme alle competenze, naturalmente, ci si era occupati del trasferimento del personale. In base all’articolo 12, nello specifico, erano state conseguentemente ampliate le piante organiche dei rispettivi corpi di destinazione ed il capo del Corpo forestale dello Stato aveva emanato tutta una serie di provvedimenti, il primo dei quali è stato il decreto 81253 del 31 ottobre 2016, con cui i forestali sono stati in gran parte assegnati all’Arma dei carabinieri (7.013 unità) e per il resto suddivisi tra Polizia di Stato (123 unità), Guardia di finanza (40 unità), Vigili del fuoco (379 unità) e ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (46 unità).
Entro quello stesso termine, il presidente del Consiglio dei ministri aveva emanato un decreto con il quale si stabiliva che un massimo di 607 unità avrebbe potuto chiedere la mobilità verso amministrazioni civili diverse dal ministero delle Politiche agricole e delle forze di polizia di cui sopra. Con un però: contestualmente alla domanda il richiedente avrebbe potuto optare – nel caso in cui la sua richiesta non fosse andata a buon fine – per l’accettazione dell’assegnazione originaria effettuata dal capo del Corpo forestale nel suo decreto o per il collocamento in disponibilità (articolo 33, comma 8, decreto legislativo n.165/2001).
In quest’ultima ipotesi, ormai fuoriusciti dal comparto sicurezza e difesa, i dipendenti vengono inseriti in appositi elenchi al fine della riqualificazione e ricollocazione in altre amministrazioni. Tale stato ha comunque una durata massima di due anni, durante i quali si percepisce un indennizzo pari all’80 per cento della precedente retribuzione ed al termine dei quali il rapporto di lavoro “si intende definitivamente risolto” (articolo 34, comma 4, decreto legislativo 165/2001).
LA QUESTIONE DELLA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
L’impianto normativo che coinvolge il Corpo forestale dello Stato ha sollevato molte perplessità, tanto da determinare il sorgere di una questione di legittimità costituzionale davanti la relativa Corte.
La questione – descritta nell’Ordinanza Tar Abruzzo, sezione di Pescara, n.235 del 9 giugno 2017, si fonda su molteplici profili di illegittimità, tanto della legge n.124/2015, quanto del decreto legislativo n.177/2016.
Secondo i giudici di Pescara la riforma Madia già conterrebbe, in nuce, alcuni dei vizi poi rinvenibili nel successivo decreto delegato.
Il primo si sostanzierebbe proprio nella genericità, in quanto l’articolo 8, lettera a, della legge n.124/2015, lascerebbe alla scelta arbitraria del governo lo stesso “eventuale assorbimento” del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia (punto 4 e 4.2 della motivazione). E, soprattutto, la soluzione della militarizzazione, che la delega non ha espressamente escluso, si porrebbe in netto contrasto con i principi ispiratori del nostro ordinamento e con le sue linee evolutive.
Negli anni, infatti, la tendenza seguita dal legislatore è stata quella di optare per una progressiva smilitarizzazione dei corpi di polizia, come accaduto a Polizia di Stato, Polizia penitenziaria e Vigili del fuoco con la legge n.469 del 13 maggio 1961 e, soprattutto, allo stesso Corpo forestale dello Stato, il cui ordinamento civile è stato attuato in pieno solo con la legge di riordino n.36 del 2004. Non abbiamo a che fare, dunque, solo con un’antistorica militarizzazione, ma addirittura con una ri-militarizzazione.
Trattandosi di una vera e propria virata rispetto al sistema previgente, l’oggetto, i principi e i criteri direttivi di una simile scelta si sarebbero dovuti rinvenire nella legge delega in modo esplicito o, quantomeno, univoco. Cosa che non è accaduta.
Così come è stata approvata, la disposizione si risolverebbe in una vera e propria delega in bianco, illegittima in quanto in alcun modo idonea ad orientare l’iniziativa normativa dell’Esecutivo (articoli 76 e 77 della Costituzione).
LA TUTELA DELL’AMBIENTE
Un altro elemento sicuramente più interessante riguarda direttamente la tutela dell’ambiente. I giudici ricordano come il diritto alla tutela e salvaguardia dell’ambiente rappresenti un diritto fondamentale della persona, riconducibile agli articoli 9 e 32 della Carta costituzionale. Si ha, infatti, a che fare con uno dei punti nevralgici della tutela della salute umana, i cui presidi sono irremovibili ed incomprimibili, men che meno per esigenze di risparmio (così anche la Corte costituzionale 257/2016). E, tuttavia, è proprio questa la volontà, neppure minimamente celata, che sta dietro l’intera operazione: “per mere esigenze di bilancio e con operazione meramente ragionieristica di contenimento dei costi, si è ritenuto di smembrare un Corpo che nella sua lunga storia ha maturato un riconosciuto e consolidato bagaglio specialistico nella tutela dei beni ambientali.” (punto 4.1)
I dati oggi disponibili, al contrario, dimostrano come, con personale e mezzi invariati, non solo il risparmio di spesa derivante dall’assorbimento si sia rivelato inesistente, ma come si sia causata “la dispersione di un patrimonio culturale specialistico in complesse operazioni di riorganizzazione”, “non semplificando un collaudato sistema di protezione ambientale ma disciogliendolo in vari rivoli.” (punto 4.1)
Evidenti, infatti, sono stati gli elementi di complicazione e le inefficienze, soprattutto sotto il profilo della lotta agli incendi boschivi. La cosa era anche sotto gli occhi dei giudici di Pescara, che scrivevano le loro motivazioni proprio nel pieno della terrificante stagione degli incendi del 2017.
