Campania. Nei primi anni Sessanta, lungo le secche del fiume Sabato, nell’omonima valle, è stato edificato il monumento a un progresso che non c’è stato. L’area industriale di Pianodardine, frazione di Avellino, non ha portato il benessere atteso. Non ha dato risposta alla fame di lavoro. Persino il treno qui si è fermato e non è più ripartito. È rimasto solo l’ambiente martoriato. Cristallizzato in un’aria irrespirabile e in acque violentate dall’industria e dall’incuria.
Siamo nella periferia di una cittadina campana che di metropolitano vanta solo il traffico e il filare di piloni di una metro leggera che non passa e, forse, non passerà mai. Siamo a pochi passi da Avellino, a Borgo Ferrovia. In termini di orografia e insediamenti questa parte del territorio è in continuità con l’area urbana della città. In termini reali, il distacco tra questa periferia e le pretese radical-chic metropolitane non potrebbe essere più marcato. È da qui, in poi, che prende forma la valle del Sabato, seguendo il corso del fiume che la attraversa.
La valle del Sabato è un cumulo di criticità ambientali. Un guazzabuglio intricato di vertenze che si innestano e si sovrappongono tra loro. È sede dell’ex Isochimica spa, la celebre fabbrica dei veleni in cui gli operai scoibentavano a mani nude, e senza alcuna protezione, le carrozze ferroviarie di amianto, provenienti dalle o cine delle Ferrovie dello Stato. È luogo di numerosi stabilimenti industriali che sversano impuniti nelle acque del fiume Sabato. È l’area in cui le indagini avviate dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Campania (Arpac) hanno già mostrato valori di manganese e tetraclorometano nelle acque sotterranee esterne allo Stir, che superano le Csr. È il territorio al quale l’emergenza rifiuti ha regalato uno stabilimento di tritovagliatura nuovo di zecca, 28 mila ecoballe stoccate in via “temporanea” e, oggi, l’ampliamento dello Stir.
È un Sud che non vorremmo raccontare ma che torna, vivido e sempre più reale. È il Sud del gioco a ribasso, quello che subisce le scelte e non vi partecipa. Quello per cui tutto fa brodo, tutto è progresso. In cui troppo spesso i sindaci vagano incerti come ombre dei propri mandati, in attesa del santo protettore di turno o della manna dal cielo.
Nella valle del Sabato non è arrivato né l’uno, né l’altro. Il concetto di area vasta è pura fantascienza. Di vasto qui c’è solo il senso dell’abbandono. Che ti resta attaccato addosso assieme all’olezzo silenzioso del fiume, con le sue venature di putrido e stantìo. Miasmi così, si lasciano ricordare a lungo.
LO STIR
Gli anni dell’emergenza rifiuti in Campania hanno lasciato ovunque un’eredità enorme. Tutte le province campane hanno dovuto piegarsi, loro malgrado, sotto il peso dell’indifferibilità e dell’urgenza. Il cuore della valle del Sabato è sede dello Stir di Pianodardine. Il progetto dello stabilimento di tritovagliatura, seguendo il comune destino degli altri impianti commissariali, viene approvato con l’ordinanza n.141 del 16 maggio 2000. La firma in calce è quella dell’allora governatore della Campania, nonché Commissario delegato all’emergenza rifiuti, Antonio Bassolino. La commissione di collaudo dell’impianto – composta dal preside della Facoltà di Architettura “Federico II” di Napoli, professor Arcangelo Cesarano, dall’ingegner Samuele Sandoli e dal dirigente della Regione Campania Giuseppe Catenacci – nominata solo due mesi prima, ha appena il tempo di effettuare un collaudo provvisorio. Svoltosi, caso strano, nello stesso giorno in cui il Commissario Bassolino firma la convalida definitiva del progetto.
Ma l’emergenza detta i tempi. E le modalità. Sono sette gli Stir autorizzati nel territorio campano: Tufino, Giugliano, Battipaglia, Caivano, Santa Maria Capua Vetere, Casalduni, Pianodardine.
