Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Nel teramano è emergenza idrica da diclorometano

Il 16 dicembre 2016 la Regione Abruzzo ha dichiarato lo stato di emergenza idrica nel teramano, fino al 15 aprile 2017. Nelle more del provvedimento varato dalla Giunta regionale è stato autorizzato l’approvvigionamento idrico di emergenza ”dopo la disposizione cautelativa emessa dall’Asl di Teramo per le acque provenienti dai laboratori del Gran Sasso”. La disponibilità idrica della sorgente del traforo non è più in grado di garantire i volumi necessari per l’acqua potabile. Un problema questo, che riguarda l’intero territorio abruzzese.

L’emergenza idrica in provincia di Teramo è scattata perché nelle acque provenienti dalla condotta del Gran Sasso sono state trovate tracce di diclorometano. È la Ruzzo Reti spa – società che gestisce il servizio idrico in provincia di Teramo – a metterlo nero su bianco il 17 dicembre, a poche ore dal provvedimento regionale. ”Nelle captazioni del versante aquilano – si legge nel documento – sono state rilevate tracce di diclorometano, seppur ampiamente sotto i parametri di legge […]. Prudenzialmente, sia Ruzzo Reti che il Sian – Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione – della Asl di Teramo hanno effettuato analisi sul pozzetto di derivazione situato in prossimità del Laboratorio di Fisica Nucleare del Gran Sasso. Tali analisi hanno confermato che non ci sono superamenti dei parametri di legge. Ma, avendo evidenziato qualche lieve anomalia, lo stesso Sian ne ha disposto il non utilizzo fino a nuovo provvedimento. A valle di tale episodio Ruzzo Reti ha inevitabilmente dovuto integrare il mancato prelievo dal Gran Sasso – circa 100 l/s – continuando a utilizzare l’acqua potabilizzata nell’impianto di Montorio al Vomano che, al contrario, in questo periodo dell’anno viene chiuso per effettuare le manutenzioni periodiche”.
Intanto la Ruzzo Reti spa ha avanzato istanza risarcitoria nei confronti dei Laboratori di Fisica Nucleare in ragione dei maggiori costi sopportati nel processo di potabilizzazione. Di contro, i Laboratori ribattono di non aver più riscontrato tracce del solvente già nei giorni successivi alla segnalazione della Asl.

