Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Eolico e criminalità organizzata nelle “terre di mezzo”: verso la Daunia-Irpinia?

La Commissione regionale anticamorra e beni confiscati sbarca in Alta Irpinia, in provincia di Avellino. Un’audizione, fuori dalle mura di Palazzo, per prestare ascolto a una società civile che si muove a tentoni nel pantano dell’interesse collettivo. Oggetto della seduta straordinaria sarebbe dovuto essere quello di far luce sugli eventi criminali, connessi all’eolico, che negli scorsi anni hanno turbato la pace di una popolazione mansueta.

Ma l’obiettivo fallisce in partenza. E così il teatro comunale di Lacedonia – luogo in cui la convention si è svolta – diviene palcoscenico del nuovo atto di una tragedia antica, intrisa di speculazione in assenza di programmazione e, perché no, di obiettivi condivisi. Sull’Irpinia d’Oriente soffia, ancora una volta, il vento dell’antimafia. Ma si infrange contro le barriere di un provincialismo che lascia ancora aperte domande la cui risposta tarda ad arrivare.

DENTRO AI FATTI: IL DIBATTITO
All’audizione della Commissione anticamorra ci sono tutti gli esponenti delle istituzioni e della società civile trasversalmente intesa. Timbrano il cartellino di presenza i consiglieri regionali, l’assessore regionale alla Sicurezza nonché ex Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, la presidente del Consiglio regionale campano, Rosa D’Amelio, il capo di Gabinetto della Prefettura di Avellino, Franca Fico, il comandante provinciale dei Carabinieri, Massimiliano Cagnazzo, il Questore Luigi Botte, il presidente di Confindustria Avellino, Giuseppe Bruno, la referente di Libera Avellino, Emilia Noviello, buona parte dei sindaci dei comuni coinvolti, gli irriducibili comitati civici e gli studenti dell’istituto omnicomprensivo di Lacedonia.
Vera assente, tuttavia, è l’analisi dei fatti che avrebbero portato alla convocazione della commissione stessa. Poco si parla, infatti, degli oltre quattordici attentati che, nell’arco di due anni, hanno colpito trasversalmente tanto gli imprenditori del vento quanto le comunità altirpine. A stento si sfiora il tema delle intimidazioni, dei mezzi dati alle fiamme, delle denunce inviate alla Procura di Foggia rimaste lettera morta. Come foglie secche al vento, i fatti sembrano essere passati in giudicato nella memoria collettiva. Arginati nella terra di mezzo del «non si sa ma, forse, è meglio non sapere.»
Si discute tuttavia di ambiente, di royalties versate e da restituire, di autorizzazioni rilasciate dai funzionari regionali, di Piano energetico ambientale regionale (Pear) – attualmente in corso di Valutazione ambientale strategica (Vas) – e di Piano energetico comunale (Pec). I temi trattati vanno dal depauperamento antropico e delle risorse comuni alla lotta al tabagismo nelle scuole. Dalla mappatura delle aree non idonee alle autorizzazioni recentemente rilasciate in carenza di pareri da parte degli organi competenti. Nel calderone finisce tutto e, forse, anche di più. Tranne che un’analisi concreta sulla saldatura tra l’alta finanza e una mafia che, oggi più di ieri, sembra aver perduto il volto del bandito che vaga in coppola e lupara.

