Sottoponiamo all’attenzione dei nostri lettori una lettera-appello, a firma di Savino Tritto (detto Maurizio) – che la nostra redazione ha ricevuto qualche giorno fa – sul Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza. Sul Cpr in questione, Terre di frontiera si riserva di intervenire con un approfondimento-inchiesta di prossima pubblicazione.
Le ali si spezzano a furia di sbattere contro la rete che le trattiene. Il cuore piange sognando di correre nei campi. I polmoni si pregnano dei profumi di terra, grano e papaveri, ma gli occhi rimangono imprigionati in una gabbia di filo spinato. Le nostre paure si trasformano in odio e la diversità diventa intolleranza. Si odono le campane della chiesa che, insieme alle urla, rompono il silenzio spettrale.
Nel 2011, con un’imponente mobilitazione, partiti, sindacati, istituzioni, associazioni e cittadini chiesero la chiusura del Centro d’identificazione ed espulsione (Cie) di Palazzo San Gervasio. Una mobilitazione che aiutò a far luce su quanto stesse accadendo nella struttura, sollecitando inchieste giornalistiche e l’intervento della Commissione giustizia del Senato e del Tribunale di Melfi che portò alla chiusura, purtroppo solo momentanea, del centro.
Lo scenario che invece si vive oggi – dopo la riapertura del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) – è quello di un quasi totale disinteresse da parte degli enti competenti, nonostante le drammatiche notizie che fanno del Cpr di Palazzo San Gervasio un postaccio: si raccontano di tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, ingresso di sostanze stupefacenti nella struttura, evasioni di massa, lo stupro collettivo ai danni di una persona in custodia, che avrebbero dovuto far accendere, oggi più di ieri, le coscienze della mobilitazione.
A un anno dalla sua riapertura riecheggia, invece, solo l’onda emotiva iniziale di un’inefficace e inconcludente propaganda politica.
Un paio di manifestazioni organizzate forse con troppa improvvisazione, visto l’esiguo numero di aderenti, una miriade di comunicati stampa e due sole interrogazioni parlamentari è ciò che associazioni, partiti, istituzioni e cittadini hanno saputo fare. Non c’è traccia alcuna delle interrogazioni sbandierate e promesse, dopo la loro ispezione, dall’eurodeputata Eleonora Forenza (L’Altra Europa con Tsipras) e del Gruppo parlamentare lucano del Movimento 5 Stelle con il senatore Arnaldo Lomuti – membro della Commissione giustizia del Senato – che dovrebbe occuparsi proprio di vicende come questa.
GLI «OSPITI»
Dalla riapertura del Centro, nei verbali istituzionali, nei contratti di affidamento dei servizi, nelle interviste e nei comunicati stampa, viene utilizzata sempre ed impropriamente la parola «ospiti», per identificare le persone rinchiuse nel Cpr, disincantando e confondendo l’opinione pubblica, eludendo e mistificando la realtà.
«La vigilanza, nel corso dei colloqui riservati, dovrà essere discreta […] possono accedere al Centro in qualunque momento e senza autorizzazione i garanti regionali per la tutela dei diritti dei detenuti […] l’apertura del pacco postale deve avvenire da parte dell’ospite destinatario, assistito da un operatore dell’ente gestore e da un appartenente al servizio di vigilanza […] gli ospiti potranno uscire dal Centro solo previa autorizzazione e per motivi legati ad urgenze sanitarie […]».
Queste sono alcune delle regole di condotta indicate dal ministero dell’Interno che «ospiti» e personale sono tenuti a seguire. Il filo spinato – una rete metallica alta cinque metri – le Forze dell’ordine e i militari armati, confermano e rafforzano ulteriormente l’idea che quel postaccio non ha nulla in comune con la parola «ospite» ed «ospitalità».