I FATTI
In occasione del monitoraggio del 30 agosto 2016, in un campione d’acqua viene rilevata la presenza di diclorometano.
Una sostanza classificata dallo Iarc come nociva e potenzialmente cancerogena per l’uomo. Il 2 e il 7 settembre la Asl effettua due ispezioni nei Laboratori del Gran Sasso.
Il 10 ottobre l’Asl chiede un parere all’Istituto Superiore di Sanità. Fino a questo momento, la questione non è ancora di dominio pubblico. Nei giorni successivi alla dichiarazione della “nuova emergenza”, il direttore dei Laboratori di fisica nucleare, Stefano Ragazzi, dichiara che ”non c’è stato sversamento, ma solo evaporazione da un contenitore della grandezza di un bicchiere. Le tracce in acqua sono frazioni di parti per miliardo.
Tuttavia manca qualche informazione sul sistema di raccolta delle acque che non mi è concretamente possibile ottenere. Come ha fatto la sostanza a finire nell’acqua della vasca? Il vapore ci può finire, ma deve esserci un contatto tra aria e acqua. Non può succedere se l’acqua scorre in un tubo chiuso”
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LA STUAZIONE È COMPLICATISSIMA
”Dopo diversi controlli, nelle acque del Gran Sasso è stata rilevata la presenza di cloroformio ben oltre i limiti stabiliti dalle leggi sulle acque sotterranee”, denuncia il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua pubblica. Dalla documentazione pubblicata online dall’Asl si evince che il cloroformio è stato trovato sia presso i Laboratori che a Casale San Nicola già durante il monitoraggio del 7 novembre 2016. A distanza di soli tre giorni, il 10 novembre, non vengono prelevati campioni nei Laboratori. Ma a Casale San Nicola il cloroformio ha raggiunto valori di 0,3 microgrammi/litro, circa il doppio del limite di legge.
Il 15 novembre, tanto dai Laboratori quanto da Casale San Nicola, scompaiono le tracce di cloroformio. Ma con un colpo di scena, il 21 novembre, il cloroformio ricompare con parametri pari a 0,5 microgrammo/litro, più del triplo rispetto ai valori indicati dalle leggi in materia.
Per quanto riguarda invece il diclorometano, la documentazione Asl riporta che ”nei referti dei controlli precedenti – il 2 e il 16 agosto – il diclorometano non era tra le sostanze cercate. In ogni caso, l’acqua controllata non risultava essere in circolazione.
Il 30 agosto ai Laboratori viene rilevata una concentrazione di diclorometano pari a 0,355 microgrammi/litro – il doppio dei limiti per le acque sotterranee -. A Casale San Nicola i valori indicano lo 0,042 microgrammi/litro. Il primo settembre – si legge ancora nel documento – il diclorometano misurato nei Laboratori è pari a 0,3 microgrammi/litro. Nel referto l’acqua captata viene descritta come “in distribuzione”. Il 5 settembre sia ai Laboratori, sia a Casale San Nicola, il diclorometano è al di sotto dei limiti di rilevabilità e l’acqua non risulta in distribuzione.
Dal controllo del 12 settembre in poi il diclorometano non risulta tra le sostanze cercate, mentre continuano a essere ricercate sostanze a nostro avviso inutili come ad esempio l’esacloroetano e tetracloruro di carbonio, che erano state trovate esclusivamente nella Valpescara nel 2007 per la questione di Bussi. Nelle acque della rete di distribuzione – conclude l’Asl – il diclorometano non risulta mai cercato. Né prima, né durante, né dopo il caso di contaminazione accertato”
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I dubbi, specie tra gli attivisti del Forum, si sono amplificati. Come mai il diclorometano è stato cercato proprio il 30 agosto? C’è forse stata qualche segnalazione? E perché, se le concentrazioni di cloroformio e diclorometano hanno superato i parametri di legge, il sito non è stato considerato come “potenzialmente contaminato”?
”Facciamo notare – argomentano dal Forum – che si ricercano continuamente sostanze non tabellate – come esacloroetano, tetracloruro di carbonio -, ma non si ricercano le sostanze utilizzate nei Laboratori, come il diclorometano. Come mai? A ridosso di un caso di contaminazione accertato, il monitoraggio di diclorometano è stato interrotto dopo un solo campione negativo. L’Asl è in possesso dell’elenco di tutte le sostanze utilizzate nei Laboratori? E perché proprio il 1° settembre le acque risultano in distribuzione?”

