In Calabria c’è un fiume avvelenato. Si chiama Oliva ed è contaminato da scorie e fanghi, anche industriali. Un vero e proprio disastro ambientale, scandito tra responsabilità evidenti, omertà ed assoluzioni.
Uno scenario ambientale preoccupante. Ecco cosa ha sottolineato, nel 2011, la prima relazione stilata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul fiume Oliva, in provincia di Cosenza.
Nel 2013 il giudizio dell’Ispra è confermato perché la situazione di inquinamento è davvero grave. La relazione in questione ha messo in evidenza la presenza di massicce quantità di idrocarburi, metalli pesanti e numerose sostanze tossiche responsabili di aver causato l’avvelenamento delle acque di falda che, secondo il ministero dell’Ambiente, sono inutilizzabili per uso umano, agricolo e zootecnico.
Al tempo stesso, la Procura di Paola – attraverso indagini approfondite – ha individuato in un consistente e continuo interramento di rifiuti – per un totale di 160 mila metri cubi, tra scorie e fanghi di varia natura, anche industriali – la presenza di tali inquinanti.
L’AUMENTO STATISTICO DI PATOLOGIE ASSOCIABILI ALLE SOSTANZE INQUINANTI RINVENUTE NEI SUOLI E NELLE ACQUE
Secondo i documenti del ministero competente le sostanze rinvenute si concentrano principalmente nei suoli delle località Carbonara ed aree limitrofe (Aiello Calabro), Foresta (Serra d’Aiello) e su un sito ricadente nel territorio comunale di Amantea. Nelle acque sotterranee sono state riscontrate elevate concentrazioni di ferro, manganese e solfati. In località Foresta, invece, c’è un’elevata concentrazione di arsenico, triclorometano e tricloroetano. Si ipotizza che tali sostanze abbiano causato – e possano ancora causare – la compromissione della salute “con un aumento statistico di patologie associabili alle sostanze inquinanti rinvenute nei suoli e nelle acque.”
Un danno ambientale che avrebbe compromesso l’uso delle acque sotterranee, diverse coltivazioni nelle aree irrigate con le acque sotterranee e superficiali del fiume Oliva. Compromesso anche l’habitat per alcune specie ittiche meno adattabili a situazioni di inquinamento, in una zona – senza ritorno – dal punto di vista idrogeologico, paesaggistico e con perdita di valore turistico. Si comincia così a parlare di necessità di bonificare e si accendono anche i riflettori sui possibili responsabili di una situazione che si configura come un vero e proprio disastro ambientale.
UNA LUNGA VICENDA GIUDIZIARIA
Nel 2012 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola, Carmine De Rose, emana un decreto di rinvio a giudizio per Cesare Coccimiglio (imprenditore ottantunenne di Amantea), Vincenzo Launi (sessantaduenne di San Pietro in Amantea), Giuseppina Marinaro (sessantenne), Antonio Sicoli (trentaduenne di Aiello Calabro) e Arcangelo Guzzo (ottantenne proprietario terriero). Le accuse vanno dal disastro ambientale all’omicidio colposo.
Solo nel mese di gennaio scorso il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara, alla presenza del collegio giudicante presieduto dal giudice Giovanni Garofalo e da Francesca De Vuono, ha chiesto la condanna a sedici anni e sei mesi di reclusione per Coccimiglio e l’assoluzione di tutti gli imputati.
A raccontare nel dettaglio la vicenda è la giornalista Maria Teresa Impronta. In un articolo pubblicato su QuiCosenza.it del 16 gennaio non usa mezzi termini.
“Si tratta di un processo rimbalzato da Paola a Cosenza, con una sfilata di testimoni in aula, perlopiù agricoltori della zona che coltivavano sui terreni contaminati, che non ricordavano di aver visto neanche uno dei quindicimila camion che hanno riversato nella valle dell’Oliva oltre 162 mila tonnellate di rifiuti industriali”.
“Un’attività iniziata, secondo l’accusa, dall’imprenditore Coccimiglio negli anni Ottanta e proseguita fino al 2009 attraverso l’utilizzo di un’impresa edile (Coccimiglio Cesare & c. snc) come copertura per l’attività di smaltimento illecito di rifiuti.
L’azienda, inoltre, nel corso degli anni si sarebbe aggiudicata anche appalti pubblici che hanno consentito, come nel caso dei lavori sulla SS 53 a Serra d’Aiello, di costruire sversando fanghi altamente inquinanti nei terreni. In questa strada, di proprietà della Provincia di Cosenza, nel tratto che collega Valle del Signore a Galleria Cozzo Manca ad Aiello Calabro sarebbe stato rilevato sotto il manto stradale un accumulo di rifiuti tossici di oltre un metro di spessore. L’imprenditore è accusato di aver organizzato il trasporto e lo scarico dei rifiuti utilizzando mezzi appartenenti alla sua azienda. Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli, Arcangelo Guzzo (legati a Coccimiglio da rapporti di parentela e lavoro) invece, in qualità di proprietari dei terreni sui quali parte degli scarichi sono avvenuti, avrebbero acconsentito allo smaltimento illecito dei rifiuti. Il disastro ambientale ipotizzato a carico di Coccimiglio avrebbe determinato un eccesso statisticamente significativo di mortalità per tumori maligni del colon retto, del fegato, della tiroide, degli organi genitourinari, della mammella, e particolari patologie non tumorali nell’aera del Distretto Sanitario di Amantea (in prossimità dei siti contaminati) tra il 1992 e il 2001.”
“Le aree contaminate ricadono, secondo l’accusa, in zone adiacenti o comunque nelle disponibilità delle proprietà di Cesare Coccimiglio. Dell’imprenditore è stata più volte accertata la presenza sugli stessi terreni in cui, per hobby come ha sottolineato il pm Cerchiara, venivano ripetutamente scavate delle buche. Aiello Calabro, Amantea, San Pietro in Amantea e Serra d’Aiello i Comuni in cui sono stati consumati i fatti in particolare nelle contrade: Foresta, Giani, Carbonara, Briglia e fondovalle Oliva […]. In questi terreni sarebbero stati scaricati ripetutamente fanghi, rifiuti edili ed urbani contaminati da metalli pesanti e altri inquinanti. Un’attività che avrebbe portato alla realizzazione di un’unica vasta discarica di alcuni chilometri quadrati nell’alveo del fiume Oliva ed aree limitrofe.”
LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE
Uno scenario raccapricciante, dunque, nel quale attori inconsapevoli sono, come sempre, i cittadini ignari, danneggiati da attività illecite che raramente vengono sviscerate e fatte emergere. Così come è sempre più raro giungere all’ottenimento di una giustizia spesso condizionata da poteri occulti.
Il 6 marzo 2017 viene pronunciata, infatti, la sentenza di assoluzione. È come una pugnalata per i diversi soggetti costituitisi parte civile, soprattutto per i numerosi cittadini danneggiati. Nel giudizio si erano costituiti come parti civili numerosi enti, quali i Comuni della zona interessata, le organizzazioni ambientaliste e sindacali, ed il Comitato Civico “Natale De Grazia” di Amantea. In sede dibattimentale l’avvocato Nicola Carratelli – difensore di Cesare Coccimiglio – avrebbe dimostrato come l’accumulo del materiale inquinante sarebbe dovuto al fatto che per diversi anni quell’area era stata adibita a discarica da parte di alcune amministrazioni comunali. Per la Corte di assise di Cosenza, dunque, questo basta per stabilire che il reato non è stato commesso e così il giudice Giovanni Garofalo assolve il Coccimiglio e gli altri quattro co-imputati, proprietari dei terreni avvelenati: Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo. “Per non aver commesso il fatto.”
E ALLORA CHI È STATO?
“I proprietari terrieri in sede processuale hanno negato di aver mai visto dei camion sversare rifiuti sui propri terreni. Ad essere danneggiate da tutto questo sono le persone che hanno contratto patologie tumorali grazie a chi ha venduto/fittato i propri terreni, consentendo che si consumasse un disastro ambientale purtroppo impunito.” Questo il commento sulla sentenza della collega Impronta da noi contattata. Parole amare ed estremamente vere. Parole che condividiamo appieno.
IL CASO DELL’INQUINAMENTO DEL FIUME OLIVA È ARRIVATO IN PARLAMENTO EUROPEO. CHIESTA ISTITUZIONE DI UN FONDO SPECIALE
L’istituzione di un Fondo europeo a cui accedere per riparare i disastri ambientali quando non è possibile individuarne i responsabili. È questa la richiesta avanzata dal comitato Natale De Grazia alla Comunità europea, nel corso del workshop sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (direttiva europea 2004/35/CE), tenutosi il 15 marzo a Bruxelles. Il rappresentante del comitato De Grazia, Danilo Amendola ha presentato un documento sul disastro ambientale del fiume Oliva dove risultano ancora interrati da 120 a 160 mila metri cubi di rifiuti di varia natura, anche industriali, per i quali non si conoscono ancora tempi e modi di messa in sicurezza o bonifica. Al momento è, quindi, in capo alla collettività l’onere di sostenere le spese per il risanamento della valle. “La vicenda dell’inquinamento della valle Oliva – scrive nella propria relazione il comitato – rappresenta un esempio di come, nei casi di inquinamento appurati, sia necessario trovare gli strumenti più efficaci per ottenere in tempi rapidi la bonifica dei luoghi. A tal proposito da parte delle istituzioni europee è indispensabile migliorare la direttiva sulla responsabilità ambientale al fine di garantire il ripristino dei luoghi inquinati tempestivamente.”
La direttiva 2004/35/CE – oltre a contemplare l’obbligo per le autorità ambientali nazionali a procedere alla messa in sicurezza dal punto di vista igienico-sanitario e ambientale, nonché alla bonifica dei siti inquinati nel rispetto del principio di precauzione, di cui all’articolo 191 del Trattato dell’Unione Europea; ed il rispetto della Convezione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (Convenzione di Arhus) – dovrebbe altresì prevedere, ed è questa la proposta più interessante del comitato, l’istituzione di un Fondo europeo, attraverso l’imposizione di un tributo sul volume di affari delle attività industriali con produzioni ad elevato rischio di inquinamento. A tale fondo, le istituzioni dei Paesi membri (Ministero, Regioni, Comuni) dovrebbero poter accedere per il ripristino dei territori inquinati nel momento in cui non sia possibile applicare il principio “chi inquina paga.”
L’obiettivo dovrebbe essere quello di alimentare il fondo in modo premiale per gli operatori economici che dimostrino di essere all’avanguardia nelle attività.