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE BASILICATA
«Domani incontrerò il Prefetto di Potenza per definire le attività, d’intesa con il ministero, necessarie a trasformare l’ex Cie di Palazzo San Gervasio in un centro plurimo di accoglienza […] faremo la nostra parte, senza voltare le spalle a chi oggi, più che mai, ha bisogno del nostro aiuto.»
Questo è quanto affermava, nell’aprile 2015, il governatore della Basilicata Marcello Pittella, richiamato dalle preoccupazioni di alcuni cittadini che avevano notato, da alcune settimane, la ripresa dei lavori di cantiere all’interno della struttura. Lavori che continuarono per circa due anni senza che la rete metallica arrugginita, alta oltre cinque metri, fosse mai stata smontata. Una rete che fece guadagnare vergognosamente il nome di “voliera umana, la Guantanamo d’Italia” a quel postaccio. Insomma, nulla a che fare con la parola «accoglienza». Ma i lucani, da tempo, sono abituati e purtroppo anche assuefatti alle promesse mai mantenute e ai tanti «mai più» del presidente della Regione Basilicata.
IL SINDACO E L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI PALAZZO SAN GERVASIO
Nel corso di due Consigli comunali e di un’intervista il primo cittadino, Michele Mastro, ha rilasciato alcune dichiarazioni che meritano una riflessione particolare, in quanto spiegano chiaramente quali sono le responsabilità morali in tutta questa storia.
«Manca qualche altro piccolo dettaglio ma comunque io penso che prima di partire, bisogna investire la popolazione e farle capire di cosa stiamo parlando, e bisogna vedere questa cosa come un valore aggiunto anche da un punto di vista di ricaduta occupazionale.» Questo quanto dichiarato dal sindaco di Palazzo San Gervasio, il 15 giugno 2016, al Tg regionale, sull’imminente apertura del Centro di permanenza per il rimpatrio.
E, infatti, sembra che il «valore aggiunto» da un punto di vista occupazionale ci sia stato. Questo emerge dal verbale del Consiglio comunale tenutosi in data 21 febbraio 2018 sulla vicenda delle dimissioni di tre consiglieri di maggioranza e sull’”affaire” Cpr.
«Preciso che io ricevetti nell’ufficio del sindaco la ditta alla presenza anche della dottoressa Orlando e in quella sede fu detto dalla ditta che avevano da assumere personale e che avrebbero potuto valutare dei suggerimenti e che poi loro avrebbero valutato per assumere figure professionali qualificate. Tale maggioranza ha fatto la scelta di indicare dei nomi delle persone disagiate e indicate dai servizi sociali», ha dichiarato Mastro. Che, invece, ad alcune domande specifiche non ha dato risposta, come quelle formulate dalla consigliera comunale Lioy («Se è vero che ci si è mossi su segnalazione dei servizi sociali per designare personale in stato di bisogno, allora quand’è che poi nasce il problema causativo delle deleghe?») e dai tre consiglieri di maggioranza dimissionari («È stato troppo chiedere che chi avrebbe potuto ricoprire un ruolo all’interno del campo non avesse alcun nesso diretto o indiretto con esponenti sia politici che istituzionali presenti in Consiglio comunale?»)
Nel Consiglio comunale convocato l’11 aprile 2018, in seguito alla fuga di ventiquattro persone trattenute nel Cpr, il sindaco qualcosa dice: «[…] se questa struttura non è in sicurezza come bene ha detto il consigliere Barbuzzi, allora il Prefetto insieme agli organi preposti, dovrà verificare le condizioni, altrimenti saremo costretti a chiedere al Prefetto la chiusura di tale struttura, e il Consiglio all’unanimità mi dovrà dare in tal senso mandato, avendo la necessità di garantire il rispetto e la sicurezza di chi gestisce il Centro.»
Nel punto 4, allegato B, del verbale del sopraccitato Consiglio comunale si evidenzia e si sottoscrive l’impegno preso davanti ai cittadini di «avviare le procedure di chiusura immediata del Cpr […], accertata la falla di sicurezza evidenziata con la fuga di 24 persone.»