I CONTI NON TORNANO
Come c’è finito, quindi, il diclorometano nelle acque? E come mai la Giunta regionale si affretta a dichiarare l’emergenza fino ad aprile 2017 se il solvente scompare già nei giorni immediatamente successivi ai rilievi? Sono domande che pretenderebbero risposte chiare. Specie se si considera che i Laboratori del Gran Sasso sono inclusi nell’inventario nazionale degli impianti a rischio di incidente rilevante previsto dalla Direttiva Seveso. Normative che, insieme al decreto legislativo n.31/2001, obbligano gli Enti pubblici ad assicurare ai cittadini un’informazione trasparente, totale e immediata su qualsiasi rischio. Anche solo presunto.
Il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua pubblica ha denunciato l’assenza di trasparenza fin dai primi giorni dell’emergenza idrica.
Chiedendo l’immediata pubblicazione di tutta la documentazione sui siti web degli enti coinvolti. ”Delibere, determine, relazioni, lettere e referti analitici dovrebbero essere già disponibili online – scrivono dal Forum – Esistono obblighi precisi sulla trasparenza e divulgazione pro-attiva di dati e informazioni in materia ambientale. Alcune versioni rilasciate alla stampa sono risultate discordanti sulle date e sulle modalità dei prelievi.” Agli Enti competenti sono state indirizzate domande precise. ”Dal 30 agosto al 1 settembre – incalzano dal Forum – l’acqua captata è stata scaricata nell’ambiente o ha continuato a fluire nella rete idropotabile?
L’Asl, per quanto ne sappiamo, svolge controlli completi al Gran Sasso che si ripetono con cadenze settimanali. O al massimo di 15 giorni. Quando è stato effettuato il monitoraggio precedente a quello del 30 agosto? E i Laboratori, quando hanno iniziato a usare il diclorometano?
Saperlo è fondamentale, perché le acque avrebbero potuto essere contaminate già nei giorni precedenti alla data del 30 agosto. Inoltre in prossimità delle captazioni, secondo il piano di emergenza, dovrebbero essere presenti dei campionatori per il monitoraggio dei parametri generali con cadenza ogni 15 minuti. Hanno dato qualche tipo di allarme? Parliamo di un sistema che dovrebbe operare ai massimi livelli di efficienza e sicurezza. I Laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso – continua – sono classificati come impianti a rischio di incidente rilevante in base alla Direttiva comunitaria Seveso. È lecito domandarsi se quanto accaduto sia stato notificato secondo quanto previsto dal piano di emergenza dei Laboratori stessi. I valori riscontrati per il diclorometano, per altro, sono risultati superiori del doppio rispetto ai limiti stabiliti per le acque sotterranee. Considerando che quello del Gran Sasso è l’acquifero più importante della regione, e uno dei più importanti in Europa, è stata inoltrata la comunicazione obbligatoria ai fini della bonifica? E in ultimo: i sistemi di sicurezza sono risultati efficaci? Ricordiamo infatti che nei Laboratori di fisica nucleare sono stoccate centinaia di tonnellate di sostanze pericolose, dalla nafta pesante al tribetilbenzene. Quali sarebbero i tempi di reazione del sistema di gestione dell’acqua potabile se si dovesse verificare un incidente ancora più grave? Visto quanto accaduto – conclude il Forum – crediamo sia necessaria un’inchiesta pubblica inerente anche ai lavori effettuati ai tempi del commissariamento Balducci.”

L’ESPERIMENTO “BOREXINO”
Ma l’emergenza idrica in Abruzzo ha radici molto più profonde. La Giunta regionale abruzzese il 16 dicembre scorso dichiara un’emergenza idrica che esiste di fatto già da tredici anni. Maria Maddalena Marconi – direttore del dipartimento di prevenzione della Asl di Teramo – in una relazione trasmessa alla direzione generale dell’Asl sottolinea che nel 2003, dopo i ritrovamenti di trimetilbenzene nelle acque, l’allora premier Silvio Berlusconi emana un’ordinanza di dichiarazione dello stato di emergenza sul Gran Sasso. Il commissario nominato è Angelo Balducci. L’obiettivo è quello di assicurare la messa in sicurezza del sistema idrico integrato e dei Laboratori di fisica nucleare. ”Uno stato di emergenza che a tutt’oggi non è mai stato dichiarato terminato”, scrive il direttore Marconi. Tutto inizia il 16 agosto del 2002, nell’ambito dell’esperimento divenuto famoso come “Borexino”. Il trimetilbenzene, finito nei torrenti Gravone a Casale San Nicola e Mavone a Isola Gran Sasso, è stato utilizzato nei Laboratori di fisica nucleare. ”L’incidente con il trimetilbenzene – ricorda il WWF – evidenzia tutta la fragilità del sistema di gallerie, laboratori e punti di approvvigionamento di acqua presenti nel Gran Sasso.”
L’indagine sull’incidente porta al sequestro, nel maggio 2003, della sala C del Laboratorio. Quella nella quale è stato condotto l’esperimento “Borexino”.
“Borexino” è un esperimento scientifico frutto della collaborazione tra atenei italiani e americani, tra i più illustri figura anche la Princeton University del New Jersey.
Il suo obiettivo principale è quello di effettuare una misurazione precisa dei neutrini solari generati dal Berillio per migliorare la comprensione dei processi di fusione nucleare che si producono nel nucleo solare.
In seguito alle indagini Alessandro Bettini – ex direttore dei Laboratori di fisica nucleare – ed Enzo Iarocci – presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare – vengono ammessi al patteggiamento. Le accuse sono di scarico non autorizzato di acque reflue industriali, sversamento di sostanze tossiche e deterioramento delle bellezze naturali. Entrambi vengono condannati a un’ammenda di 1672 euro. Ma poi la Corte dei Conti li assolve perché ”l’evento dannoso, comunque caratterizzato da una notevole accidentalità, si poneva al di fuori di ogni previsione circa la struttura di qualunque misura di sicurezza precostituita dall’Istituto e dalla direzione del Laboratorio.”
C’è di più. L’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri fa riferimento anche a un ritrovamento di naftalene nelle sorgenti del Ruzzo. Oltre a evidenziare una carenza delle misure di sicurezza ambientale nei Laboratori del Gran Sasso.
Una commissione d’indagine regionale mette in evidenza l’assenza di impermeabilità tra la falda acquifera e gli scarichi del Laboratorio.
L’Arta – agenzia regionale per la tutela dell’ambiente – effettua la caratterizzazione ambientale del torrente Mavone tra l’ottobre 2002 e il maggio 2003. Lo studio rivela che il trimetilbenzene non ha compromesso lo “stato di salute” del torrente. Oltre i parametri chimici, fisici e batteriologici, l’Arta prende in considerazione anche gli aspetti tossicologici. L’Ibe – indice biotico esteso – e l’Iff – Indice di funzionalità fluviale -, la microfauna, il periphyton, la vegetazione acquatica e perifluviale, la diversità ambientale, il regime idraulico, le condizioni dell’alveo e del territorio circostante. Solo in alcuni tratti viene riscontrata una “condizione di fragilità” legata alle attività umane, urbane e industriali. Nel settembre 2004 vengono realizzati i vasconi per lo stoccaggio e filtraggio delle acque che fluiscono dal Laboratorio per poi essere reimmesse nel fiume. Nel novembre 2006, invece, l’esperimento “Borexino” viene riavviato. Alla presenza dell’ambasciatore Usa in Italia, Ronald Spogli.

