Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Una storia di odori, veleni e favori

Mennole e Palombara sono due contrade del Comune di Lizzano, in provincia di Taranto, che ospitano le discariche della Vergine srl. Da anni, su questi impianti, si sono accesi i riflettori di cittadini esasperati dai continui miasmi.

Proprio in seguito alle segnalazioni dei residenti – supportate dai rilevamenti effettuati da Arpa Puglia – il 10 febbraio 2014 la discarica di Palombara, ubicata tra Lizzano, Monteparano e Fragagnano, è stata posta sotto sequestro. A firmare il provvedimento, il giudice per le indagini preliminari Valeria Ingenito, su richiesta del sostituto procuratore Lanfranco Marazia.
L’ipotesi di reato contestata ai gestori è “getto pericoloso di cose”, per l’emissione di sostanze odorigene – come solfuro di idrogeno e biogas – derivanti dai processi di gestione e post gestione delle vasche di raccolta e di trattamento dei rifiuti. Le indagini, durate un anno e mezzo, sono state avviate in seguito a centinaia di esposti dei residenti, che hanno lamentato insopportabili odori. Il centro abitato di Lizzano dista appena tre chilometri e mezzo dalla discarica di contrada Palombara. Sin dal 2010 le numerose manifestazioni di cittadini hanno contribuito a sensibilizzare progressivamente l’opinione pubblica, fino a spingere studenti e genitori degli alunni delle scuole lizzanesi a scendere in strada in segno di protesta, proprio perché è soprattutto al mattino – al rientro a scuola – che si avvertono maggiormente i cattivi odori. I casi di malessere sono stati numerosi specie tra giovani e anziani.
Il sequestro dell’impianto di Palombara era stato disposto dopo che una consulenza tecnica compiuta dal chimico industriale Mauro Sanna e dall’ingegner Maurizio Onofrio – e numerosi campionamenti e monitoraggi effettuati dall’Arpa – aveva accertato, secondo quanto sostengono i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce, “concentrazioni di idrogeno solforato superiori alle soglie di percettibilità olfattiva prevista” […] “gli episodi di molestie olfattive lamentate negli esposti potevano essere correlati alla dispersione di sostanze odorigene compatibili con l’operazione di abbancamento dei rifiuti ed anche allo spegnimento di alcune torce presenti nell’impianto per la combustione del biogas. Su quest’ultimo si sono concentrate le osservazioni dei consulenti secondo i quali la mancanza di un corretto sistema di captazione degli stessi determina un accumulo di gas nel corpo della discarica che sfocia in una fuoriuscita con dispersioni maleodoranti in atmosfera.
Sempre secondo gli inquirenti sarebbero stati omessi tutti gli accorgimenti necessari per evitare le emissioni anche per i fanghi in entrata. Uno studio sui venti ha, infine, confermato il sito di provenienza dei miasmi, escludendo, così, altre fonti inquinanti. Già nel novembre 2011 i Noe di Lecce, coadiuvati dal Comando della Polizia provinciale, avevano posto sotto sequestro l’impianto, autorizzato ad accogliere rifiuti speciali non pericolosi, come destinazione ultima degli scarti prodotti da numerose aziende, anche del Nord. Il decreto di sequestro preventivo, disposto dal Tribunale di Taranto, fu emesso per motivi di urgenza, a seguito di una serie di accertamenti finalizzati alla verifica dei requisiti previsti dalla legge. Affidata in custodia amministrativa a Nicola Bruni, l’attività, però, non venne interrotta, a condizione che venisse condotta nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il provvedimento aveva anche lo scopo di salvaguardare l’attività dei lavoratori occupati presso la discarica, peraltro, in condizioni di assoluta illegalità operativa.

