Il ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, è imponente. Oggi, la pista dell’ex aeroporto militare, a ridosso del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), ospita circa 3 mila migranti. Secondo le forze dell’ordine, forse, molti di più. A riguardo, non esistono dati ufficiali. Non ci sono numeri, censimenti, registri. È una situazione al limite, che le istituzioni, a vari livelli, non riescono a gestire.
La baraccopoli di Borgo Mezzanone è un piccolo universo di cui pochi scelgono di occuparsi. Tra questi, spiccano i Medici con l’Africa Cuamm, che lanciano il progetto Medici con il camper. Un tentativo per promuovere interventi sanitari e meccanismi di prevenzione tra gli strati sociali più deboli: i nuovi schiavi dei ghetti foggiani.
Li distinguono in base alla mansione che svolgono. L’identità, per loro, è una scatola vuota. Sono lavoratori stagionali, nell’accezione più alta. Braccianti, quando capita. Spesso, prostitute. Classificati, quando tutto manca, in base alla nazionalità: Nigeria, Ghana, Gambia, Eritrea, Somalia, Senegal, Mali, Guinea Conakry, Burkina Faso, Afghanistan. Una volta, poco distanti, c’erano persino i bulgari.
Sono i nuovi schiavi. Un universo di sfruttati e sfruttatori. Un popolo silenzioso, che sale alla ribalta della cronaca nazionale nel caso di uno sgombero andato male, una morte sospetta, una manifestazione di violenza. Dopotutto la violenza, per molti di loro, è pane quotidiano. Sono vittime di uno Stato sociale che si manifesta quasi unicamente in chiave repressiva. Le baracche, costruite con materiali di risulta, sono l’immagine più vicina a un focolare domestico. Nei ghetti, veri assembramenti dello sfruttamento, questi uomini e donne vivono in cattività. Abituati al lavoro duro, con tutti i climi, in tutte le condizioni. Nel ghetto di Borgo Mezzanone la differenza tra bene e male non esiste. Qui, mentre la memoria collettiva si vota al ‘celebrativismo’, la violazione dei diritti umani è cristallizzata nel presente. C’è un inferno vivo, sotto gli occhi di tutti.

Foto: Il forno dei senegalesi // Leonardo Palmisano
TUTTI IN PISTA
Lo sgombero del ‘Gran ghetto’ di Rignano Garganico, nel marzo dell’anno scorso, si è lasciato alle spalle una lunga scia di conseguenze. In primis, due migranti originari del Mali – Mamadou Konate e Nouhou Doumbia – sono morti tra le fiamme nel tentativo estremo di non abbandonare la baraccopoli. Successivamente, ma in maniera piuttosto rapida, ha preso piede la deportazione organizzata verso l’assembramento di Borgo Mezzanone. Il numero degli inquilini della pista cresce a vista d’occhio.
“Non c’erano mai state presenze così significative di centrafricani”, spiega Leonardo Palmisano, lo scrittore ed etnografo spirito e mente della marcia nazionale contro il caporalato dello scorso aprile. “Ci sono sempre stati asiatici, maghrebini, senegalesi. Qualcuno lavorava in agricoltura, altri no. Dopo lo sgombero di Rignano, i numeri di Borgo Mezzanone continuano a crescere. Oggi circa 3 mila persone vivono stipate in cattività, a ridosso del Cara. L’ultima volta che ci sono stato, qualche mese fa, c’erano tre bordelli. Le ragazze, quasi sempre, vengono portate a prostituirsi all’esterno del ghetto. Il sistema è organizzato in microaree, con regole di convivenza che portano a una rigida suddivisione degli spazi e ad altrettante rigide gerarchie di potere. Il sistema degli anglofoni è quello più forte. A farla da padrone sono i nigeriani. Le forze dell’ordine sospettano che ceppi della mafia nigeriana abbiano preso piede all’interno del ghetto di Borgo Mezzanone. Ma la droga, chiaramente, viene acquistata sui mercati locali, con intermediari delle cosche che da anni operano sul territorio. Poi, ci sono i senegalesi e, più in generale, gli asiatici di fede islamica. Ma loro non entrano neppure nel ‘territorio’ nigeriano. Costituiscono una realtà a sé. Con regole dello sfruttamento differenti.”
Baraccopoli nel deserto dell’umanità. Disperazione, piccole miserie, poche soddisfazioni quotidiane alle quali aggrapparsi. I senegalesi, lungi dall’organizzarsi in una gerarchia criminale, hanno preferito costruirsi un forno pur di non sottomettersi al racket del pane. Già, il racket del pane. Un bene essenziale, oggetto del più bieco baratto criminale. Quello per la sopravvivenza.
“La Regione Puglia avrebbe dovuto mettere a disposizione delle unità abitative dopo lo sgombero progressivo del ghetto di Rignano”, aggiunge Palmisano.
“Ma questo, non è accaduto. E così, dopo la scelta di sospendere ogni convenzione con Emergency e, di conseguenza, ogni possibilità di ottenere a ridosso dei ghetti del foggiano dei presidi sanitari mobili, i medici per i diritti umani si sono autotassati e stanno mettendo a disposizione dei migranti cure gratuite. La realtà è che a Borgo Mezzanone apartheid e schiavitù convivono. C’è la tratta degli esseri umani. La prostituzione minorile, la stratificazione sociale, la differenziazione. L’esclusione sociale è l’unica realtà che questa gente conosce.”

Foto: La costruzione della moschea // Leonardo Palmisano
IMPOSSIBILE CENSIRLI TUTTI
Lo spostamento condizionato dei migranti da un ghetto all’altro, la deportazione, in senso stretto, si ingarbuglia col sistema legislativo italiano. A monte, manca una comunicazione efficiente tra Questure. Basti pensare che alcuni dei braccianti transitano, indifferentemente, da un ghetto all’altro senza alcuna forma di censimento. Che si tratti di San Severo, o del ‘ghetto bulgari’, che si tratti del ghetto di Rosarno o di quelli più remoti della Sicilia, i fenomeni migratori insiti nelle dinamiche del caporalato moderno sono ancora oggetto di studio. Ma chiaramente, non basta. “Censimento”, sostiene Palmisano, “vuol dire che tutti quelli in condizione di irregolarità all’atto della registrazione, lì dove per irregolarità s’intende la possibilità che siano semplicemente in attesa del riconoscimento del permesso di lavoro, vengono espulsi. Un meccanismo del genere, in una realtà come quella di Borgo Mezzanone, scatenerebbe la rivolta. Senza un permesso di lavoro, inoltre, queste persone non possono trovare un impiego che non sia irregolare. Le condizioni di miseria, di conseguenza, si aggravano. Di fatto, questo sistema li riduce in schiavitù rendendoli facile merce dei caporali.”
MEDICI CON IL CAMPER
È in questo contesto che operano i volontari Medu. Con il loro camper riescono a raggiungere principalmente i ghetti di Cerignola e Borgo Mezzanone. Proprio in quest’ultimo, è stato recentemente registrato un caso di tubercolosi. Immediatamente circoscritto, il migrante è stato sottoposto a tutte le cure mediche necessarie. Ma ci sono casi di epatite, di malattie virali e infettive. Semplici escoriazioni, o lussazioni e, in alcuni casi, fratture. Un microcosmo nel quale i Medici per i diritti umani (Medu) rappresentano una speranza. Che tenta, a proprio modo, di organizzare un presidio sanitario sul territorio. I Medici con l’Africa Cuamm, insieme ai Missionari Comboniani e alla onlus ‘Prof. Nicola Damiani’, presenteranno il prossimo 20 febbraio il progetto ‘Medici con il Camper’. Una metodologia applicativa pensata per garantire cure mediche, prevenzione e, più in generale, assistenza sanitaria alle fasce sociali più deboli. Proprio quelle che popolano i ghetti del foggiano.
In più, è dell’ottobre 2017 l’ultimo rapporto realizzato nell’ambito del progetto ‘Terragiusta di Medici per i diritti umani’. L’analisi, condotta sui territori a cavallo tra Basilicata e Puglia, mostra esiti sconcertanti.
“A un anno dall’approvazione della legge contro il caporalato”, si legge, “questa pratica continua a essere un fenomeno pervasivo: quasi tutti i lavoratori incontrati da Medu ricorrono ancora al caporale per trovare lavoro, per l’organizzazione della giornata lavorativa e per il trasporto sui luoghi di lavoro. Nonostante l’istituzione nel 2014 delle liste di prenotazione dei lavoratori presso i centri per l’impiego, nessuno dei pazienti di Medu è stato assunto attraverso tali liste. Il pagamento ‘a cassone’ e il lavoro grigio restano le modalità di impiego più diffuse.”
Il Contratto provinciale del lavoro (Cpl) stabilisce che il compenso lordo giornaliero per gli operai che svolgono mansioni generiche come zappatura, semina, raccolta e incassettamento dei prodotti agricoli è di 48,78 euro. I braccianti intervistati da Medu, tuttavia, hanno dichiarato che è più frequente – nel 53 per cento dei casi – il pagamento ‘a cassone’. Un metodo che, di fatto, favorisce la velocità delle operazioni di raccolta, ma vincola economicamente il bracciante alla propria forza fisica. La paga media, così, si aggira intorno ai 4 euro. Dai quali poi il caporale, di norma, sottrae almeno 50 centesimi per ogni cassone.
“Nella zona della Capitanata, in Puglia, la situazione appare più grave: dopo lo sgombero del ‘Gran ghetto’ di Rignano Garganico, almeno 1500 migranti si sono riversati presso la pista in disuso dell’ex aeroporto militare di Borgo Mezzanone, dando origine ad un nuovo ghetto, che per molti costituisce l’unica sistemazione alloggiativa possibile. Baracche costruite con materiali di risulta, rischi per la salute e per la sicurezza, lontananza dai centri abitati e dai servizi, assenza di prospettive di inclusione sociale rappresentano le principali criticità riscontrate, esasperate dalla lontananza della politica e delle istituzioni locali e nazionali.” Un quadro chiaro. Che sul piano sanitario, diviene ancor più cristallino.
