Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Appunti per la storia di una frana: il caso Pomarico

Gli effetti disastrosi della frana avvenuta a Pomarico, in provincia di Matera, lo scorso 29 gennaio sono il ritratto di un territorio fragile, da trattare con particolare attenzione, in cui emerge e spicca prepotentemente la ciclicità del fenomeno distruttivo.

Questa breve cronistoria per ribadire, ancora una volta, che gli eventi franosi si reiterano e a maggior ragione, un territorio fragile va trattato con particolare attenzione, quella che è mancata soprattutto in epoca recente. Il tratto franato più volte di Corso Vittorio Emanuele, aveva – ed ha -, evidentemente, un carico eccessivo di strutture antropiche che poggiano su materiali incoerenti (prevalentemente sabbiosi) e una mancata gestione di molte perdite d’acqua. Da meno di un anno si è costituito un Comitato per la Difesa del e la valorizzazione del centro storico di Pomarico che sta ponendo la giusta attenzione e facendo da sprone nei confronti delle istituzioni.

«La strategia dell’abbandono abita da sempre sull’Appennino. Sta lì, silente e dormiente per lungo tempo, un po’ come le faglie nella crosta terrestre. Poi, come il terremoto, all’improvviso ritorna ciclicamente a manifestarsi con tutta la sua forza, arruolando proseliti, capi ed esecutori. Il terremoto, al pari di altre calamità naturali, è il suo più grande complice, un validissimo “facilitatore”. Nel tempo, durante le fasi di quiete, la strategia dell’abbandono si alimenta di cattiva edilizia, saccheggio del paesaggio e delle risorse naturali, mancata prevenzione geomorfologica, e di patrimoni immobiliari lasciati all’incuria da eredi, che neanche si ricordano di essere proprietari di una casa della bisnonna.
La cattiva politica è la sua linfa vitale: politici e governanti di scarse qualità e improvvisate che rincorrendo i falsi miti del decisionismo, dell’efficienza e della razionalizzazione, hanno ridotto gli spazi democratici e rappresentativi, quasi azzerato i servizi alle persone, svenduto e privatizzato beni pubblici e risorse naturali. Amministratori locali senza poteri di intervento efficaci e sanzionatori verso quanti lasciano depauperare un patrimonio immobiliare, fino al punto di renderlo pericoloso per tutti […]
»
[Leonardo Animali, tratto da Così il terremoto ha ridato linfa alla strategia dell’abbandono, 11 ottobre 2017, sezione Scritture de Lo stato delle cose. Geografie e storie del doposisma]

La manifestazione estrema di una fragilità territoriale geomorfologica, come la frana avvenuta in Basilicata, in provincia di Matera, a Pomarico, nel mese di gennaio 2019, costringe ad una riflessione ampia e multidisciplinare. Rarefarla a un dialogo per addetti ai lavori, infatti, risulterebbe come esautorare i soggetti della crisi – i cittadini del territorio – da un dibattito che li riguarda da vicino.
Se il tema diffuso del dissesto geo-idrologico deve divenire parte integrante delle priorità per un’incisiva azione di tutela e salvaguardia, bisognerà aprire lo scrigno percettivo della problematica su più livelli e con una contaminazione feconda delle competenze. Concetto, questo, condiviso anche da Nicola Casagli, professore dell’Università degli Studi di Firenze (uno dei cosiddetti Centri di Competenza nazionale per il Dipartimento della Protezione Civile, ndr) il quale, insieme al dottor Antonello Fiore, Presidente nazionale di Sigea (Società italiana di geologia ambientale), fa parte del Comitato promotore del Convegno nazionale “Analisi e attività di mitigazione dei processi geo-idrologici in Italia” che si terrà a Roma nel prossimo novembre e attenzionerà anche e, soprattutto, gli interventi non strutturali utili alla prevenzione del rischio idrogeologico.
Un dato che emerge e spicca prepotentemente è la ciclicità del fenomeno franoso del luogo preciso dove la frana si è manifestata, fortunatamente in due step, dando il tempo per l’ordinanza sindacale di sgombero che ha evitato il peggio, tra il 25 e il 29 gennaio 2019. Sono stati sgombrati oltre 20 nuclei familiari, 56 persone in tutto. Esattamente quel punto, da molti anni fronte a forte rischio – come segnalato dall’Autorità di Bacino nelle sue mappe ufficiali – ha più volte e in diverse circostanze mostrato estrema fragilità. Se solo fosse stato fatto tesoro degli eventi di un recente passato, probabilmente le scelte urbanistiche e abitative sarebbero state condizionate, in positivo, da fatti evidenti, allontanando e arginando rischi e pericoli.
In tempi storici recenti, Pomarico risulta tra i comuni lucani che più ha subìto, sul proprio territorio, eventi franosi. Solo per citarne alcuni, ricordiamo nel 1960 la frana – che era stata innescata dopo gli eventi alluvionali tra il 23 e il 25 novembre del 1959 con fenomeni estesi e violenti in buona parte del Metapontino e nella fascia compresa tra il medio bacino del fiume Bradano fino alle pendici del Pollino – il 14 maggio del 1960 e nei giorni seguenti determinò l’ulteriore caduta (e l’abbattimento) di abitazioni (35 in tutto) e oltre 100 sfollati (vi erano stati prodromi, significativi ma di moderata entità, l’8 maggio del 1953 e negli anni seguenti, per fortuna senza gravi danni). Da quel momento anche la toponomastica è cambiata: quel tratto, imponente, di Corso Vittorio Emanuele, da quel momento si chiama «la frana».

Gennaio 2019. La frana di Pomarico. Gianni Palumbo

Foto: Parte del muro di cemento armato in disfacimento, sovrastante l’innesto con le briglie per lo scorrimento delle acque, sotto il piazzale del quartiere Pesco di Nembo, interessato da notevoli movimenti franosi nel recente passato. Quest’area è limitrofa a quella della frana del 25-29 gennaio 2019 di Corso Vittorio Emanuele // Gianni Palumbo ©

Nel 1977, il 21 gennaio furono compromesse alcune abitazioni che misero a rischio 150 persone, i movimenti franosi furono determinati, già nel novembre del 1976, da intense precipitazioni piovose. Nel 1986 fu la volta del Rione Pesco di Nembo che progressivamente, da quel momento, fu sgombrato fatta eccezione per una strada che cinge il rione stesso e fu messa in sicurezza ed è attualmente l’unica strada di accesso alla parte non crollata di Corso Vittorio Emanuele. Nel momento in cui scrivo questo articolo, le briglie per convogliare le acque sotto il piazzale realizzato proprio in seguito a tali eventi franosi sono, già da alcuni anni, in evidente cedimento con rotture anche importanti.
Nel 1989 (20 agosto) è toccato a punti esterni all’abitato (la S.S. 380 al km 7+600m), il 17 febbraio del 1997 al Rione Tempe-Fontanelle. Sono scolpiti nella memoria recente dei pomaricani altri due eventi rovinosi: quello della strada comunale che porta nella fondo valle, verso Montescaglioso – in seguito all’alluvione di pochi anni fa -, fenomeno ancora attivo proprio nella parte in cui l’attuale circonvallazione dell’abitato si biforca verso tale strada, e poi la frana di Piana Pacilio, ove è stato evitato il peggio grazie a un’azione di recupero effettuata in extremis, quando ormai l’evento franoso lambiva alcune abitazioni, accompagnando le acque fuori dall’area in cui stava provocando palesi danni (anche quell’intervento ha bisogno urgente e continuo di manutenzione).
Ho trascurato in questa breve descrizione, rintracciata negli annali degli eventi e in archivi, altri eventi puntiformi e localizzati, comunque di grande importanza (il crollo di alcune abitazioni nella parte più alta del centro storico e la potenziale implosione di altre per via di perdite ingenti di acqua trascurate o, nel migliore dei casi, su cui si è intervenuti con colpevole ritardo).
A seguito di tali movimenti franosi (in particolare nel 1963, quando fu attiva e distruttiva l’ennesima frana a Craco) e al successivo permanere di situazioni di pericolosità anche il comune di Pomarico fu inserito negli elenchi di quelli da consolidare e/o trasferire totalmente o parzialmente a cura e spese dello Stato.
In particolare nel 1963 furono una ventina i comuni per i quali si pensò a provvedimenti importanti tra i quali, nel bacino del Basento, i comuni di Calciano, Ferrandina, Grassano, Pisticci e Pomarico e nella valle del Cavone tra gli altri, anche il comune di Craco che fu, di fatto, “deportato” a valle.
La fortuna, nel tragico evento di questo inizio 2019, è che la frana si è manifestata gradualmente e non ci sono state vittime, come invece accadde a Senise nel 1986, qualcuno lo ricorderà, quando alle 4 del mattino del 20 luglio un rovinoso effetto franoso nella parte sommitale della collina Timpone creò una distruzione terribile con 8 morti e diversi feriti (oltre ad alcune centinaia di sfollati).
Questa breve cronistoria per ribadire, ancora una volta, che gli eventi franosi si reiterano e a maggior ragione, un territorio fragile va trattato con particolare attenzione, quella che è mancata soprattutto in epoca recente. Il tratto franato più volte di Corso Vittorio Emanuele, aveva – ed ha -, evidentemente, un carico eccessivo di strutture antropiche che poggiano su materiali incoerenti (prevalentemente sabbiosi) e una mancata gestione di molte perdite d’acqua. Da meno di un anno si è costituito un Comitato per la Difesa del e la valorizzazione del centro storico di Pomarico che sta ponendo la giusta attenzione e facendo da sprone nei confronti delle istituzioni.