Indipendentemente dalla lettura che può risultare di non facile comprensione in alcune frasi espresse dal sindaco, ad oggi, non risulta ancora alcuna azione legale intrapresa dal Comune di Palazzo San Gervasio per tentare la chiusura di quel postaccio. Nel circo della politica esistono equilibristi e figure più leggiadre. In questo caso sembra siano state ben rappresentate entrambe.
LA PREFETTURA
Il Cpr (ex Cie) è sito in un lotto immobiliare nella zona industriale di Palazzo San Gervasio, un bene confiscato alla mafia, la cui titolarità è stata acquisita dal ministero dell’Interno nel febbraio 2012.
Nel corso di questi anni gli investimenti per trasformare in zona detentiva quell’area, che inizialmente era un semplice deposito per automezzi industriali, con un capannone ed un parcheggio non asfaltato, sono stati dell’ordine di diversi milioni di euro. I lavori edili, che sembrano interminabili, sono uno degli aspetti che pongono evidenti perplessità sull’operato della Prefettura di Potenza, tant’è che nel bando di assegnazione dell’appalto per i servizi indetto dal Viminale, con decreto di urgenza, si fa un chiaro riferimento alla non completezza dell’adeguamento della struttura. Tale situazione pone inevitabilmente alcuni quesiti: la struttura era a norma quando è iniziata l’occupazione da parte del personale e delle persone in attesa di espulsione? La struttura garantiva gli standard di sicurezza e quelli abitativi? Dalla miriade dei comunicati stampa sulla questione sembrerebbe proprio di no. Il più emblematico di questi è forse quello diramato dal segretario generale del Sindacato unitario lavoratori Polizia, Remo Buonsanti, che in una lettera aperta inviata al Prefetto e al Questore di Potenza scrive che «bisognerebbe domandarsi con quale scienza, coscienza e criterio, è stata decretata l’idoneità di questo sito e chiedersi perché non sono state valutate soluzioni alternative.»
Nell’interrogazione a firma degli europarlamentari Cinquestelle, Pedicini, Ferrara, Tamburrano – a seguito di un’ispezione di alcuni delegati parlamentari del Movimento – vengono riportate queste parole: «Sono state riscontrate condizioni inumane e degradanti, nonché minacce di suicidio, con il personale di polizia costretto a gestire la sicurezza sia all’interno del Cpr, sia nel centro urbano.» Pesanti come un macigno sono poi le parole usate in un’interrogazione a firma dei senatori della Lega, Salvini, Pepe, Saponara. Parole che assumono un significato oltremodo durissimo se si pensa che provengono da rappresentanti di un partito che, notoriamente, non nutre molte simpatie per i migranti. I tre senatori scrivono che «il Cpr di Palazzo San Gervasio, individuato dal ministero a suo tempo e da pochi mesi operativo, risulterebbe, invece, ancora oggi incompleto nella sua realizzazione, tanto da essere ben lontano dagli standard minimi di sicurezza e decoro per le forze dell’ordine, che vi operano all’interno in condizioni precarie, ma anche per gli immigrati ivi trattenuti che, anziché essere rimpatriati nel più breve tempo possibile, si vedono “parcheggiati” in una situazione non proprio rispettosa della loro dignità, anche per via di un servizio tutt’altro che efficientissimo quanto alla pulizia degli ambienti (carenza, questa, riscontrata personalmente dal primo firmatario del presente atto durante il sopralluogo effettuato in data 25 marzo 2018);la struttura, resa operativa pur non essendo del tutto idonea e sicura, ha destato già da tempo forti preoccupazioni tra la popolazione residente a Palazzo San Gervasio, per la propria tranquillità e per i dubbi riguardo alla presenza delle dovute precauzioni e delle necessarie misure atte a prevenire eventuali evasioni.»
A fare da eco a questa interrogazione, si aggiungono ancora le parole del sindaco di Palazzo San Gervasio che in una situazione di evidente imbarazzo, per quanto da lui dichiarato nei mesi precedenti, dice: «Se questi ospiti tentano la fuga probabilmente […] e dico probabilmente […] c’è qualcosa che non va nella gestione del Centro e sulle modalità di conduzione dello stesso e questo lo chiederò a S.E. il Prefetto.»
Di chi sono quindi le responsabilità? Il Prefetto di Potenza, Giovanna Cagliostro, aveva precedentemente reso notizia al ministero che quel postaccio non garantiva vivibilità e sicurezza? Se sì, ha successivamente ricevuto un nullaosta che la esentasse da eventuali responsabilità future?
I quesiti e i dubbi su come la Prefettura di Potenza abbia condotto capestramente, e con inspiegabile leggerezza, l’intera vicenda Cpr sono suffragati anche dalla storia della società aggiudicatrice dell’appalto.
ENGEL ITALIA SRL
La Engel Italia srl svolge la sua attività da diversi anni, a volte in modo autonomo ed in altre in comunione d’affari con alcune società.
Ad interessare la Engel è una vicenda – durata dal 2014 al 2016 – conclusasi con un decreto di urgenza del sindaco del Comune di Capaccio Paestum, in provincia di Salerno, che ordinava l’immediato trasferimento delle persone ospitate in una struttura della società in questione in altri Centri. Provvedimento avallato anche dal ministero dell’Interno.
Le motivazioni di tale provvedimento sono state la non corrispondenza ai dettati del progetto, le irregolarità nel pagamento puntuale del pocket money, l’inadeguatezza del cibo, la mancata previsione di attività interne, la mancata fornitura di abbigliamento. A tutto ciò seguirono una serie di segnalazioni. Successivamente, la Procura di Avellino, in seguito alle indagini dei Nas dei Carabinieri, che evidenziarono «anomalie nella somministrazione degli alimenti, in qualche caso scaduti, di carenze igieniche e di strutture prive dei requisiti di sicurezza», dispose il sequestro di altri Centri gestiti direttamente dalla Engel o di consorzi e cooperative ad essa collegate. Le vicende in questione, tuttavia, si sono poi concluse con una richiesta d’archiviazione e un probabile risarcimento da corrispondere alla società. Che in realtà come Salerno, Avellino e Taranto ha continuato a operare nella gestione dei Centri d’accoglienza straordinari (Cas) e di un progetto Sprar.
Nel bando di gara d’appalto indetto dalla Prefettura, e vinto dalla Engel Italia srl, c’è scritto chiaramente che la graduatoria definitiva sarà redatta dopo la verifica del possesso dei requisiti.
Nella dichiarazione sostitutiva – ai sensi del decreto del presidente della Repubblica n.445/2000 – per partecipare alla gara d’appalto, alla voce «dichiara» è riportata questa dicitura: «di aver precedente esperienza ambito Sprar/Cas o in progetti di accoglienza similari destinati ai richiedenti protezione internazionale, e di aver reso senza demerito, per i soggetti pubblici individuati dall’articolo 3 comma 1, lettere a) e b), decreto legislativo n.50/2016, negli ultimi tre anni, i seguenti servizi […] Senza demerito verso soggetti pubblici.»
L’INDIFFERENZA COLLETTIVA
Prima o poi il Cpr – quel postaccio – chiuderà. Resterà solo l’aspro ricordo legato in modo inscindibile al nome di Palazzo San Gervasio. Una macchia indelebile che, certamente, non scalfirà l’anima di chi è stato in silenzio, quella degli assenti, quella di chi ha speculato sull’altrui vita e libertà.
Il libro della vergogna del Cpr di Palazzo San Gervasio è già storia negli archivi della biblioteca dell’omertà e dell’indifferenza.