Come anticipato, il Tar non ha risparmiato neppure le scelte prese dal governo con il decreto legislativo n.177/2016. La vaghezza e la discrezionalità lasciate all’Esecutivo, infatti, difficilmente avrebbero potuto portare ad un risultato esente da censura. Non solo non si è prevista la possibilità per i forestali di essere assegnati ad una forza di polizia ad ordinamento civile, ma la ri-militarizzazione ha costituito il fulcro stesso della riforma.
Una scelta, quest’ultima, non solo contraria alla delega, ma anche irrazionale e, quindi, contraria all’articolo 3 della Carta, sia perché la militarizzazione non determina di per sé un innalzamento della tutela offerta ai cittadini e al patrimonio naturale, sia perché la rete capillare dei presidi del Corpo forestale dello Stato ha finito per sovrapporsi alla rete dell’Arma dei carabinieri.
In definitiva, secondo i giudici, stando alla legge delega del 2015, l’unica soluzione rispettosa della (non chiarissima) volontà del Parlamento sarebbe stata l’assorbimento del Corpo forestale nella Polizia di Stato. La seconda, principale, critica mossa all’assetto delineato dagli articoli 7 e similari del decreto legislativo n.177/2016 consisterebbe nella violazione dell’articolo 2 della Costituzione, in quanto avrebbe determinato una insopportabile “limitazione del principio di autodeterminazione del personale del Corpo forestale nel consentire all’assunzione dello status militare e alle conseguenti limitazioni all’esercizione dei diritti costituzionali facenti capo al singolo.” (punto 3.1)
Se avesse rinunciato all’assegnazione disposta dal comandante del Corpo forestale – sostengono i giudici – il personale si sarebbe esposto al sicuro peggioramento delle proprie condizioni giuridiche ed economiche del proprio rapporto di lavoro (mobilità e disponibilità), nonché ad una possibile estinzione dello stesso. Problema, questo, certamente accentuato dall’esiguità dei posti messi a disposizioni in altre amministrazioni civili dello Stato e, incredibilmente, neppure preso in considerazione dal Consiglio di Stato. (parere n.1183/2016)
VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DELLA COSTITUZIONE SU LIBERTÀ DI AUTODETERMINAZIONE DELL’INDIVIDUO
Come affermano i giudici, dunque, la scelta di gran parte del personale di non tentare l’insidiosa strada della mobilità non sembra “frutto di volontà libera da coazione”, quanto piuttosto dettata dal bisogno di non sacrificare la propria professionalità e di tutelare le condizioni lavorative ed economiche proprie e della propria famiglia. Un risultato ancora una volta certificato dai numeri: sul totale del personale assegnato all’Arma, solo in 236 ex forestali hanno chiesto di passare ad altre amministrazioni civili e, di questi, in 52 hanno rischiato la procedura di disponibilità in caso di mancato accoglimento. Nonostante l’assenza di una scelta libera, con l’assunzione dello status militare, gli ex forestali si sono sottoposti ad un regime disciplinare e gerarchico molto più intenso di quello delle forze di Polizia ad ordinamento civile. Sono, inoltre, soggetti al codice penale militare di pace, alla giurisdizione della magistratura militare e all’obbligo di difesa militare della Patria.
Anche a parere del Tar Veneto (ordinanza n.210/2018) il legislatore ha inciso significativamente la libertà di autodeterminazione dell’individuo, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione, che riconosce il valore del singolo individuo ed il suo diritto di sviluppare pienamente la propria personalità. Questa libertà, per altro, sarebbe particolarmente rafforzata con riferimento al luogo di lavoro, in quanto l’articolo 4 della Costituzione riconosce a ciascun cittadino il diritto di scegliere liberamente la propria attività lavorativa, “il che comporta, da parte dei pubblici poteri, il dovere di astensione da ogni interferenza nella libertà del singolo di scegliere autonomamente la professione che maggiormente si addice alla propria personalità.” (punto 5)
Verrebbe da dire che il legislatore non ha tenuto in debita considerazione le belle parole che neppure troppo tempo prima erano state spese nei confronti del Corpo forestale, definito quale “Corpo benemerito che da quasi centottanta anni svolge, pur nella carenza dei mezzi a disposizione, un’efficace azione nello spazio rurale, attraverso attività di prevenzione, controllo e repressione per la salvaguardia del settore agricolo e forestale nazionale.”
Un vero e proprio baluardo fondamentale alle sempre più impetuose calamità legate al dissesto idrogeologico, agli incendi boschivi e alle avversità meteorologiche, riformato nel 2004 con lo scopo di “fare compiere un salto di qualità ad un Corpo che ha tutte le potenzialità umane e professionali per divenire una forza di eccellenza, con la creazione di una struttura ad alta specializzazione tecnica ed operativa.” (relazione al disegno di legge n.1535 della Camera della XIV legislatura)
Dopo l’udienza del prossimo 8 aprile sulle libertà sindacali degli appartenenti a corpi militari, il 5 giugno 2018 la Corte costituzionale affronterà anche questa delicatissima questione.