La provocazione lanciata dal Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua pubblica quasi un anno fa è più che reale ed attuale. A pochi mesi dalla stagione estiva, a Pescara, molte attività della balneazione stanno allestendo piscine per i clienti. Intanto si registrano due nuove inchieste giudiziarie e lo sversamento dei reflui nel mar Adriatico.
Il 21 marzo il Tribunale delle imprese dell’Aquila si è pronunciato sul ricorso di alcuni sindaci contro l’elezione del consiglio di amministrazione dell’Azienda comprensoriale acquedottistica (Aca), avvenuta l’8 ottobre del 2016. Secondo i sindaci ricorrenti, il decreto Madia impone la rielezione di un amministratore unico, non un consiglio di amministrazione collegiale, come avvenuto. In attesa di decidere nel merito, non prima di un mese, il Tribunale delle imprese ha ritenuto non infondati i motivi del ricorso, imponendo al consiglio di amministrazione di Aca di limitarsi solo all’ordinaria, appunto, amministrazione. I consiglieri, quindi, non sono stati sospesi ma l’azione amministrativa è stata fortemente limitata.
Il 22 marzo il direttore di Aca, Bartolomeo Di Giovanni, e il direttore tecnico, Lorenzo Livello, sono stati indagati per inquinamento ambientale. Nel mirino lo sversamento di 161 mila metri cubi di reflui dal sistema degli scolmatori dell’impianto fognario di Pescara direttamente alla foce del mare Adriatico. L’indagine del procuratore capo delle Repubblica di Pescara, Cristina Tedeschini, e del sostituto procuratore Andrea Papalia, è volta ad accertare le cause dell’inquinamento della foce del fiume Pescara. La magistratura si sta interessando anche al mancato utilizzo delle vasche di equalizzazione esterne al Depuratore comunale di via Raiale. Le vasche non sarebbero entrate in funzione costituendo – secondo l’inchiesta – un volume di accumulo per le acque di prima pioggia, fortemente inquinate, evitando lo scarico degli scolmatori direttamente alla foce del fiume Pescara.
Lo stesso giorno è stato reso noto che il presidente della Sasi, Gianfranco Basterebbe, e un tecnico della stessa società – dopo un esposto presentato dalle Guardie WWF – sono stati denunciati dai Carabinieri forestali con l’accusa di sversamenti irregolari, a causa dei quali liquami finivano “tal quale” nel terreno e nel torrente fontanelle – affluente del fiume Foce – e poi direttamente nel mar Adriatico. I militari hanno sequestrato due fosse Imhoff che venivano praticamente bypassate dagli sversamenti di un agglomerato urbano abitato da 200 famiglie, a cui si aggiungono anche strutture commerciali, artigianali e industriali. Dopo il sequestro di 12 depuratori, avvenuto solo quattro mesi fa, la Sasi è tornata ad animare le locali cronache giudiziarie.
Il 15 aprile è la data fissata come termine ultimo della nuova “emergenza Gran Sasso”. L’emergenza – come riportato nel numero 9 del nostro periodico (pagina 52) – è stata proclamata dopo che nelle acque provenienti dal Gran Sasso sono state trovate tracce di diclorometano. Sono passati quattro mesi, l’emergenza teoricamente dovrebbe essere prossima alla fine, ma i dubbi e gli interrogativi evidenziati anche nel nostro articolo non hanno ancora trovato soluzione. O, comunque, la popolazione non ne è stata messa a conoscenza. Le ultime notizie pubbliche sono il comunicato della Ruzzi Reti, che minaccia di querela il programma televisivo “Le Iene” – che ha realizzato un servizio sulla captazione delle acque del Gran Sasso – e la dura presa di posizione del Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua pubblica. Augusto De Sanctis il 19 marzo ha dichiarato di aver “chiesto accesso agli atti sul caso al Ruzzo via PEC lo scorso 18 dicembre 2016, tre mesi fa” ma che non aveva ancora ricevuto risposta.
Un’interrogazione presentata dal consigliere regionale del M5S, Riccardo Mercante, ha avuto una risposta da parte del vicepresidente regionale Lolli. Una risposta che non soltanto non sembra rispondere a nessuno dei dubbi e interrogativi suscitati dalla vicenda ma, anzi, li aumenta. Secondo Lolli sarebbe stata “trovata una sostanza contaminante di 1250 volte inferiore ai limiti”. Ma se l’acqua era nei limiti perché è stata proclamata l’emergenza e si sta fornendo alla popolazione acqua attinta altrove? Lolli aggiunge anche che c’è un tavolo aperto sulla questione e che quindi si sta lavorando sulla risoluzione di ogni problematica. Un tavolo, però, aperto nel 2011, riunitosi in questi anni solo tre volte, e la cui documentazione prodotta non è disponibile al pubblico. Secondo il vicepresidente regionale una delle soluzioni sarebbe “sostituire i due tubi di cemento che corrono sotto l’autostrada con quelli di acciaio”. Ma, dalla documentazione disponibile, ai cittadini appare questo un lavoro che doveva essere effettuato 10 anni fa e per il quale erano stati già stanziati quasi 4 milioni di euro.