Gennaio 2019. La frana di Pomarico. Gianni Palumbo

Foto: I disastrosi effetti della frana a Pomarico. Diciotto le abitazioni crollate il 29 gennaio, circa 100 metri dello storico Corso Vittorio Emanuele. // Gianni Palumbo ©

Dal recente e rovinoso evento franoso di sicuro la morfologia del territorio, caratterizzata dall’erosione calanchiva, cambierà per sempre l’aspetto di questo pezzo di centro storico di Pomarico, alla ricerca di un assestamento e, quindi, di un nuovo equilibrio strutturale. La storia degli eventi dell’ultimo secolo pare abbia insegnato poco e il tentativo di trasformare questo dramma in un evento fatalista, frutto del destino cinico e baro, è da allontanare e rifiutare categoricamente. Occorre concretezza e definizione di responsabilità oltre ad una giusta e ovvia solidarietà (preferibilmente silenziosa e austera).
Esistono responsabilità molteplici sedimentate in una incuria che è stata la cifra della gestione del territorio, soprattutto dopo l’abbandono progressivo e inesorabile del centro storico, in seguito alla realizzazione del quartiere periferico “Aldo Moro”.
La ricerca della verità richiede coraggio, il coraggio di affrontare un percorso di rinascita e “decostruzione” che non si può e non si deve chiudere con il finanziamento statale ottenuto col giusto riconoscimento dello Stato di Emergenza Nazionale, in seguito alla congruità tecnica per l’ottenimento del medesimo verificata direttamente, il 2 febbraio, dal Capo del Dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli, che si è fatto accompagnare nella visita alla zona franata di Pomarico dal presidente della Commissione Nazionale Grandi Rischi, il professor Gabriele Scarascia Mugnozza e dal citato professor Casagli.
A partire dalla fine di febbraio è stato attivato un monitoraggio annuale con il radar interferometrico i cui dati, elaborati dall’Università di Firenze, ci racconteranno di più e in maniera puntuale e dettagliatissima i particolari di questa frana retrogressiva di proporzioni notevoli, auspicando che da questo evento si possa segnare un cambio di passo rispetto a un problema già segnalato durante la visita di Zanardelli, presidente del Consiglio dei Ministri, nel lontano settembre del 1902, e mai preso seriamente in considerazione (come dimostra l’ampia presenza di documenti a riguardo) al di là degli interventi strutturali (insufficienti) che hanno evidenziato l’acuirsi della problematicità durante il Novecento e i primi decenni del nuovo millennio.

Iscriviti alla nostra newsletter!

Condividi questo articolo
Autore:

Ispettore onorario, Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Puglia e della Basilicata, ministero dei Beni e delle Attività Culturali.