Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Rifiuti, sei regioni italiane a rischio deferimento

Adeguare entro aprile il piano di gestione dei rifiuti, conformandoli agli obiettivi della Direttiva 2008/98/CE. In caso contrario la Commissione europea potrebbe “deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’UE”. Questo, in sintesi, il contenuto di una nota inviata al Governo italiano lo scorso 15 febbraio.

Nel mirino dell’organismo presieduto da Jean Claude Juncker i piani di sei regioni italiane: Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Sardegna e Sicilia, oltre alla provincia autonoma di Bolzano. “Tali piani – riporta una nota stampa della Commissione – sono destinati a ridurre l’impatto dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente e a migliorare l’efficienza delle risorse in tutta l’UE” sottolineando che “gli Stati membri sono tenuti a rivalutare i loro piani di gestione dei rifiuti almeno ogni sei anni ed eventualmente a riesaminarli”. Le regioni sotto esame, riporta la Commissione “hanno omesso di riesaminare i loro piani di gestione dei rifiuti adottati nel 2008 o prima di tale data”.

Il guazzabuglio abruzzese
La revisione del piano regionale dei rifiuti – come documentato nel quarto numero del nostro periodico (pagina 54) – è stata avviata a giugno del 2013. Formulata una prima volta cinque mesi dopo e poi rivista nel mese di ottobre 2014. I ritardi accumulati hanno già portato la Regione a subire una procedura d’infrazione europea. “Il 60 per cento dei rifiuti prodotti nel 2012 (ultimi dati validati dalla Regione)”, ha evidenziato Sandro Di Scerni, esperto di progettazione e pianificazione del ciclo dei rifiuti “è stato destinato alle discariche, appena il 16 per cento è stato inviato agli impianti di compostaggio e il 20 per cento ai centri di smistamento degli imballaggi”. I rifiuti prodotti in Abruzzo sono stati smistati “in impianti localizzati in almeno 25 province” fuori regione. Senza dimenticare la storia delle ecoballe che da Pescara sono partite per il Marocco. La direttiva 2008/98/CE stabilisce precisi obiettivi e criteri per la gestione del ciclo dei rifiuti. Nel preambolo viene stabilito che “la priorità principale della gestione dei rifiuti dovrebbe essere la prevenzione ed il riutilizzo e il riciclaggio di materiali” da “preferirsi alla valorizzazione energetica dei rifiuti“. In Abruzzo, e in altre regioni, numerose polemiche hanno accompagnato il piano nazionale per la costruzione di nuovi inceneritori. La Giunta regionale, alle sollecitazioni di associazioni e movimenti ambientalisti, ha risposto definendo il nuovo piano perfettamente compatibile con le direttive europee e negando, al tempo stesso, la realizzazione di un inceneritore in Abruzzo.

La Sicilia in emergenza
Lo scorso anno, la gestione dei rifiuti nell’Isola, è finita alla ribalta nazionale per una vera e propria emergenza. Non l’unica e probabilmente nemmeno l’ultima. La prima emergenza rifiuti in Sicilia è del dicembre 1998, quando l’allora presidente della Regione, Angelo Capodicasa, chiese l’intervento del governo che dichiarò lo stato di emergenza. Il 25 luglio 2000 un decreto commissariale approvò il “Documento delle priorità degli interventi per l’emergenza rifiuti in Sicilia”, prevedendo gli interventi prioritari da attuare ed escludendo categoricamente il ricorso agli inceneritori. Il piano fu revocato dal successivo presidente regionale, Vincenzo Leanza. Dopo l’insediamento di Salvatore Cuffaro la strategia, invece, cambiò completamente, virando proprio sugli inceneritori. Un primo bando di gara – 5 miliardi la spesa prevista – fu aggiudicato nel 2003. Ma tutto si arenò nel 2007 a seguito di un provvedimento della Corte di giustizia del Lussemburgo, che annullò il bando in quanto non conforme alle norme europee. Un nuovo bando fu indetto da Raffaele Lombardo – subentrato a Cuffaro nel 2008 – ma l’asta andò deserta. L’Ispra nel 2014 ha documentato che in Sicilia il 93 per cento dei rifiuti prodotti viene conferito in discarica.

Gestione dei rifiuti e criminalità organizzata
L’8 settembre 2016 un decreto della Presidenza della Repubblica stabilisce lo scioglimento del Comune di Corleone per “forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale”, con la “permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata ha arrecato grave pregiudizio agli interessi della collettività”. Nel mirino dell’attività ispettiva, che ha portato allo scioglimento, anche la gestione dei rifiuti. Il Comune di Corleone, leggiamo nelle motivazioni del decreto, “sfruttando le difficoltà incontrate dalla società incaricata della raccolta, ha garantito a società private, collegate a consorterie mafiose locali, lo svolgimento del servizio di raccolta rifiuti”, perseguendo “gli interessi delle locali famiglie mafiose, fin dai primi momenti di crisi dell’ATO, ostacolando le procedure comunali relative all’istituzione dell’Area di raccolta ottimale (Aro), prevista da specifiche disposizioni regionali in materia di gestione del ciclo dei rifiuti”. “Nel 2014 – si legge – l’Ufficio tecnico comunale avesse preparato tutta la documentazione costitutiva dell’Aro, nonché il Piano di intervento per la raccolta dei rifiuti solidi urbani sul territorio di Corleone, dopo l’approvazione da parte della giunta, la relativa delibera consiliare non sia mai stata adottata, per espressa volontà del sindaco”.
Lo stesso primo cittadino, nel febbraio del 2015, aveva avviato “una gestione straordinaria del servizio disponendo, con proprie ordinanze contingibili ed urgenti, interventi sussidiari attraverso noli affidati a due imprese, di cui una riconducibile ad un soggetto vicino alla locale famiglia mafiosa, che ne è di fatto l’amministratore, e l’altra amministrata da un componente del consiglio di amministrazione della prima”.
La gestione dei rifiuti in Sicilia è finita anche nel mirino dell’Anac, l’autorità anticorruzione. Secondo l’organismo diretto da Raffaele Cantone ci sono “fenomeni distorsivi” di una gestione segnata da annose logiche clientelari nelle “ex Ato”. Un’esperienza “disastrosa sotto ogni punto di vista” con affidamenti avvenuti “con procedure opache e le società partecipate” sfruttate “per reclutamenti incontrollati”. La delibera 1375 del 21 dicembre scorso, dopo aver ricostruito quanto accaduto negli ultimi anni, ha evidenziato una corposa lista di criticità.

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Autore:

Attivista di vari movimenti pacifisti e ambientalisti abruzzesi, referente locale dell’associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink.