Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Il fallimento della politica dell’interesse nazionale

La centrale termoelettrica a carbone Federico II, con una capacità totale di 2640 MW ed una estensione di 270 ettari, è una delle più grandi centrali a carbone d’Europa. Situata a sud di Brindisi – poco distante dal bosco di Cerano, una riserva naturale – è collegata al porto da un nastro trasportatore, unico caso al mondo, che attraversa le campagna per circa 12 chilometri. Secondo uno studio del Cnr – pubblicato nel 2015 dalla rivista “International journal of environmental research and public health” – provocherebbe fino a 44 morti l’anno.

Si apre così il reportage da Cerano pubblicato, a pagina 20, nel numero di ottobre del nostro mensile. L’elenco dei dati, delle emissioni, degli effetti sulla salute e dei danni ambientali spiegati nell’approfondimento, non serve solo a confermare – qualora ci fossero dubbi – la stretta correlazione tra impatto industriale ed emergenza sanitaria ma, evidenziano anche, il fallimento di una tipologia di sviluppo – per lo più imposto – di politiche sbagliate perché focalizzate su “interessi nazionali”.

Tali scelte, invece di arricchire il territorio, lo hanno sostanzialmente svuotato delle sue potenzialità legate all’agricoltura, alla trasformazione, alla pesca, al turismo, alle piccole attività artigianali e manifatturiere. In un periodo in cui ancora gli effetti nefasti dell’ultima guerra rendevano cocci da raccogliere queste tradizionali attività della nostra terra, l’imposizione di mega impianti industriali ha spazzato via tutto come inutili rottami del passato, che dovevano far posto al nuovo, alla modernità, al progresso. Un’occupazione mentale e fisica, tipica delle colonizzazioni. Sì, perché fisicamente, questa ingombrante presenza si è tradotta nell’appropriazione di centinaia di ettari di terreno fertile e di zone ad alto pregio ambientale. Un bene comune tolto alla popolazione. Un bene comune stravolto e avvelenato in cambio di un’occupazione che dopo l’euforia della novità e del rassicurante “stipendio fisso” è andata man mano calando fino a superare oggi il 30 percento di disoccupazione media e una disoccupazione giovanile che va ormai oltre il 50 percento. Lasciando anche desertificazione del territorio, che ha nell’emigrazione e nella inconsapevole e rassegnata cancellazione dell’identità le maggiori evidenze.

È in questo contesto che si inseriscono le ultime proposte del governo regionale in merito allo spostamento del TAP (Trans Adriatic Pipeline) da San Foca a Brindisi, in quanto già “strainquinata” (cit. il governatore pugliese Michele Emiliano). Proposte che vedono ancora una volta Brindisi come il sito dove collocare un’altra opera impattante ed inutile. Qui, e ovunque, considerando tra l’altro che non un solo metro cubo di gas rimarrà sul territorio italiano essendo destinato al nord Europa. Nessun impegno, quindi, a un cambio di paradigma energetico (liberarci dall’uso di fonti fossili). Nessuno sforzo per avviare delle serie bonifiche. Solo una volontà di marginalizzare ulteriormente un territorio escludendolo così definitivamente da un riscatto economico e sociale, usando pretestuosamente l’argomento della conversione a gas della centrale di Cerano. Soluzione assolutamente non presa in considerazione da Enel, per ingannare ancora una volta la comunità brindisina. Pur dovendo vivere, nelle nostre tante lotte di questi anni, l’amarezza della carente partecipazione della cittadinanza, riteniamo ingiuste le accuse mosse verso questa città, vista come inerte e amorfa. Brindisi, a suo modo, cerca di uscirne fuori. Comincia a rendersi conto degli errori del passato, prova a capirne le conseguenze ma non riesce ancora a vedere prospettive future, ad iniziare con decisione e coraggio un nuovo cammino, dovendosi trascinare il macigno della disoccupazione e dei conseguenti ricatti occupazionali ed una classe di amministratori che le cronache raccontano essere stata corrotta e servile.

È di questo servilismo che siamo sicuramente stanchi: enti pubblici e istituzioni locali grate proprio a quei poteri economici che hanno deviato il nostro sviluppo, solo perché elargiscono finta beneficenza e sponsorizzazioni, pervadendo sport e cultura. Come si può credere di “compensare” in questo modo la devastazione dell’ambiente, l’avvelenamento dei terreni che dovrebbero nutrirci, l’aria che respiriamo, le tante persone che si ammalano e tante altre che muoiono?

La generazione che ci ha preceduto, per ignoranza o mancanza di informazione o paura del futuro, dopo la tragedia della guerra ha commesso l’errore di accettare ciò che la politica nazionale aveva deciso per questo territorio. Oggi però non ci sono più scuse. Un grado maggiore di istruzione, l’informazione libera sul web, la possibilità di confronto e di acquisizione di esperienze anche lontane, ci dà la possibilità – ma anche l’obbligo morale – di fare la nostra parte. E noi come movimento No al Carbone, cittadini liberi di questa terra, continueremo a farla. Con le possibilità e i pochi mezzi che abbiamo, ma con la certezza di essere nel giusto. Perché “quando la propria terra è in vendita ribellarsi è la cosa più normale”.

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