Il gasdotto Rete adriatica – opera inserita nella Rete nazionale gasdotti e dichiarata di pubblica utilità nel 2004 – è un metanodotto di 687 chilometri che parte da Brindisi, in Puglia, ed arriva Minerbio, in Emilia Romagna. Suddiviso in cinque lotti, attraversa dieci regioni, molte in zona sismica, come illustrato nella Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale, a cura dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
Inizialmente progettato per raddoppiare una condotta già esistente lungo la dorsale adriatica, il grande gasdotto Rete Adriatica della Snam spa ha abbandonato la costa per snodarsi lungo le depressioni dell’Appennino centrale. Correndo in parallelo, intersecando numerose faglie ed intercettando località ad elevato rischio sismico, come tutti i centri dell’aquilano colpiti dal disastroso sisma del 6 aprile 2009 e quelli dell’Umbria e delle Marche colpiti dal terremoto del 1997.
Il recente devastante terremoto del 24 agosto 2016 – che ha interessato Lazio (Amatrice, Accumoli), Marche (Arquata e Pescara del Tronto), Umbria e Abruzzo – ha colpito, ancora una volta, la dorsale appenninica.
La Snam sostiene che la ricerca di un corridoio idoneo ad ospitare il gasdotto Rete adriatica fu inizialmente indirizzata in prossimità della linea di costa, nel rispetto di un minore consumo di suolo, utilizzando servitù e varchi già costituiti. Un posizionamento che fino a Biccari, in provincia di Foggia, non ha incontrato ostacoli. I problemi sono cominciati in direzione di Pescara, nel tratto Biccari-San Salvo, a causa di criticità geologiche e urbanistiche che hanno resa necessaria la deviazione verso l’interno. Una decisione, quella della Snam, caratterizzata da una forte arbitrarietà, sia per le asserite criticità̀ non suffragate da adeguati studi, sia per il modo superficiale con cui è stato affrontato il problema delle alternative di tracciato.
IL SÌ DELLA COMMISSIONE NAZIONALE DI VALUTAZIONE D’IMPATTO AMBIENTALE
Nel mese di ottobre 2010, la Commissione nazionale di Valutazione d’impatto ambientale (Via), accettando le dichiarazioni apportate dai titolari del progetto, ha espresso parere favorevole all’opera, pur rilevando la carenza degli studi sismici di dettaglio. Contraddittoria è, infatti, la posizione della Commissione che – pienamente consapevole dell’alto rischio sismico dell’Appennino – conclude che, pur in presenza di tali studi, la vulnerabilità della condotta può essere solo ridotta, ma non eliminata. Questo significa, in sostanza, che il rischio c’è e rimane tutto a carico delle popolazioni residenti. Infatti, la Mappa della pericolosità sismica del territorio nazionale (nella foto in alto) mette in evidenza, attraverso l’intensità della colorazione viola, le aree che sono a più elevato rischio dell’intera Penisola. Sono le stesse aree che dovrebbero essere attraversate dal mega gasdotto Brindisi-Minerbio.
GLI STUDI SISMICI
L’8 maggio 2011, all’Aquila, nel corso del Convegno nazionale “Gasdotto Rete Adriatica: perché sulla dorsale appenninica?”, il professor Alberto Pizzi, sismologo dell’Università di Chieti, ha evidenziato la pericolosità dell’opera per la “presenza delle faglie attive nell’area della dorsale appenninica interessata dal progetto del gasdotto che attraversa proprio la zona dove si verificano le massime accelerazioni al suolo.”
Lo stesso vale per la centrale di compressione prevista a Sulmona: tre turbocompressori della potenza complessiva di 33MW, una superficie di 12 ettari, in Zona Sismica 1 per la vicinanza alla faglia attiva del Monte Morrone, silente da oltre 1900 anni. Il 6 novembre 2010, a Sulmona, in una giornata di studi sulla sismicità nella Valle Peligna, il professor Warner Marzocchi, sismologo dell’Istituto nazionale di geo sica e vulcanologia (Ingv), ha dichiarato che “nei prossimi dieci anni potrebbe esserci in città un terremoto di magnitudo 5.5 o superiore. L’eventualità si attesta su una probabilità del 15 per cento, che scende al 5 per i futuri 5 anni.”
I cittadini e i comitati locali, che da anni si battono contro il gasdotto Rete adriatica, si chiedono “cosa accadrà in caso di realizzazione del gasdotto e della centrale di compressione? Come si può garantire l’incolumità dei cittadini se la cronaca ci riferisce di episodi di esplosioni di gasdotti di diametro inferiore al Rete adriatica, anche per un semplice smottamento di terreno?”
E di episodi ce ne sono stati: il 15 gennaio 2004 nella periferia di Montecilfone in Molise; l’11 febbraio 2010 a Tarsia in Calabria, per una frana; il 18 gennaio 2012 a Tresana in Toscana, per lavori di manutenzione; il 20 luglio 2013 a Sciara in Sicilia, forse a causa della condotta danneggiata; il 6 marzo 2015 a Mutignano di Pineto in Abruzzo, forse a causa di una condotta danneggiata; il 9 maggio 2015 a Roncade in Veneto, a causa di smottamenti del terreno; il 19 novembre 2015 a Ponte Presale di Sestino in Toscana, a causa di un cedimento strutturale della condotta.
STATO ATTUALE DEL PROCEDIMENTO
Nel mese di maggio 2011 la Snam ha richiesto al ministero dello Sviluppo economico di procedere alla costruzione anticipata della sola centrale di compressione di Sulmona e delle quattro linee di collegamento rispetto al gasdotto. Da allora l’iter procedurale segue due percorsi distinti: uno per la centrale e l’altro per il metanodotto. E così, mentre si sono già concluse le Conferenze di servizi per la centrale di compressione – con la remissione degli atti alla presidenza del Consiglio dei ministri, stante il mantenimento della negazione dell’intesa da parte della Regione Abruzzo – per il metanodotto Sulmona-Foligno le Conferenze dei servizi non si sono ancora concluse. Dopo vari incontri tra i rappresentanti della Regione Abruzzo, del Comune di Sulmona, del Governo e dei ministeri (Ambiente e Beni Culturali) – finalizzati al superamento della negazione dell’intesa – a dicembre del 2015 si è avuto l’ultimo incontro tra il presidente abruzzese, Luciano D’Alfonso, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Claudio De Vincenti, sull’ipotesi della centrale di compressione, sempre ubicata a Sulmona, ad alimentazione elettrica anziché a gas. Tale ipotesi, già espressa dalla Snam nell’incontro di settembre 2015, lascia intendere che in questo modo si risolverebbe il problema delle emissioni in atmosfera dannose per la salute, ma trascura e non risolve tutti gli altri impatti (ambientale e rischio sismico), che rimarrebbero inalterati. Implicitamente si ribadisce che il percorso del gasdotto rimane quello scelto e, soprattutto, non rispetta la volontà del Parlamento che ha disposto la modifica del tracciato al di fuori della dorsale appenninica e, di conseguenza, anche dell’annessa centrale a supporto del metanodotto.
L’ipotesi della centrale di compressione ad alimentazione elettrica è stata bocciata sia dalla Regione (delibera di giunta del novembre 2015), sia dal Comune di Sulmona (ottobre 2015).
I VIZI PROCEDURALI
La Snam ha suddiviso il gasdotto in più segmenti sottoponendoli ad una serie di valutazioni di impatto ambientale parziali, pur trattandosi di un’opera incardinata su un unico tracciato, Sud-Nord, e pertanto assoggettata a procedimento di Valutazione ambientale strategica (Vas) o ad un unico procedimento di Via, secondo le direttive n.42/2001CE (qualora sia considerata “piano o programma”), n.85/337/CE e n.97/11/CE (qualora sia considerata “opera unitaria”).
La direttiva n.42/2001/CE – entrata in vigore il 21 luglio 2001, 4 anni prima la presentazione del progetto – stabilisce (art.1) che sulla base delle politiche e delle azioni comunitarie dirette a promuovere lo sviluppo sostenibile, deve essere obbligatoriamente garantita l’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi suscettibili di avere un impatto significativo sull’ambiente, al fine di assicurarne una valutazione ambientale efficace. Mentre il procedimento Vas ha lo scopo di fornire i criteri per la scelta della strategia più sostenibile per l’ambiente, in seguito alla valutazione di tutte le strategie possibili e le ragionevoli alternative effettuate comparando gli obiettivi di sviluppo del piano o programma con gli effetti significativi, singoli e cumulativi che l’attuazione dello stesso potrebbe avere sull’ambiente. La prassi amministrativa seguita – non avendo sottoposto l’opera alla Vas – vìola le disposizioni comunitarie e nazionali che impongono la valutazione complessiva degli interventi proposti, come autorevolmente interpretato dalla giurisprudenza comunitaria e amministrativa nazionale. Anche per quanto concerne la centrale di compressione di Sulmona la Snam ha posto in essere un artifizio attraverso il quale mira ad ottenere la realizzazione della centrale separatamente e a prescindere da quella del metanodotto. In data 21 giugno 2011 la società ha inviato al ministero dello Sviluppo economico una lettera nella quale dichiara che ha necessità di “dare avvio anticipatamente, rispetto al metanodotto, alla realizzazione della centrale di compressione gas di Sulmona e delle quattro linee di collegamento alla rete Snam esistente” per “assicurare la tempestività dell’aumento di capacità di trasporto per gli ulteriori quantitativi di gas naturale disponibili in corrispondenza del campo di stoccaggio Fiume Treste (nel territorio comunale di San Salvo, in provincia di Chieti) già collegato alla Rete nazionale mediante gli esistenti gasdotti Vastogirardi-San Salvo e Campochiaro-Sulmona.”
