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La grande mazzetta. La Shell e l’Eni in Nigeria

Da più parti quello che vede protagonisti Eni in Nigeria, Shell e 13 tra manager, politici e intermediari è stato ribattezzato “il processo del secolo”. Molto probabilmente a ragione, vista l’entità delle presunte mazzette e i personaggi coinvolti nella vicenda. Proviamo a fornire una rapida sintesi della vicenda, a tratti particolarmente ingarbugliata.

Le due oil majors, Eni e Shell, e le 13 persone fisiche sono state rinviate a giudizio lo scorso dicembre con l’accusa di corruzione internazionale per l’acquisizione del blocco petrolifero offshore nigeriano OPL 245, per cui nel 2011 Eni e Shell hanno pagato 1,3 miliardi di dollari. A salire sul banco degli imputati nei prossimi mesi saranno, tra gli altri, l’attuale amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni, il Chief Operation and Technology Officer della multinazionale italiana Roberto Casula, quattro top manager Royal Dutch Shell tra cui Malcolm Brinded, ex direttore esecutivo per Upstream International, e l’intermediario Luigi Bisignani. Nessuna società di grandi dimensioni come la Royal Dutch Shell o suoi dirigenti hanno mai subito un processo per reati di corruzione. È stato rinviato a giudizio anche l’ex ministro nigeriano del Petrolio, Dan Etete.
Le indagini dell’ufficio del pubblico ministero milanese Fabio De Pasquale sono state innescate da una denuncia presentata nell’autunno del 2013 da Re:Common e dalle organizzazioni britanniche Global Witness e The Corner House. Esposti analoghi sono stati presentati in Nigeria e negli Stati Uniti. Sul caso stanno indagando anche i magistrati olandesi.
Tecnicamente la mazzetta contestata alle due società ammonterebbe a un miliardo e 100 milioni di dollari. In teoria questa immensa quantità di danaro sarebbe dovuta andare al governo nigeriano, come stabilisce la normativa del Paese africano. Qui arriviamo a uno dei punti nodali del caso. Sì, perché i bonifici delle due corporation sono solo transitati per un conto fiduciario londinese dell’esecutivo di Abuja, per poi finire tramite mille artifizi bancari alla Malabu, cui in realtà facevano capo i diritti di sfruttamento del più grande blocco petrolifero della Nigeria (9,23 miliardi di barili stimati). Piccolo inciso, nel 1998 il ministro del Petrolio del dittatore Sani Abacha, il potentissimo e già citato Dan Etete, si era auto-assegnato il giacimento OPL 245, pagando una cifra ridicola, solo 20 milioni di dollari. Da quel momento in poi il proprietario occulto della Malabu è sempre stato Dan Etete, personaggio a dir poco “controverso” e già condannato per riciclaggio di denaro. Una verità molto scomoda che ci viene raccontata anche due rapporti commissionati da Eni alla Risk Advisory Group nel 2007 e nel 2010. Fino al 2010, ovvero quando entrò in maniera decisiva in partita l’Eni, Shell aveva provato ad acquisire il blocco, senza successo.
Poi lo stallo inizia a sbloccarsi anche grazie ai servigi di “abili” mediatori quali gli italiani Luigi Bisignani e Gianluca Di Nardo, il nigeriano Emeka Obi e il russo Ednan Agaev. In dirittura d’arrivo, però, l’affare si sblocca grazie all’intervento decisivo del ministro della Giustizia Mohammed Adoke, che vuole che il nuovo governo in Nigeria svolga un ruolo più centrale nel negoziato, a discapito di vari intermediari. Le firme sui contratti si materializzano poi nell’aprile del 2011 e nell’arco di pochi giorni i pagamenti iniziali si disperdono in mille rivoli per andare a ingrossare, si ipotizza, i conti correnti di politici nigeriani di alto livello, dei già citati faccendieri e di manager dello stesso Cane a Sei Zampe. Val la pena rammentare che nel settembre 2014, su richiesta della Procura di Milano, una corte inglese aveva riconosciuto che 523 milioni di dollari del pagamento effettuato da Shell ed Eni erano andati a presunti «sodali dell’ex Presidente nigeriano Goodluck Jonathan» tramite società del “Signor Corruzione” Aliyu Abubakar. La stessa corte aveva quindi sequestrato 84 milioni di dollari rimasti sul conto della Malabu alla JP Morgan di Londra. Altri 112 milioni di dollari versati all’intermediario nigeriano Emeka Obi sono stati successivamente bloccati su diversi conti in Svizzera. Insomma, la popolazione nigeriana non ha beneficiato nemmeno di un centesimo delle centinaia di milioni pagati per la licenza.
Mentre la società del Cane e Sei Zampe si è sempre difesa affermando di aver trattato e siglato il contratto con il governo nigeriano, di fatto negando ogni “legame” con l’ex ministro del Petrolio, nell’aprile del 2017 la Shell ha ammesso di essere stata a conoscenza di come il pagamento per la transazione fosse destinato a Dan Etete.
Il processo per il momento è ancora nella sua fase iniziale. A luglio si sapra se le Ong che da anni seguono attivamente il caso – Re:Common, Global Witness, Corner House e Human and Environmental Development Agenda – saranno riconosciute o no parti civili. Intanto il governo nigeriano ha dato mandato ai suoi avvocati di fare istanza di responsabilità civile a Eni e Shell. Di fatto presentando alle due società il conto per i mancati introiti derivanti da OPL245.

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Autore:

Giornalista. Dal 2000 al 2012 ha lavorato per la Campagna per la Riforma della Banca mondiale. Dal 2012 è il responsabile della comunicazione dell'associazione anti-corruzione <a href="https://www.recommon.org/">Re:Common</a>. Per entrambe le organizzazioni ha redatto numerose pubblicazioni e seguito numerosi vertici internazionali (G20, G8 e Ministeriali del WTO). Ha collaborato con varie testate, tra le quali l'Espresso, il Manifesto, Pagina99, Liberazione, Altreconomia, Left, Solidarietà Internazionale, Nigrizia, Valori, la Stampa.it, Unimondo.org, Comune.info e GreenReport.it. È co-autore del libro “La Banca dei Ricchi” (Altreconomia, 2008) e ha scritto la sceneggiatura delle graphic novel “Soldi Sporchi” (Round Robin, 2015) e “L'Alleato Azero” (Round Robin 2016). Ha collaborato alla realizzazione del video “The Nuclear Party” (2014). Ha ricevuto la menzione speciale nel Premio Addetto Stampa dell'Anno del 2004 per il lavoro svolto durante la ministeriale del WTO di Cancun del 2003.