Si chiede all’Unione europea di adottare ogni utile provvedimento contro l’Italia per le numerose violazioni del diritto comunitario. Il Mediterraneo è minacciato dalle attività di ricerca petrolifera, in un contesto caratterizzato dalla presenza di navi, affondate, contenenti carici tossici e radioattivi.
È dal 2008 che abbiamo ingaggiato contro quattro governi – e il parere ambiguo di due governi regionali – una dura battaglia per la difesa del mar Jonio dalle trivellazioni petrolifere. Abbiamo portato migliaia di persone in piazza, prodotto centinaia di comunicati, organizzato iniziative e sit-in, coinvolto i comuni di tre regioni (Puglia, Basilicata e Calabria), elaborato studi scientifici, animato convegni e redatto osservazioni evidenziando numerose criticità nella ricerca di petrolio in mare. Abbiamo, infine, presentato denunce all’Unione europea e Procure territorialmente competenti, condotto campagne referendarie a difesa del territorio e della Costituzione. Le istanze e i permessi di ricerca sono diminuiti ma ancora non spariti del tutto, con il rischio di aprire alle trivellazioni off-shore anche il mar Jonio della Grecia.
È dal 2013 che stiamo sensibilizzando l’opinione pubblica e i ministeri competenti sollevando una questione importante che interessa la storia della Repubblica italiana e dei mari meridionali: quella delle navi dei veleni, più volte considerato come mistero ma che, in realtà, nasconde una pagina nera della nostra storia fatta di traffici di rifiuti pericolosi con grandi responsabilità da parte di chi le ha prodotte, di chi le ha smaltite e di quelle istituzioni che hanno permesso che questo avvenisse nei nostri mari.
Nelle nostre osservazioni abbiamo sollevato l’incompatibilità della ricerca petrolifera – oggetto anche di interrogazioni parlamentari – con l’affondamento di queste navi dei veleni. La possibile presenza sui fondali marini di mercantili carichi di rifiuti tossici e radioattivi renderebbe incompatibile i progetti di ricerca petroliera e di estrazione dal momento che non si conosce il punto esatto in cui i pericolosi cargo sarebbero affondati, ed il loro stato di conservazione.
La pericolosità è insita nel metodo di ricerca degli idrocarburi in mare con la tecnica dell’air-gun che prevede spari in acqua di aria compressa, con una potenza di circa 250 decibel, ad una frequenza di 10 secondi e per 24 ore al giorno. Una simile onda sonora potrebbe smuovere i fondali marini dove – oltre a fauna, flora e reperti archeologici – sussiste anche il fondato timore della presenza delle navi dei veleni contenenti fusti tossici e radioattivi, con il rischio che le correnti circolari diffondano eventuali inquinanti in mare.
Al riguardo numerosi atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo illecito dei rifiuti sono stati desecretati nel mese di febbraio 2017 evidenziando che la presenza delle navi affondate non è solo leggenda ma ipotesi di investigazione seria e concreta. Stesso discorso vale per le bombe sganciate nel basso Adriatico tra Puglia e ex-Jugoslavia durante il conflitto dei Balcani, la cui esistenza, addirittura in questo caso, non è solo ipotesi seria ma è dato certo.
Chiediamo pertanto all’Ue di adottare ogni utile provvedimento contro l’Italia per le numerose violazioni del diritto comunitario così compiute. Norme di diritto comunitario che configurano il Mar Mediterraneo come “mare nostrum” e bene comune delle Nazioni da proteggere e tutelare, soprattutto dal potenziale pericolo conseguente l’attività di ricerca petrolifera in un mare già martoriato, su cui incombe anche il rischio della presenza di navi affondate e contenenti carici tossici e radioattivi.