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Turismo, paesaggio, salute: i danni di una politica pro trivellazioni

Election day o no, tra la metà di aprile e quella di giugno potremmo essere chiamati a votare il referendum sulle trivelle a mare. Decideremo di salvare o meno i progetti di estrazione di idrocarburi già autorizzati entro le 12 miglia marine dalla costa, “per tutta la durata di vita utile del giacimento”.

Nel frattempo le grandi manovre petrolifere italiane vanno avanti senza sosta. Perché oltre le 12 miglia (poco più di 22 chilometri dalla spiaggia) ed in terraferma la prerogativa per l’Esecutivo non è fermarsi, ma procedere finché è possibile. Corte Costituzionale permettendo. Anche mettendo a rischio il paesaggio, il turismo e le economie locali. Slowfood ci ricorda come in provincia di Ascoli Piceno, a Ripatransone, la società Apennine energy vorrebbe trivellare un pozzo esplorativo per la ricerca di gas in mezzo alle “più belle vigne del Piceno, dove sangiovese, montepulciano, pecorino, passerina, favoriscono la produzione di vini Doc e Docg ormai noti oltre confine”.
Da un anno il Comitato No Trivelle nel Piceno si batte per scongiurare il pericolo. Alla faccia della sostenibilità e del made in Italy, verrebbe da dire, se mettiamo a repentaglio la sopravvivenza delle cantine marchigiane. Risorse nostrane indispensabili e pulite. Purtroppo una fotografia desolante già vista altrove. Nell’entroterra della Basilicata da oltre 20 anni l’Eni estrae greggio dal più grande giacimento in terraferma d’Europa, e lo fa anche all’interno del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese e in prossimità o a cavallo di Zone di Protezione Speciale (ZPS) e Siti d’Interesse Comunitario (SIC). E lo si continua a fare. Dieci giorni fa la compagnia petrolifera Shell ha depositato i progetti di Valutazione d’Impatto Ambientale per 3 istanze di ricerca di idrocarburi. Sono 19 i Comuni coinvolti, tra la Basilicata (in val d’Agri e nel Melandro) e la Campania (nel vallo di Diano).
Così, il raddoppio delle estrazioni nazionali di greggio e gas – desiderio mai nascosto dagli ultimi tre governi non eletti dai cittadini – passa soprattutto dal territorio lucano e dalle aree limitrofe dell’Appennino meridionale a rischio sismico, in presenza di bacini idrici fondamentali per gli usi potabili ed irrigui. In merito a questi progetti la Regione Basilicata – che ha favorito il percorso referendario in difesa del mare – non si pronuncia. A dimostrazione che in terraferma gli interessi delle multinazionali hanno un peso maggiore. L’aumento delle attività estrattive in Basilicata – principalmente per quello che riguarda al momento l’incremento della produzione di gas (da 3,5 a 4,6 milioni di metri cubi di gas al giorno) – ci dice che il referendum confermativo di ottobre sulla modifica della Costituzione e del Titolo V assume (insieme a quello relativo ai titoli entro le 12 miglia dalla cosa) un passaggio democratico importante, pensando alle questioni legate allo sfruttamento del territorio ed agli impatti ambientali coinvolti.
Del resto, non va meglio nel mar Adriatico dove, nonostante le rassicurazioni e le smentite del ministero dello Sviluppo economico, ritorna il rischio trivellazioni a ridosso della riserva marina delle Diomedee. Per intenderci siamo vicino alle isole Tremiti e la società autorizzata è la Petroceltic. Sull’altra sponda, poi, fuori dalle acque territoriali italiane, il Montenegro spinge per le trivelle. La Croazia, invece, penserebbe ad una moratoria.
Le manovre di questi ultimi mesi dimostrano che i principali operatori petroliferi sono in una fase di studio. Con le piccole società apparentemente scoraggiate ad investire nella ricerca di nuovi giacimenti – per lo più di scarso valore – visto l’attuale costo del barile e con le grandi società che, invece, potrebbero decidere di investire nel medio e lungo periodo. Senza troppi ritardi autorizzativi ed intoppi burocratici però. Come potrebbe esserlo quel Piano delle aree introdotto dalla legge “Sblocca Italia” e messo da parte dalla legge di “Stabilità”. E che oggi Basilicata, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna e Veneto, nel sollevare presso la Corte Costituzionale conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento cercheranno di riabilitare insieme ai quesiti referendari dichiarati inammissibili. Mancano all’appello Abruzzo, Calabria, Campania e Molise.

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Autore:

Giornalista, direttore del periodico Terre di frontiera. Reporter per la Terra 2016 e Premio internazionale all'impegno sociale 2015 Livatino-Saetta-Costa. <a href="https://www.pietrodommarco.it">About me</a>