LE INCHIESTE DELLA MAGISTRATURA
La storia delle discariche Vergine annovera almeno tre inchieste, in parte già concluse con l’accertamento di illeciti da parte della società. Nel 2003 la discarica Mennole e la Ecolevante di Grottaglie finiscono nell’inchiesta giudiziaria “El Dorado”, che ha accertato un traffico illegale di rifiuti tra la Campania, la Lombardia, l’Emilia Romagna e la Puglia, destinazione finale delle balle di immondizia. Il sistema messo in piedi prevedeva complessi viaggi di carichi di rifiuti urbani di ogni tipo che dalla Campania venivano miscelati in Lombardia, con rifiuti tossici e terre di spazzatura delle strade milanesi ed altri materiali, e passare illecitamente come rifiuti industriali non pericolosi. Nel febbraio 2010, invece, le discariche Vergine finiscono nell’inchiesta giudiziaria “Spiderman”, insieme alla discarica Cerratina di Lanciano. Otto le persone arrestate e 22 quelle indagate a piede libero per smaltimento illecito di rifiuti speciali. I rifiuti venivano conferiti nelle discariche senza essere trattati, falsificando analisi e documenti con l’ausilio di chimici e dipendenti conniventi. A giugno dello stesso anno è la volta dell’inchiesta “Ragnatela” condotta prima dalla Procura di Napoli e poi da quella di Macerata. Al centro dell’inchiesta un traffico di rifiuti pericolosi, compresi scarti e fanghi della Raffineria di Gela che, secondo gli investigatori, sarebbero stati smaltiti illegalmente tra il 2005 e il 2009, accompagnati da formulari e certificati falsificati. Gli scarti, provenienti in genere dal Centro-Sud – anche da aziende multiservizi di Roma e Colleferro – erano diretti in discariche di diverse regioni d’Italia, comprese quelle di Lizzano, per essere smaltiti dopo un finto trattamento presso un impianto di Corridonia. Dunque, le avvisaglie c’erano, ma solo la voce insistente di protesta dei residenti di Lizzano, i più agguerriti, ha determinato la svolta di questa ingarbugliata vicenda. A rendere il quadro ancora più complesso ci pensa la normativa nazionale in materia di fideiussioni, anche se le responsabilità della società Vergine restano lapalissiane. Vediamo perché.

LA REVOCA DELL’AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE
Il 24 marzo 2015 il dirigente del Settore ambiente della Provincia di Taranto, Martino Dilonardo, revocava l’Aia rilasciata al gestore di Vergine srl, subentrato dopo la cessione di un ramo d’azienda operata dalla Vergine spa, per l’assenza totale di garanzie finanziarie. Fideiussioni necessarie ad impedire l’abbandono del sito una volta esaurito evitando, così, di adottare le cautele previste per la prevenzione dell’inquinamento della falda e dei terreni circostanti, nonché attuare l’ordinaria manutenzione, a partire dalla raccolta e lo smaltimento del percolato prodotto dai rifiuti. Inizialmente le fideiussioni erano pari a 20 milioni di euro per la gestione operativa e circa 11 milioni di euro per la gestione post-operativa dell’impianto di contrada Palombara. Per l’impianto di contrada Mennole, invece, 9 milioni di euro per la gestione operativa e 4 milioni e mezzo di euro per la gestione post-operativa. Dal 2005, però, la normativa ha subìto modifiche, fino a giungere al vaglio della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale (sentenza n.67/2014) la legge regionale del 2006 con la quale la Regione Puglia aveva deciso di stabilire i criteri generali ai fini della determinazione delle garanzie finanziarie. Naturalmente i proprietari delle discariche non hanno perso tempo a sfruttare a proprio vantaggio tale sentenza. Così, il 16 aprile 2014 – con un provvedimento firmato dall’allora dirigente del Settore ambiente della Provincia di Taranto, Stefano Semeraro – hanno ottenuto lo svincolo delle fideiussioni per quasi 5 milioni di euro.
Il 19 maggio del 2014, tuttavia, la Provincia avviava la procedura per la revoca dell’Aia perché la sentenza della Corte Costituzionale entrava solo nel merito della illegittimità costituzionale della legge regionale sulle fideiussioni, ma non toccava l’obbligo del gestore di garantire le fideiussioni, questione rispetto alla quale la società Vergine era in torto. Infatti, l’impugnazione del provvedimento di diffida emanato dalla Provincia da parte della società – prima al Tar e poi al Consiglio di Stato – non ha sortito alcun effetto. A marzo del 2015 arriva, dunque, la revoca dell’autorizzazione integrata ambientale per entrambi gli impianti. La società Vergine é comunque tenuta al puntuale rispetto di tutte le prescrizioni di manutenzione, sorveglianza e controlli delle due discariche. Un provvedimento privo di reale efficacia, dal momento che non vi era alcuna garanzia finanziaria da cui attingere le risorse utili al rispetto delle prescrizioni.

