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Abruzzo, idrocarburi nel fiume Pescara dal torrente Arolle

Copiose fuoriuscite di idrocarburi dal torrente Arolle, a Tocco da Casauria, continuano ad interessare il fiume Pescara. Le immagini, raccolte lo scorso 22 aprile dalla Stazione ornitologica abruzzese (Soa) – nel corso di un sopralluogo – sono impressionanti, con ponti, sponde, pietre e alberi vistosamente sporchi di idrocarburi. Una storia incredibile, tra sorgenti naturali di idrocarburi e pozzi abbandonati.

Quella degli idrocarburi nel fiume Pescara, al Torrente Arolle, è una storia che mette insieme interessanti fenomeni naturali, interventi antropici di secoli per lo sfruttamento di una risorsa naturale e l’abbandono decennale dei manufatti. Una condizione che, sicuramente, dovrebbe vedere un intervento di verifica e di mitigazione da parte delle autorità e anche di valorizzazione e di ulteriore studio del territorio per quanto riguarda le questioni su archeologia industriale e storia naturale del paese.
A causa di un fenomeno naturale noto, ma abbastanza raro in Italia, da una zona di sorgenti sulfuree escono idrocarburi che si riversano nelle acque del torrente Arolle che a sua volta si getta nel fiume Pescara dopo alcuni chilometri. In occasione di periodi di precipitazioni intense la fuoriuscita diventa addirittura copiosa, tanto che esistono notizie risalenti al medioevo relative alla raccolta degli idrocarburi da parte della popolazione con metodi rudimentali.
Nell’Ottocento arrivano le prime descrizioni scientifiche di esperti – quali Durini e Stoppani – alcune delle quali sono veramente rimarchevoli anche per la descrizione dell’impatto delle fuoriuscite sull’ambiente del fiume Pescara.
Tra il 1860 e il 1870 l’area fu data in concessione a diverse aziende che avviarono i primi interventi di sfruttamento industriale degli idrocarburi, con la realizzazione di vasche di raccolta per la decantazione – i cui resti sono ancora visibili – e la perforazione di pozzi, addirittura a soli cinque anni di distanza dallo scavo del primo pozzo negli Stati Uniti.
Le strutture furono presto abbandonate per il rapido declinare della produzione e fino al 1930 ci furono solo alcuni tentativi, poco fruttuosi, per riattivare le operazioni di sfruttamento. Solo dagli anni Trenta, e fino al 1958, Agip scavò con maggiore intensità una trentina di pozzi, alcuni dei quali risultarono produttivi. Anche qui l’abbandono arrivò presto.
Da allora, saltuariamente, ci fu interesse per la vicenda solo dal punto di vista della storia dello sfruttamento degli idrocarburi, peraltro con interventi rimasti sostanzialmente tra gli addetti ai lavori come geologi e storici.
L’aspetto ambientale di questa storia fu, invece, colto dal giornalista Umberto Braccili con un servizio al Tgr una quindicina di anni fa, intervento che non ebbe seguito da parte degli enti.
Successivamente la redazione di una tesi di laurea nel 2009 da parte di uno studente, Roberto Iride, della Facoltà di Geologia dell’Università di Chieti (relatore professore Sergio Rusi) ha fornito notevolissime informazioni sugli aspetti di idrogeologia delle due sorgenti, con tanto di analisi delle acque da parte dell’Arta.
Queste, tra il 2008 e il 2009, presentavano valori elevatissimi di idrocarburi (anche oltre 4 mila microgrammi/litro), con il rilascio in acqua di sostanze pericolose quali benzene, toluene, etilbenzene, trimetilbenzene.
Nella tesi si sottolineava la necessità di mitigare il fenomeno e si proponeva la riattivazione di vasche di decantazione e il posizionamento di filtri, soprattutto in occasione di fenomeni di piena.
Da allora, a nostra conoscenza, non è stato fatto nulla e continuano ad arrivare lamentele da parte dei cittadini del posto per i cattivi odori che in determinate occasioni si sentono a centinaia di metri di distanza, anche per via di alcuni sbarramenti artificiali che determinano un ristagno delle acque.
Nel 2015 il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua, pur senza riferirsi specificatamente a questa situazione, scrisse ai ministeri e agli enti di tutte le Regioni, Abruzzo e Arta compresi, chiedendo lumi sui monitoraggi dei 7 mila pozzi di idrocarburi abbandonati in Italia, considerata l’esistenza di numerose pubblicazioni scientifiche che accertano la contaminazione delle acque sotterranee e superficiali a causa del cattivo isolamento dei pozzi, soprattutto se abbandonati. Non ci fu risposta.
Il 30 aprile scorso la Stazione ornitologica abruzzese, tenuto conto anche di alcuni dati di presenza di idrocarburi nelle acque e nei sedimenti del fiume Pescara, ha scritto una dettagliata lettera a tutti gli enti a vario titolo competenti, dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico alla Regione, dai Carabinieri-Forestali ai Comuni, per chiedere un intervento per 1) adottare misure di mitigazione del fenomeno di dispersione degli idrocarburi nelle acque superficiali; 2) monitorare le acque sotterranee per valutare l’eventuale presenza di idrocarburi; 3) verificare attentamente se sussiste un ruolo nella dispersione degli idrocarburi nelle acque dei molteplici interventi antropici, quali scavi, pozzi, serbatoi, vasche realizzati nell’area che potrebbero aver modificato sia le condizioni di rilascio sia quelle ambientali delle aree immediatamente circostanti i manufatti. Ricordiamo che il principio “chi inquina paga” vale anche per le contaminazioni cosiddette “storiche”, sia per gli interventi di messa in sicurezza che per quelli di bonifica; 4) verificare se le acque superficiali/sotterranee sono utilizzate in modalità tali da poter costituire una fonte di esposizione, diretta o indiretta, per l’uomo agli idrocarburi; 5) studiare attentamente gli eventuali effetti di tale dispersione sulla qualità di acqua e sedimenti lungo il fiume Pescara, anche per assegnare con certezza la provenienza delle contaminazioni riscontrate.

QUALCOSA SI MUOVE
Dopo la nostra prima segnalazione gli enti si muovono. L’Arta, il primo febbraio 2017, nel corso di un normale campionamento sul fiume Pescara aveva riscontrato, all’altezza di Piano d’Orta, macchie di idrocarburi e un forte odore, effettuando due campionamenti: uno a Bolognano, l’altro più a monte a Torre de’ Passeri. Aveva inoltre riscontrato le stesse macchie proprio nel torrente Arolle. In entrambi i campioni analizzati c’era una forte concentrazione di idrocarburi: uno in particolare presentava ben 7.188 microgrammi/litro di contaminanti. La gran parte idrocarburi pesanti.
Addirittura ci sono segnalazioni di cattivi odori provenienti dal fiume da parte di residenti a Torre de’ Passeri, a pochi chilometri a valle.
La Regione Abruzzo ha chiesto all’Arta di attivare un percorso per far fronte alla situazione.
La Soa, a seguito degli eventi di sabato scorso e dei dati dell’Arta, ricordando che l’acqua del Pescara viene usata anche per l’irrigazione, ha scritto una nuova lettera agli enti chiedendo immediati provvedimenti per mitigare il fenomeno e l’esposizione della popolazione a pericolosi contaminanti, in attesa di approfondimenti relativi alla piena naturalità dello stesso o al contributo che può aver comportato l’intervento umano negli ultimi 150 anni con la realizzazione di scavi e pozzi nell’area. Certo fa pensare che in questi anni non si sia fatto nulla per tamponare sversamenti di questa portata.

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