L’INTERVENTO DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
L’Iss sostiene l’incompatibilità tra la captazione delle acque per usi idropotabili e le attività dei Laboratori del Gran Sasso.
La lettera, pubblicata negli ultimi giorni di dicembre dal quotidiano online Primadanoi risale al luglio 2012. Per l’Iss, due sono le alternative: o si riducono le attività dei Laboratori, o si deve evitare di prelevare l’acqua dal Gran Sasso. L’Iss contesta ”una generale non conformità della localizzazione dei locali e delle installazioni” dei Laboratori di fisica nucleare. Sottolineando che i lavori programmati per la protezione dell’acquifero dell’area B dei Laboratori non sarebbero mai stati realizzati. ”Significa – conclude Primadanoi – che almeno in parte, per ragioni sconosciute, i lavori programmati dal commissario non furono completati prima del 2013.
Sarà un caso, ma nessuno ha finora spiegato in quale area del Laboratorio si sia verificato l’ultimo incidente di agosto.”

L’Istituto Superiore di Sanità, interpellato anche sul più recente caso di contaminazione da diclorometano nelle acque del Gran Sasso, sostiene che ”non risulta evincersi rischio per la popolazione […] sia in considerazione dei livelli di concentrazione riscontrati e per la sua durata, che per le misure precauzionali adottate, basate su una rilevazione precoce dell’evento pericoloso, nell’accertamento delle cause e nella segregazione della captazione sottoposta comunque al monitoraggio.”
Dunque, nessun pericolo. Tanto che l’ente gestore del servizio idrico, la Ruzzo Reti spa, ha inviato all’Asl di Teramo una richiesta di revoca del divieto di captazione delle acque in relazione alla carenza idrica aggravata dalle condizioni metereologiche di questo periodo. Il direttore del dipartimento di prevenzione della Asl di Teramo Marconi, ha disposto la riammissione in rete delle acque ”in via temporanea e provvisoria, sino ad esecuzione di un monitoraggio continuo e rafforzato da parte del Sian Asl di Teramo, in considerazione del fatto che la risorsa idrica del Gran Sasso è comunque correlata a sorgenti di rischio.”
Senza contare che le opere strutturali eseguite, come dimostrato dagli incidenti verificatisi, non sono risultate completamente idonee a proteggere il sistema idrico e l’approvvigionamento idropotabile.

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Autore:

Attivista di vari movimenti pacifisti e ambientalisti abruzzesi, referente locale dell’associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink.