Sono ancora 44 – su 102 totali – le discariche di rifiuti urbani fuori norma, a vario titolo, in Italia, secondo una recente sentenza della Corte di giustizia europea emessa il 21 marzo scorso. Maglia nera alla Basilicata, con 23 impianti illegali.
La sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso 21 marzo parla chiaro. Le Regioni italiane, in primis la Basilicata – con oltre la metà delle discariche interessate – non hanno adempiuto agli obblighi imposti dalla direttiva 1999/31, relativamente a 44 discariche, nonostante nel 2012 la Commissione avesse inviato una lettera di diffida al nostro Paese, contestando la presenza sul territorio italiano di 102 discariche illegali.
In particolare sono stati disattesi gli obblighi di completamento e di adeguamento alle misure necessarie alla chiusura definitiva oppure, ove la discarica sia stata autorizzata a continuare a funzionare con lo smaltimento di rifiuti vietati, in assenza di adozione delle misure necessarie a renderla conforme alla direttiva. A sette anni di distanza dall’inizio del procedimento arriva oggi la condanna dell’Unione europea.
DOVE SI TROVANO LE DISCARICHE OGGETTO DELLA SENTENZA UE
La Corte rileva che numerose discariche non sono state ancora chiuse alla data del 19 ottobre 2015 e non sono ancora conformi alla direttiva alla data di proposizione del ricorso della Commissione. Gli impianti principali sono ubicati in Basilicata (Avigliano, in località Serre Le Brecce; Ferrandina in località Venita; Genzano di Lucani, in località Matinella; Latronico, in località Torre; Lauria, in località Carpineto; Maratea, in località Montescuro; Moliterno, in località Tempa La Guarella; Potenza, in località Montegrosso-Pallareta; Rapolla, in località Albero in Piano; Sant’Angelo Le Fratte, in località Farisi; Corleto Perticara, in località Tempa Masone; Marsico Nuovo, in località Galaino; Matera, in località La Martella; Rionero in Vulture, in località Ventaruolo; Salandra, in località Piano del Governo; Senise, in loocalità Palombara; Tito, in località Aia dei Monaci.
Le altre si trovano a Capistrello (località Trasolero, Abruzzo), Francavilla (Valle Anzuca, Abruzzo), L’Aquila (località Ponte delle Grotte, Abruzzo), Canosa (CO.BE.MA, Puglia), Torviscosa (società Caffaro, Friuli Venezia Giulia), Capestrano (località Tirassegno, Abruzzo), Castellalto (località Colle Coccu, Abruzzo), Castelvecchio Calvisio (località Termine, Abruzzo), Corfinio (località Cannucce, Abruzzo), Corfinio (località Case Querceto, Abruzzo), Mosciano S. Angelo (località Santa Assunta, Abruzzo), S. Omero (località Ficcadenti, Abruzzo), Montecorvino Pugliano (località Parapoti, Salerno) e di Torviscosa (località La Valletta, Friuli Venezia Giulia).
La Corte ha osservato che per quanto riguarda sette discariche i lavori per renderle conformi alla direttiva sono stati completati nel corso del 2017 e del 2018, vale a dire solo dopo il 19 ottobre 2015. Gli impianti sono riconducibili a D’Oria G. & C. Snc di Andria, alla CO.GE.SER di Barletta, alla F.lli Acquaviva di Andria, alla Batigea srl di Trani e alle discariche delle località Cafaro, Domacchia e Valle del Forno, rispettivamente ad Atella, Pescopagano e Tito.
Per quanto concerne, invece, le restanti sei discariche, la Corte ha ritenuto che l’Italia non abbia messo la Commissione in condizione di prendere conoscenza dei documenti attestanti che tali discariche erano state rese conformi alla direttiva e che, anche ammettendo l’esistenza di tale messa in conformità, quest’ultima era comunque avvenuta dopo il 19 ottobre 2015. Gli impianti in questione sono ubicati a Potenza (località Montegrosso-Pallareta), Roccanova (località Serre), Campotosto (località Reperduso), San Mauro Forte (località Priati), San Bartolomeo in Galdo (località Serra Pastore) e Trivigano (ex Cava Zof).
IL PROBLEMA DISCARICHE: IL CASO BASILICATA
Il Commissario di Governo per la bonifica, Generale Giuseppe Vadalà, incaricato nel 2017 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, potrebbe essere chiamato a seguire ancora una volta, dopo la prima condanna all’Italia risalente al 2014, le nuove problematiche evidenziate dalla recente sentenza della Corte di giustizia europea, per evitare che siano i cittadini a pagare in termini di mala-gestione e, soprattutto, sui possibili impatti ambientali delle discariche sulle comunità, la loro salute e l’ambiente.
Il caso Basilicata purtroppo evidenzia ritardi, per quanto riguarda la quota di rifiuti urbani da destinare a questa forma di smaltimento che, in base alla normativa non potrà infatti eccedere il 10 per cento entro il 2035: si tratta di un obiettivo dal quale l’Italia è ancora lontana, avendo conferito in discarica (dati 2016) circa il 25 per cento dei propri rifiuti urbani, anche se già nel 2014 Paesi come Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svezia non hanno inviato praticamente alcun rifiuto (urbano) in discarica, privilegiando il riciclo e il recupero energetico.
Le 23 discariche che si trovano in Basilicata, 19 in provincia di Potenza e 4 in provincia di Matera – indicate nei vari elenchi della Corte di giustizia europea – impegneranno il nuovo governo regionale in una vera e propria emergenza.
Sono infatti assenti centri adeguati per il trattamento della frazione organica fondamentali da realizzare per la tutela dell’ambiente e dell’economia virtuosa basata sulla raccolta differenziata e il riciclo, per evitare che si continui il conferimento indiscriminato in discarica, così come sono da rivedere i sistemi incentrati sull’incenerimento dei rifiuti che hanno condotto alla grave situazione oggetto di condanna da parte della Corte di giustizia europea, incrementando proprio le discariche, che spesso finiscono per incidere sulla qualità di suolo e acqua con corpi idrici minacciati dai percolati e fanghi di depurazione per i quali ancora oggi persiste il problema del loro corretto smaltimento.