Con tale dichiarazione la Snam assegna alla centrale di compressione di Sulmona una diversa funzione prioritaria rispetto a quella finora sostenuta: spingere nella rete esistente il gas stoccato a San Salvo. E nel mese di settembre 2011, il ministero dello Sviluppo economico, tramite la Snam, ha fatto pervenire a diversi enti locali una missiva con cui chiede il rilascio del “parere di competenza” in merito all’“autorizzazione alla costruzione dell’opera denominata centrale di compressione gas di Sulmona e delle quattro linee di collegamento alla Snam Rete Gas esistente.”
Sia il decreto di pubblica utilità che quello di compatibilità ambientale – rilasciati rispettivamente nel dicembre 2010 e nel marzo 2011 – fanno riferimento ad un’opera denominata “Metanodotto Sulmona-Foligno e centrale di compressione gas di Sulmona” e non già all’opera, come afferma il ministero dello Sviluppo economico, denominata “Centrale di compressione gas di Sulmona e delle quattro linee di collegamento alla rete Snam esistente”. Pertanto, lo stralcio di parte dell’opera (ovvero della centrale di compressione) non può essere effettuato in quanto la centrale è strettamente funzionale all’esercizio del metanodotto. Come la Snam ha sempre asserito nella documentazione prodotta.
In sostanza, centrale e gasdotto sarebbero entrambi funzionali per spingere il gas proveniente da Sud, in una strategia più ampia comprendente il contestato Trans adriatic pipeline (Tap) che trasporterà il gas proveniente dall’Azerbaijan.
LE INIZIATIVE DEI COMITATI, I RICORSI E GLI ATTI ISTITUZIONALI
Numerose le iniziative messe in campo negli ultimi anni da cittadini e comitati, riuniti nel Coordinamento interregionale “No Tubo” Abruzzo Marche Umbria. Osservazioni, ricorsi alla Commissione europea e al Consiglio di Stato contro i decreti di pubblica utilità e compatibilità ambientale, lettere alla Banca europea investimenti (Bei), che finanzia il progetto, e al ministero dello Sviluppo economico sulle irregolarità della costruzione anticipata della centrale di compressione rispetto al metanodotto. Molte le delibere di contrarietà all’opera, approvate all’unanimità dai Comuni di Sulmona, L’Aquila, Navelli, Pratola Peligna, Pacentro, Popoli, Cansano, Introdacqua, Pettorano sul Gizio, Cornio, Cascia, Foligno, Gubbio, Pietralunga, Province dell’Aquila, Pesaro Urbino e Perugia, Comunità montane Peligna e del Catria e Nerone; cinque risoluzioni unanimi della Regione Abruzzo, quattro leggi regionali sull’incompatibilità tra grandi metanodotti e aree sismiche e sette negazioni dell’intesa, sia per il metanodotto sia per la centrale di compressione di Sulmona. Numerose anche le interrogazioni e interpellanze parlamentari, sia a livello nazionale che europeo. Di particolare rilievo la risoluzione della Commissione ambiente della Camera dei deputati del 26 ottobre 2011 che “impegna il Governo ad assumere tutte le iniziative di competenza, anche dopo un necessario approfondimento attraverso un tavolo tecnico, ed in accordo con le amministrazioni interessate, per disporre la modifica del tracciato ed escludere la fascia appenninica al fine di evitare, sia gli alti costi ambientali che deriverebbero, sia l’elevato pericolo per la sicurezza dei cittadini dovuto al rischio sismico che metterebbe a dura prova la vulnerabilità del metanodotto.” Risoluzione che resta ancora inattuata.
NUMERI ED IMPATTI AMBIENTALI
Complessivi 687 chilometri da Brindisi a Minerbio ed una centrale di compressione e spinta a Sulmona. Dieci regione coinvolte (Basilicata, Campania, Puglia, Molise, Lazio, Abruzzo, Marche, Umbria, Toscana ed Emilia Romagna) e cinque tronconi: Massafra-Biccari (194,7 chilometri, già autorizzato, costruito ed in esercizio); Biccari-Campochiaro (70,6 chilometri, autorizzato e in fase di costruzione), Sulmona-Foligno (167,7 chilometri, procedimento in corso); Foligno-Sestino (113,8 chilometri, procedimento in corso); Sestino-Minerbio (142,6 chilometri, procedimento chiuso con esito favorevole e con decreto di autorizzazione in fase di emissione).
Un gasdotto di 120 centimetri di diametro, interrato a 5 metri di profondità e con una servitù di pertinenza di 20 metri per lato. Interessa, direttamente o indirettamente, territori di elevata qualità ambientale e paesaggistica, parchi nazionali e parchi, 21 tra Zone di protezione speciale e Siti di interesse comunitario della Rete Natura 2000, aree sottoposte a vincolo idrogeologico o gravate da usi civici. Interferisce con il progetto APE (Appennino Parco d’Europa), il più importante avviato nel nostro Paese e finalizzato alla conservazione della natura e allo sviluppo eco-sostenibile. Prevede l’attraversamento di numerosi fossi, torrenti e fiumi. L’importanza ecologica dei corsi d’acqua.