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L’inchiesta Black Mountains e i veleni nascosti di Crotone

Sull’inchiesta Black Mountains, aperta dalla Procura di Crotone sullo smaltimento illegale di rifiuti tossici provenienti dallo stabilimento metallurgico Pertusola Sud, è stata messa una pietra tombale. Per i reati contestati di disastro ambientale ed avvelenamento delle acque il fatto non sussiste. Per lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, invece, il fatto non è stato commesso o è intervenuta prescrizione.

L’inchiesta Black Mountains parte nel 1999. Venti anni fa. Nello stesso anno l’azienda Pertusola Sud spa viene dismessa. È Emilio Iuticone, imprenditore edile di Crotone, a far nascere i primi sospetti sulla gestione delle scorie prodotte nello stabilimento metallurgico. Si tratta principalmente di semilavorati e leghe di zinco. Le scorie venivano scaricate nel piazzale davanti allo stabilimento, generando vere e proprie montagne di materiale nero. Da qui la denominazione Black Mountains, adottata dalla Procura. Secondo Iuticone i dirigenti dell’ex Pertusola Sud pur di liberarsi delle scorie – 811.215 tonnellate di Cubilot – le cedevano gratuitamente, o addirittura dietro compenso, ad altre imprese sotto forma di Conglomerato idraulico catalizzato (Cic). Questo materiale poteva poi essere impiegato nei sottofondi stradali e per la costruzione di immobili. Una prassi che consentiva, in particolare alle ditte Ciampà srl e Crotonscavi srl, di aggiudicarsi tutte le gare di appalto di costruzione, potendo praticare prezzi più bassi dovuti all’abbattimento dei costi di acquisto della materia prima. Il Cic veniva prodotto attraverso la miscelazione di catalizzatore basico (1 per cento), sabbia silicea (37 per cento), della loppa di altoforno proveniente dall’Ilva di Taranto (12 per cento) e di scorie Cubilot (50 per cento) costituite da cadmio, piombo, zinco e soprattutto arsenico. Il mix aveva lo scopo di abbattere il tenore di arsenico. Ma dalle carte processuali emergerà che, «l’impianto di produzione del Cic avrebbe dovuto obbligatoriamente includere una apparecchiatura per la macinazione della loppa granulare. Dalla documentazione allegata non risulta la presenza di detta apparecchiatura: se ne deve dedurre che la loppa veniva utilizzata nella forma granulare fornita dall’Ilva.» Che tradotto vuol dire che questa non poteva agire da legante e che il Cic, posto nei siti «non si è consolidato in una massa alimentata ma è rimasto in forma sostanzialmente granulare e/o polverosa.» Contaminando il suolo e la falda.

IL DECRETO RONCHI E LE SCORIE CUBILOT
Un grosso aiuto alla nuova classificazione delle scorie Cubilot era arrivato dai “piani alti”. Tali prodotti – catalogati come rifiuti pericolosi (CER 10.05.01) fino al 1997 – poiché derivanti dalla metallurgia termica dello zinco – acquisiscono, con il decreto Ronchi del 5 febbraio 1998, anche la classificazione di rifiuti non pericolosi (CER 10.08.01). Una doppia interpretazione della normativa che consente di assimilarli ai rifiuti sottoposti a procedure semplificate di recupero. In sintesi, per evitare i costi di smaltimento, fino al 1997, la ditta ha accumulato le scorie contaminando il sito. Dopo quella data è partita la corsa allo smantellamento delle “montagne nere”, attraverso la produzione di Cic. Intanto Crotone, tre anni dopo, viene dichiarata Sito di interesse nazionale (Sin) con decreto legislativo n.468/2001 del ministero dell’Ambiente, insieme a Cassano allo Ionio e Cerchiara di Calabra, in provincia di Cosenza. Territorio, dunque, da sottoporre a bonifica urgente.

LE NUOVE INDAGINI
Con la produzione del Cic la Pertusola Sud si è liberata delle scorie Cubilot, risparmiando ben 30 miliardi di vecchie lire derivanti dalla differenza tra i costi di smaltimento diretto della scoria (47 miliardi di vecchie lire) e i costi di formulazione, smaltimento e vendita del Cic (17 miliardi di vecchie lire). Queste le stime effettuate dal pubblico ministero Pierpaolo Bruni che, dopo lo stallo dell’inchiesta, nei mesi di giugno e luglio 2008 ne assume la titolarità. Il 15 settembre subentra il procuratore della Repubblica di Crotone, Raffaele Mazzotta. Scattano i primi sequestri per diciotto siti interessati dal problema delle scorie Cubilot. Altri sei furono sequestrati in seguito. I carotaggi effettuati dai consulenti tecnici incaricati (il professore Giovanni Sindona, direttore del dipartimento di Chimica dell’Università della Calabria a Crotone e il professore Sebastiano Andò, preside della Facoltà di Farmacia sempre dell’Unical) rivelano la presenza di enormi quantitativi di sostanze pericolose come cadmio, piombo, zinco ma soprattutto arsenico. Le indagini si concludono il mese di settembre 2009. Il gup fissa l’udienza preliminare l’11 maggio 2010. Il pm Bruni e il procuratore Mazzotta chiedono il rinvio a giudizio per 45 imputati accusati inizialmente di disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque di falda. Il professore Andò ipotizza anche l’esistenza di rischi concreti per la salute degli studenti delle scuole costruite con materiale Cic. L’Istituto superiore di sanità contesta però quei dati «senza accertamenti autonomi», secondo quanto dichiarato dal procuratore Mazzotta, ascoltato il 16 giugno 2010 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Nel frattempo, nel 2017, l’area della scuola dell’infanzia “San Francesco” di Crotone viene inclusa nel perimetro del Sin. L’11 luglio 2018 parte l’iter di approvazione del progetto di bonifica. Si tratta del primo dei quattro progetti di bonifica delle aree prioritarie contaminate dal Cic. Le altre sono gli alloggi Aterp di località Margherita e di località Lampanaro e l’Istituto tecnico-commerciale “Lucifero”. Il 25 settembre arriva l’ok da parte del ministero dell’Ambiente.

PROCESSO BLACK MOUNTAINS: TUTTI ASSOLTI
Nel 2012 arriva la sentenza. Per il giudice dell’udienza preliminare di Crotone, Gloria Gori, nessuno è colpevole. Proscioglie tutti gli imputati coinvolti. Per il reato di disastro ambientale e avvelenamento delle acque il fatto non sussiste; per lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi il fatto non è stato commesso o è intervenuta prescrizione del reato.
«Chi inquina non paga», conclude amaramente l’ingegnere Vincenzo Voce, che da anni supporta i cittadini del Comitato “La Collina dei Veleni”, impegnati in una battaglia quotidiana per l’ottenimento della bonifica dei siti inquinati. Voce solleva anche un’altra questione: «in relazione ad alcuni siti resta l’interrogativo su che fine abbia fatto il Cic che alcune aziende hanno dichiarato di aver depositato in luoghi specifici alla procura della Repubblica.»
Secondo Vincenzo Voce, infatti, dai carotaggi effettuati dal consulente del Tribunale – l’ingegnere Daniele Martelloni – e da Tecnoparco Valbasento che ha effettuato la caratterizzazione, in alcuni siti, è emersa l’assenza di arsenico, considerato il tracciante della presenza pregressa di scorie Cubilot, contenute nel Cic.
Perché c’è una incongruenza tra quanto dichiarato dai dirigenti di alcune ditte e quanto realmente riscontrato nei siti? Quale percorso ha seguito quel Cic? Domande che ad oggi restano senza risposte.
Intanto l’area industriale dismessa di Crotone attende da anni la bonifica. Questo, nonostante l’appello di numerosi cittadini di accelerare l’iter burocratico per l’avvio delle attività di risanamento ambientale.

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Autore:

Responsabile del Comitato Legamjonici di Taranto. Nel 2010 consulente di parte nell’inchiesta “Ambiente svenduto” sull’Ilva.