«BISOGNA SEGUIRE L’ODORE DEI SOLDI»
Sono in pochi a ricordare il vero focus del dibattito. Ci prova Michele Solazzo del comitato “No Eolico Bisaccia” quando ricorda ai presenti che «bisogna saper leggere la realtà e, una volta fatto ciò, bisogna sapersi indignare.»
Lo fa il sindaco di Sant’Andrea di Conza, Pompeo D’Angola, mentre spiega che, al di là del controverso iter amministrativo che sta portando alla realizzazione di un parco eolico prossimo all’oasi di Conza – in piena area Sic – alcuni dei mezzi di pertinenza comunale sono stati danneggiati da soggetti che, ancora oggi, restano ignoti. Lo fa, ancora, il consigliere regionale Vincenzo Viglione che, nel tentativo di riabilitare presso l’opinione pubblica il vero oggetto di discussione, fa riferimento a elementi specifici: «Quel che emerge, e non da oggi, è un quadro normativo confusionario che spesso ha lasciato senza risposta le legittime istanze dei cittadini. Ed è indubbio che, in questo contesto, una regolamentazione seria serve innanzitutto a fare in modo che la Campania non resti terra di nessuno. Penso al piano delle aree ipotizzato per la risoluzione della questione petrolio, che pure potrebbe essere legittimamente esteso a questi territori, e a quelli dell’alto Sannio. Lì dove, insomma, il fabbisogno energetico è stato asservito alle logiche della speculazione senza limiti. Però il salto di qualità va fatto. Ed è necessario farlo qui e ora. Pensare che in aree inesplorate, dove il clima tranquillo è pura apparenza, la criminalità organizzata non possa attecchire è sbagliato. Perché le mafie, utilizzando come propria leva il business, si insinuano proprio nelle zone grigie della programmazione. Il mio invito è proteso a non fare il gioco di chi vuole infilarsi in queste contraddizioni e fare fronte comune, insieme. Prestiamo attenzione alle attività economiche, guardiamo la realtà con i nostri occhi. Non lasciamoci ingannare.»
Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento dell’assessore regionale alla Sicurezza, Franco Roberti: «Inizio a comprendere la dimensione di un fenomeno di cui non sappiamo molto. Trentotto anni fa imparai, proprio in questi territori, cosa fosse la camorra. Quella gerarchia criminale che era stata in grado, nel sonno delle istituzioni legali e dell’impianto giurisdizionale, di infiltrarsi nel settore dell’edilizia del post sisma. Oggi, purtroppo, non siamo ancora in grado di dire se qui la green economy sia oggetto dell’affarismo criminale. Possiamo limitarci ad affermare che altrove è stato così. Ma la giustizia, e lo dico rivolgendomi a molti degli intervenuti, non si fa quando ci sono gli arresti ma in presenza di condanne definitive. Quando si spiegano i moventi, le risorse utilizzate, le fattispecie criminali. Qui non è ancora avvenuto. A chi mi chiede se in Alta Irpinia abbia attecchito la mafia rispondo: non lo so. Ma mi preoccupa non saperlo. Qual è l’impegno? Fare opera di verità e di giustizia impegnando di più la magistratura. Investendo nelle competenze. Seguendo l’odore dei soldi attraverso indagini finanziarie e patrimoniali. Chi paga? Come è possibile seguire la traccia del danaro in una filiera che va dalle autorizzazioni regionali fino al nolo dei mezzi per la realizzazione degli impianti? I mafiosi sanno che i loro soldi devono sfuggire al sistema dell’antiriciclaggio. Ed è per questo che spesso nascondono capitali all’estero, rendendo molto più complicato il compito di chi indaga. Ma è sbagliato pensare che in territori in cui si suppone non ci sia mafia, la longa manus della criminalità non sia già penetrata nelle maglie della società. Perché forse è proprio qui che è conveniente nascondersi.»

