Reportage fotografico tra le concerie di Solofra, in provincia di Avellino, tra vecchie fabbriche e nuove speranze.
“Quando arrivi a Solofra si sente”, si usa dire. Ma più che un detto è un dato di fatto. Passando per la Strada Provinciale 104, l’odore delle concerie e del depuratore, è una cappa nauseabonda. Da anni c’è il sospetto di sversamenti illeciti nel Rio Secco. Un torrente così denominato poiché, a meno di piogge, è sempre in secca. Eppure, nonostante la poca pioggia degli ultimi mesi, nel letto del fiume rimane un rigagnolo d’acqua, scura e maleodorante, che in alcuni punti si colora di rosso ramato. Basta fare un centinaio di metri, dopo l’area industriale, e l’acqua sparisce, infiltrandosi tra rocce e terreno.
La conceria, da sempre, è una delle attività principali di Solofra, in provincia di Avellino. E lo si può capire esplorando il centro storico-industriale, tra i vicoli vecchi del paese. Qui, come monumenti di un glorioso passato, troneggiano gli scheletri delle vecchie concerie affacciate sul fiume. In alcune troviamo ancora bidoni abbandonati, poster con gli orari di lavoro, cappotti lasciati lì da chi in quelle mura ci ha lavorato una vita. Addirittura c’è chi ci vive ancora. Vecchie imprese di famiglia trasformate in abitazioni ed appartamenti. Case perse tra le rovine industriali.
Ma basta allontanarsi di qualche centinaio di metri per ritrovarsi nella parte nuova di Solofra, tra boutique di moda che vendono abiti rigorosamente in pelle e pelliccia e altre concerie più moderne. Alcune vere e proprie aziende, altre officine familiari e casalinghe con le pelli appese ad asciugare nei solai. Nei cortili, invece, i simboli con il teschio e la scritta “tossico”, sembrano non spaventare più di tanto i residenti. E poi, poco più in là, le grandi imprese: enormi casermoni, uffici dalle scintillanti vetrate, centri di ricerca e il depuratore regionale. Dove un continuo via vai di camion porta taniche e taniche di prodotti chimici, da “non disperdere nell’ambiente” e “corrosivo”.
La Legambiente, nell’ambito della campagna “Goletta dei fiumi” ha diffuso i dati 2016 dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpac) relativi ai controlli sulle acque in uscita dagli impianti di depurazione. “Sebbene non realizzati su tutti gli impianti e in numero adeguato […] evidenziano appieno quanto sia critica la situazione.” Con l’Irpinia che si piazza all’ultimo posto con il 70 per cento dei controlli risultati non conformi. Dati che, oltre a danni ad ambiente e salute, porteranno a multe salatissime da parte dell’Europa.
Ma tante, troppe famiglie contano ancora sul polo conciario del paese. Lo fanno per andare avanti. “La situazione è già in crisi, senza bisogno degli ambientalisti.”, si sente sottolineare.
La maggior parte delle imprese è in perdita, o sta chiudendo, e le poche che sopravvivono lo fanno con sistemi di produzione vetusti, risalenti agli anni Ottanta. Insomma, in un modo o nell’altro, qui, c’è da giocarsi la pelle.