UN GIOCO DI RIPENSAMENTI LASCIA INTRAVEDERE LA POSSIBILITÀ DI RIABILITARE L’AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE
Il 17 dicembre 2015 la Provincia di Taranto ha avanzato una proposta di deliberazione – poi ritirata per le proteste dei lizzanesi – nella quale il dirigente del Settore ambiente, Martino Dilonardo, dando notizia di un cambio di proprietà dell’impianto, concorda, in sostanza, l’annullamento del provvedimento di revoca dell’Aia: “con nota del 01/06/2015 il signor Paolo Ciervo, in qualità di liquidatore titolare della Società Vergine srl comunicava la variazione della titolarità della gestione dell’impianto (già autorizzato con Aia di cui alla determina n.384 del 2008) a favore della subentrante Lutum srl di Massafra”. Si legge ancora: “Poiché l’autorizzazione oggetto di trasferimento è stata revocata con determina n.440 del 01/04/2015, il cessionario è disponibile a produrre in favore della provincia di Taranto le predette garanzie finanziarie per la prosecuzione dell’attività di discarica, così si legge nel carteggio intervenuto tra l’azienda Lutum srl, “società controllata” dalla Cisa dell’imprenditore Antonio Albanese – come risulta dai dati resi disponibili dalla Camera di Commercio di Taranto – e il dirigente del settore ecologia della Provincia Martino Dilonardo.
L’ente Provincia, del resto, dimostra di appoggiare la proposta, scelta dettata dal “non poter far fronte all’attuale stato di abbandono in cui le stesse discariche versano e alle connesse ripercussioni che già vivono le popolazioni circostanti.
Giustifica inoltre “la revoca della determinazione n.440 del 2015” come “finalizzata all’accoglimento dell’istanza di volturazione della gestione delle discariche a favore della società Lutum srl, subordinatamente al rispetto, da parte della società subentrante, degli obblighi e prescrizioni di cui alle vigenti normative in materia ambientale, nonché di quelli contenuti nell’originaria autorizzazione.
Sebbene sia fallito il tentativo di far riaprire l’impianto, la proposta di deliberazione fa ben comprendere quale sia l’atteggiamento politico diffuso in merito alla vicenda, e non si possono escludere nuove manovre in tal senso. A rendere più equivoca la questione è una notizia che fa molto discutere mediaticamente: il figlio dell’ingegner Dilonardo risulta essere socio in una società immobiliare con l’imprenditore Antonio Albanese, alla cui holding appartiene la stessa Lutum srl. Amministratore unico della Lutum è Nicola Lacalaprice, già dirigente della Cogeam, un consorzio di imprese di cui la stessa Cisa fa parte – insieme a Lombardi Ecologia e al gruppo Marcegaglia – per gestire la discarica di Conversano.
Viene da pensare che il presidente della Provincia di Taranto e Sindaco di Massafra, Martino Tamburrano, forse non avrebbe dovuto procedere alla nomina di Dilonardo come responsabile del Settore ecologia. E invece lo ha fatto. Si è trattato di una svista? Ma non è tutto. La Lutum srl non ha dipendenti e risulta inattiva dal 2012. Si tratta di una società che ha un capitale sociale di appena quindicimila euro: come potrebbe presentare le garanzie finanziarie a favore della Provincia per la prosecuzione delle attività delle discariche Palombara e Mennole, per le procedure di chiusura, post-chiusura, “nonché di ogni prescrizione rilevabile dall’autorizzazione”? L’unica risposta è il giro d’affari che porterebbe la riapertura della discarica in contrada Palombara.