VERSO LA DAUNIA-IRPINIA?
Ma questa Irpinia d’Oriente è pronta per una verità che, in fondo, non solo non ha cercato ma non ha neppure preteso? Ha smesso d’essere monade per trasformarsi, finalmente, in realtà collettiva? Forse no.
A ben vedere, al netto delle indagini della magistratura – che ci auguriamo vadano avanti nonostante la «coperta troppo corta» cui pure ha fatto riferimento l’assessore Roberti ricordando le capacità economiche delle Procure – resta la storia. Una storia intrisa di colpi di kalashnikov sparati a volto scoperto in pieno giorno. Di attentati incendiari a mezzi, di copertoni bruciati a ridosso di sottostazioni elettriche, di ordigni rudimentali piazzati ad hoc per “fare rumore”, di rotoballe bruciate nei campi. E quando il modus operandi è questo, forse, non ci si può accontentare di mettere in gabbia qualche “banditello di periferia”. Ma occorre indagare sui moventi, sui mandanti, sulle cause, sulla filiera nella sua totalità. Bisogna, con ogni probabilità, volgere lo sguardo a est. Ai luoghi, cioè, da cui pure provengono i responsabili degli attentati a oggi consegnati alla giustizia.
Perché se dopo i mezzi dati alle fiamme, le denuncie depositate presso la Procura di Foggia, le audizioni richieste e mai avallate dal Prefetto, alcuni imprenditori del Nord Italia specializzati nel nolo dei mezzi per il trasporto delle componenti eoliche hanno scelto di non investire più in Irpinia, un problema deve pur esserci. In uno dei casi in esame, nello specifico, la titolare di un’azienda attiva nel novarese dichiarò che dopo aver denunciato che i propri mezzi erano stati dati alle fiamme sia a Manfredonia – provincia di Foggia – che a Calitri – provincia di Avellino -, le era stato “consigliato” di abbandonare il campo. Che non si poteva dar seguito alle denunce fatte perché in fondo il guardiano – assunto in loco con regolare contratto di guardiania – non aveva visto né sentito nulla. Tranne, probabilmente, la puzza di bruciato.
Tuttavia nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) relativa al secondo semestre del 2017, una traccia c’è. Quanto meno nella modalità d’azione di consorterie criminali che «pur soffrendo la forte azione di contrasto giudiziario, si mantengono vitali e pronte a nuove sfide affaristiche anche in contesti internazionali, dove si impongono con rinnovata autorevolezza criminale. Tali gruppi – si legge – si confermano attivi nello spaccio di stupefacenti, nelle estorsioni, nel traffico di armi, con prevalente interesse per le rapine ad autotrasportatori e a furgoni portavalori, attività nelle quali denotano spiccato senso della pianificazione e notevoli potenzialità strategiche di tipo “militare”. In assenza di una struttura gerarchicamente organizzata, collaborano, all’occorrenza, con altre consorterie criminali operanti nell’area nord del territorio regionale.
In larga parte, mostrano una spiccata vocazione a espandere i propri interessi illeciti oltre confine. Pertanto il quadro criminale della provincia di Foggia, da sempre frastagliato in diverse forme di criminalità (capoluogo di provincia, Gargano, alto e basso Tavoliere), oggi si presenta più complesso ed instabile. Infatti, pur di consolidare la propria autonoma operatività nei territori di riferimento e raggiungere una gestione monopolistica di alcune attività illecite, i clan risultano sempre più proiettati verso convergenze e alleanze con gruppi di diversa provenienza, rendendo lo scenario altamente fluido. Il forte radicamento delle consorterie sul territorio favorisce un contesto ambientale omertoso e violento (in primo luogo determinato dalla matrice di familiarità che contraddistingue gran parte dei clan, in particolar modo dell’area garganica), che si manifesta con danneggiamenti e atti intimidatori ai danni di operatori del commercio, dell’edilizia, dell’energia, del turismo e dell’agricoltura, ivi compresi i settori trainanti dell’economia del territorio.
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«CAMBIA IL VENTO MA NOI NO…»
Non è tutto. Perché la Dia si sofferma sulla capacità e la pervasività di queste associazioni criminali nel ramo degli appalti pubblici. Suggerendo che lo schermo formale del sub-affidamento di parti consistenti dell’appalto attraverso le pratiche collaudate del subappalto, del nolo a caldo e a freddo, del movimento terra, del trasporto e della fornitura dei materiali e delle materie prime, dello smaltimento dei rifiuti rappresentano, per definizione, le tecniche utilizzate per annullare ogni possibile forma di concorrenza. Dunque, da dove vengono quei kalashnikov? Perché agire a volto scoperto e in pieno giorno? E perché colpire determinate sottostazioni e non altre?
Ma per queste domande, nel teatro comunale di Lacedonia, non c’è spazio. Perché quella che viene fuori dal dibattito è una comunità stanca, affetta da un provincialismo manierista che la pone alla ricerca costante della propria occasione, fallita in partenza. La comunità è in attesa, ancora una volta, di dire la propria. Di rivolgersi all’istituzione di turno per parlare di tutto o forse niente, per caricarla di un problema che, in fondo, si autoalimenta nel grigiore dell’atarassia collettiva. La verità, dal sapore piuttosto amaro, è che una delle più grandi eredità che il terremoto del 1980 ha lasciato in questo territorio martoriato è l’assistenzialismo, l’incapacità di essere al di là di una delega in bianco. Ed è per questa ragione che la possibilità di un confronto chiaro con la commissione antimafia – non con la politica genericamente intesa, si badi, convocata in una qualunque Assise, ma proprio con l’antimafia – si trasforma nell’occasione per chiedere che la Regione tenga conto delle dinamiche dello spopolamento, dell’invecchiamento, del tabagismo, dell’ambiente ma (quasi) mai di quelle mafiose. L’Alta Irpinia lo scorso 25 settembre ha perso l’occasione di far chiarezza sulla fenomenologia criminale. Lasciandosi trasportare dall’esuberanza d’essere, per una volta ancora, al centro dell’interesse politico. Qualunque esso fosse. Ed è per queste ragioni che la domanda vien da sé: e se fosse il vento il vero cavallo di ritorno dell’Irpinia d’Oriente? Il modo per affermarsi, agli occhi delle istituzioni, e per ribadire: esisto anch’io? Se la risposta è quella a cui siamo abituati, allora ben venga un terremoto delle coscienze.

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Autore:

Giornalista, caporedattrice del periodico Terre di frontiera. Specializzata in tematiche ambientali. Crede nel cambiamento e nella possibilità di ciascuno di contribuirvi.