Per i manager di Eni l’obiettivo aziendale si chiama green refinery Gela, ovvero il risultato finale del processo di riconversione “verde” della raffineria di contrada Piana del Signore. Per i lavoratori, invece, riconversione è sinonimo di disoccupazione.
L’iter di riconversione della raffineria di Gela, tra pochi alti e molti bassi, si trascina dal momento della firma del Protocollo di intesa avvenuta nel novembre di tre anni fa, sancito al ministero dello Sviluppo economico, dai vertici del “Cane a sei zampe”, dall’ex amministrazione comunale gelese, dalla Regione siciliana e dai sindacati. Per i lavoratori della fabbrica, soprattutto per quelli di un indotto – che fino a qualche decennio fa muoveva migliaia di operai e oggi è solo l’ombra piuttosto sbiadita del passato – riconversione è sinonimo solo di disoccupazione. Le ultime vicende si chiamano Sudelettra, Smim, Nuova X Gamma solo per il settore metalmeccanico. Poi ci sono gli edili che, da anni, sono sotto regime di solidarietà.
Tutte aziende che hanno deciso, o stanno per farlo, di ridurre drasticamente il personale. Centinaia di posti di lavoro che potrebbero andare in fumo, seguendo una lunga scia di licenziamenti, tutti registrati nell’indotto della raffineria nonché nella sfera degli appalti di Enimed.
“Gela: una città che non offre più occupazione e vive il dramma di tumori e malformazioni. Un grazie alla Regione e allo Stato che ci hanno abbandonato”. Questo è il messaggio riportato su uno striscione esposto, in silenzio, dagli operai, con nastro alla bocca, rimasti senza lavoro e senza ammortizzatori sociali. Una protesta organizzata a piazza Sant’Agostino, praticamente a ridosso del Teatro comunale Eschilo di Gela che, intanto, ospitava i sindaci del comprensorio, impegnati in un dibattito sulla possibile adesione alla nuova Città metropolitana di Catania. Gli operai aspettavano l’annunciato presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, ex sindaco di Gela, che però non si è visto. Probabilmente timoroso di subire l’ennesima contestazione, in un periodo che precede l’imminente campagna elettorale proprio per la poltrona di governatore. L’ex sindaco antimafia di Gela, nonostante lo scarso gradimento dei vertici siciliani del Partito democratico, e di gran parte del centrosinistra, vuole comunque ricandidarsi.
“Non solo le gravi patologie – dicono alcuni degli operai che hanno protestato davanti al teatro – ma anche la disoccupazione. Oramai, di questa città rimangono giusto le macerie. I giovani vanno via, molti nostri colleghi cercano di sopravvivere con ingaggi a tempo determinato in giro per l’Italia, ma anche all’estero, e dalla politica arrivano solo parole”.
Nelle scorse settimane i lavoratori dell’indotto sono riusciti ad ottenere l’avvio di un tavolo tecnico, costituito in Comune, che ha il compito di valutare l’intera vicenda Eni, a cominciare da quanto sta accadendo tra le aziende.
“Il vicesindaco Simone Siciliano – spiega l’operaio Francesco Cacici che fa parte del gruppo di lavoro – a nostra precisa domanda, ha risposto che l’indotto in esubero verrà riassorbito nei nuovi cantieri della green refinery. Onestamente, siamo molto scettici”.
Da mesi, gli operai dell’indotto rimasti fuori dal ciclo produttivo della raffineria di contrada Piana del Signore reclamano il rispetto dei protocolli, soprattutto sul piano dell’assorbimento della manodopera inserita nella lista di disponibilità. I lavoratori ritengono che diverse aziende, attualmente impegnate in fabbrica, utilizzino operai esterni al bacino storico. Così, tanti lasciano la città. Priolo e Milazzo in Sicilia, ma anche Livorno e Viggiano, la Malesia e il Kazakistan. Gli ex operai dell’indotto, rimasti fuori dal ciclo produttivo dopo l’avvio della fase di riconversione della raffineria, cercano impiego in altre aziende senza alcun tipo di intervento da parte di Eni. Almeno centocinquanta, tra metalmeccanici ed elettrostrumentali.
“In realtà – spiega il segretario provinciale della Fim Cisl Angelo Sardella – l’intesa che prevedeva la possibilità che fosse Eni ad utilizzare i lavoratori dell’indotto nei propri cantieri, anche all’estero, non si è mai concretizzata. Da quanto ci risulta, sono soltanto una decina gli operai dell’indotto che hanno trovato collocazione attraverso agenzie interinali che hanno rapporti con Eni. Per il resto, invece, si tratta di lavoratori che, di propria iniziativa, cercano contatti per periodi di lavoro a tempo determinato in diversi siti, sia in Italia che all’estero. Riescono a lavorare perché dispongono di elevata professionalità. Ovviamente, si trovano anche a fronteggiare la concorrenza della manodopera di quei luoghi. Quando il lavoro c’è per tutti, allora non ci sono particolari problemi. In caso contrario, invece, si cerca sempre di tutelare i lavoratori locali”.
I viaggi verso Roma del sindaco Domenico Messinese e del suo vice Simone Siciliano sono sempre più frequenti. La giunta, nata grillina e poi confluita nel neo movimento politico Sviluppo democratico, cerca di poter avere risposte in mano da utilizzare davanti ai lavoratori e alle loro famiglie. È stato firmato, proprio nella capitale, il piano di riconversione e riqualificazione industriale che attua nella sostanza l’Area di crisi complessa per Gela.
Con l’allargamento del territorio oltre i confini locali, l’area si estende per circa cinquanta chilometri e coinvolge comuni come Mazzarino, Vittoria, Caltagirone, Riesi, Caltanissetta e Piazza Armerina. Con l’allargamento, l’Area di crisi complessa di Gela diventa la più critica d’Italia e di conseguenza, almeno sulla carta, quella che dovrebbe ricevere maggiori attenzioni dal governo centrale, soprattutto in termini di investimenti. Sono quattordici, in tutta Italia, le aree di crisi complessa. È stata avviata la fase di pubblicazione di un bando, a carattere internazionale, che garantisce trenta giorni di tempo per presentare proposte di insediamento all’interno dell’area interessata nei settori delle infrastrutture, in quello portuale, logistico, dei servizi e industriale in genere. Insomma, una chiamata delle aziende che dovrebbero far risorgere Gela e il suo comprensorio, seppelliti da quello che, nell’era d’oro di Eni in città, i sociologi Eyvind Hytten e Marco Marchioni già chiamavano “industrializzazione senza sviluppo”.