I CITTADINI SONO SEMPRE IN ALLERTA: “LE DISCARICHE VANNO CHIUSE”
L’associazione AttivaLizzano continua a vigilare e a denunciare aspetti contraddittori della vicenda: “Con l’ordinanza n. 58 del 13.11.2015 il Sindaco di Taranto ha imposto ai proprietari dei terreni su cui insiste la ”discarica Vergine” per rifiuti speciali non pericolosi, l’avvio dei lavori di rimozione e smaltimento del percolato presente all’interno della discarica, nonché la predisposizione di un piano finalizzato ad evitarne il successivo accumulo. Gli stessi proprietari hanno immediatamente impugnato detta ordinanza facendo ricorso al TAR di Lecce. In data 13.01.2016 – un’ordinanza é stata emessa di sospensiva dell’atto impugnato e poi – in data 4.5.2016 – ha ottenuto una sentenza favorevole. Sorge il logico dubbio che molto spesso le ordinanze sindacali, specie se trattano di problemi ambientali, siano facilmente impugnabili fornendo l’alibi agli amministratori. Tale sentenza è stata facilitata grazie al fatto che nessun comune, oltre a quello di Taranto, si è costituito e quindi neanche Lizzano, Fragagnano, Faggiano, Monteparano e Roccaforzata. Specifica inoltre il TAR che tali misure non potevano essere imposte dal Sindaco, essendo di competenza della Provincia, la quale, a nostro avviso, si è limitata al tentativo di dichiarare le criticità della discarica come “interesse pubblico” con la manifesta intenzione di volturare l’AIA ad altro soggetto.

RIUNIONE TRA RAPPRESENTANTI ISTITUZIONALI E ASSOCIAZIONI
Dopo il rinvio dell’incontro, previsto per il 22 luglio scorso, si è svolta il 3 agosto – presso la sede dell’assessorato Qualità dell’ambiente – l’attesa riunione tra rappresentanti istituzionali e associazioni, per la discussione delle problematiche ambientali legate alle discariche gestite dalla società Vergine srl. L’assessore Mimmo Santorsola ha aperto la discussione specificando che il ritardo nel cronoprogramma – stabilito durante il tavolo del 25 febbraio scorso – è imputabile al sequestro degli impianti attuato dalla magistratura tarantina che ha vietato l’accesso alle discariche. Questo ha impedito ad Arpa Puglia di effettuare i campionamenti nei pozzi di prospezione. I primi dati allarmanti sono stati discussi nel tavolo dell’8 luglio, nel corso del quale è emerso che, sul sito in località Palombara, durante il campionamento delle acque sotterranee, in uno dei 4 pozzi spia posizionati lungo il perimetro dell’impianto, è stato riscontrato del materiale surnatante oleoso. L’analisi dei campioni di acqua sotterranea ha evidenziato il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione in due pozzi. In uno, quello caratterizzato dalla presenza di surnatante oleoso, le sostanze che superano i limiti definiti dalla legge sono gli idrocarburi, il benzene e il ferro. Nell’altro, il valore oltre i limiti di legge riguarda il ferro. Secondo l’ingegner Gramegna, dirigente del Settore bonifiche Arpa Puglia non sussiste una chiara relazione tra superamenti in falda e discarica. Mentre per l’associazione “AttivaLizzano” non c’è tempo da perdere: la discarica va chiusa.

IL RINVIO
L’incontro si è concluso con un rinvio, in attesa di conoscere i risultati riguardanti i microinquinanti. Attendiamo, dunque, gli ulteriori sviluppi di questa intricata vicenda.

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Autore:

Responsabile del Comitato Legamjonici di Taranto. Nel 2010 consulente di parte nell’inchiesta “Ambiente svenduto” sull’Ilva.