“I pazienti visitati da Medu in due mesi di attività”, documenta il rapporto, “presentavano nella maggior parte dei casi patologie di carattere osteomuscolare (37 per cento), dell’apparato gastroenterico (21 per cento) e dell’apparato respiratorio (16 per cento, in crescita nelle ultime settimane dato il calo delle temperature soprattutto nelle ore notturne). Nello specifico, per quanto riguarda le patologie osteomuscolari, le contratture muscolari e i piccoli traumi sono stati i casi più rappresentati. D’altra parte, nell’ambito dei disturbi gastroenterici, numerosissimi sono stati i casi di malattia da reflusso gastrico e di stipsi. Infezioni virali delle alte vie aeree hanno rappresentato la patologia respiratoria più diffusa. I quadri descritti sono certamente in gran parte ascrivibili alle precarie condizioni abitative, alla scarsa e incompleta alimentazione e alla fatica e stress lavorativo. I disturbi dell’apparato cardiovascolare (9 per cento) hanno riguardato soprattutto pazienti con ipertensione arteriosa di cui il 75 percento dei casi non nota. A seguire troviamo patologie dermatologiche (6 per cento), genitourinarie (5 per cento) di cui soprattutto cistiti, patologie oculari (2 per cento) rappresentate da congiuntiviti e sparuti casi di pterigio. Non sono state riscontrate patologie infettive a carattere diffusivo né altresì patologie di importazione. […] Date le condizioni di vita e rischi per la salute e la sicurezza delle persone”, conclude lo studio, “è necessaria e improrogabile una pianificazione che porti progressivamente, ma in tempi rapidi, al superamento dell’insediamento, cercando di evitare azioni di sgombero violento non concordate con la popolazione degli insediamenti. Proponendo, semmai, soluzioni abitative alternative capaci di rispondere alle esigenze – lavorative, identitarie, linguistiche, sanitarie – degli ospiti per favorirne l’inclusione sociale. Le modalità di sgombero adottate in passato si sono infatti dimostrate del tutto fallimentari, come testimonia l’attuale situazione. Si raccomanda quindi alle istituzioni locali e nazionali competenti di assumere il superamento del ghetto come un’assoluta priorità.”

Foto: La rasatura // Leonardo Palmisano
LO STRANO SGOMBERO DEL GHETTO BULGARI
Nel frattempo, però, i metodi utilizzati sono sempre gli stessi. Sgombero progressivo, con successivo sequestro dell’area. La provincia di Foggia pullula di ghetti. Tra alcuni di questi, vivono cittadini italiani. La povertà non fa sconti. Nell’aprile dell’anno scorso abbiamo fotografato le condizioni di miseria del ‘Ghetto dei bulgari’ di Borgo Mezzanone, approdo finale della marcia nazionale contro il caporalato. Oggi, le baracche in lamiera ed eternit, sono vuote. Non si sa neppure che fine abbiano fatto i lavoratori stagionali che le abitavano. Sembrano spariti nel nulla. Dopo lo sgombero del luglio scorso, il ghetto è sotto sequestro preventivo senza facoltà d’uso. La Procura di Foggia ipotizza reati in materia ambientale. Teme, infatti, che tra i cumuli di immondizia nei quali giocavano i piccoli inquilini del campo di lavoro, siano stati interrati rifiuti pericolosi. La Gazzetta del Mezzogiorno riporta che “la Procura della Repubblica di Foggia, riferendosi al ghetto, scrive di una ‘estrema pericolosità per la salute degli abitanti’ a causa della presenza di 70-80 metri cubi di rifiuti, anche pericolosi, abbandonati al suolo e spesso bruciati. Le indagini sono state eseguite dai carabinieri del gruppo Forestale e dall’Arpa Puglia. La Procura ipotizza il reato di gestione illecita di una discarica abusiva di rifiuti speciali pericolosi, rifiuti speciali non pericolosi e rifiuti solidi urbani.”
Nel periodo di massima affluenza, il ghetto ospitava circa 400 persone. Intere famiglie, per lo più imparentate tra loro, con nugoli di bambini. Gli uomini, prelevati fin dal mattino dai capò per andare a lavoro nei campi della Capitanata, lo scorso anno chiedevano “la possibilità di continuare a lavorare”. Oggi, che ogni diritto gli viene negato, sono solo esseri umani di cui è facile dimenticarsi. Per loro, e per tutti quelli come loro, non ci sono giornate commemorative. La memoria, persino quella imbrigliata nelle maglie della retorica, viene negata. Sono vittime del silenzio. Figli di un Dio minore.