Nei siti, in genere, viene effettuata una separazione del Rifiuto urbano residuo (Rur) in due frazioni principali: una umida, denominata Futs (Frazione umida tritovagliata stabilizzata), da destinare a discarica; una secca, denominata Fsts (Frazione secca tritovagliata stabilizzata), da destinare alla termovalorizzazione, fatta salva una minima quantità di scarti. Nel territorio irpino, a gestire il ciclo integrato dei rifiuti è la società Irpiniambiente spa. Un’impresa, costituita nel 2009, interamente partecipata dalla Provincia di Avellino.
SI ACCENDONO I RIFLETTORI
Ad accendere i riflettori sulla valle del Sabato, e sui più recenti progetti di ampliamento dello Stir di Pianodardine, sono stati i cittadini. Allarmati da analisi e rilievi sulle matrici ambientali che, altrimenti, avrebbero rischiato di passare ancora per molto tempo sotto traccia. Nelle acque sotterranee esterne allo Stir i rilievi Arpac parlano di parametri di manganese e tetraclorometano che superano i valori delle Csr. Questo significa che, al netto del piano di caratterizzazione, il sito deve essere messo in sicurezza e cinturato per evitare ulteriori contaminazioni delle matrici ambientali. È quello che chiede il comitato Salviamo la nostra valle del Sabato. Opponendosi, di contro, a qualsiasi forma di ampliamento dello Stir.
“La nostra prima battaglia è contro l’indifferenza”, dice il presidente del comitato e membro dell’Isde Avellino, dottor Franco Mazza.
“Non siamo la Terra dei fuochi, non prendiamoci in giro. Ma questo non significa che vogliamo diventare la Terra dei fuochi. In questi primi mesi abbiamo cercato di sensibilizzare innanzitutto la popolazione residente nella valle del Sabato. Molti di loro vivono e muoiono con la paura di esporsi. I rilievi Arpac del 2005 e del 2007 hanno già identificato i superamenti di alcuni inquinanti nelle matrici acqua, suolo e aria. Gli studi di diffusione condotti dal Cnr nel 2011, allo stesso modo, hanno analizzato gli impatti di alcune fabbriche operanti nel nucleo industriale di Pianodardine sulla qualità dell’aria. I risultati sono sconcertanti. Ma nessuno ha mosso un dito. La verità è che senza la sensibilizzazione del comitato, anche la questione dello Stir sarebbe passata sotto silenzio. È arrivato il momento di dire basta, con tutte le nostre forze. Quello che è emerso in questi mesi è che c’è un interesse molto forte, sia da parte della Provincia che della Regione Campania, alla realizzazione dell’ampliamento dello Stir.”
A onor del vero, parlare di ampliamento dello Stir di Pianodardine è improprio. I tecnici regionali che recentemente – con decreto dirigenziale n.321 del 20 dicembre 2016 – hanno rilasciato parere favorevole di compatibilità ambientale, si sono confrontati su una variante sostanziale del progetto originario. Subordinando, per altro, il rilascio del parere favorevole a un obbligo da parte della società Irpiniambiente spa di “provvedere alla messa in sicurezza operativa con la previsione di cinturare il sito rispetto all’afflusso delle acque sotterranee risultate contaminate e nel riportare a valori Csc nei punti di conformità gli analiti – manganese e tetraclorometano – che hanno superato le Csr, fermo restando la prosecuzione serrata delle indagini già avviate dalla Provincia di Avellino con la collaborazione dell’Arpac e degli altri Enti.”
Ma andiamo con ordine. Il 12 agosto scorso, mentre le Conferenze di servizi sull’ampliamento dello Stir sono ancora in corso, il presidente della Provincia di Avellino, Domenico Gambacorta, firma un’ordinanza con la quale “autorizza in via temporanea all’esercizio della trasferenza e dello stoccaggio della frazione organica – codice Cer 20.01.08 – nell’impianto Stir di Pianodardine con conduzione della società Irpiniambiente spa.” La Provincia gioca in casa la propria partita. Del resto Irpiniambiente è una partecipata provinciale. E l’impianto Stir di Pianodardine è divenuto definitivamente una proprietà della Provincia il 20 luglio 2016.
La seconda ordinanza di reiterazione della precedente viene firmata dal presidente Gambacorta il 29 settembre scorso.
La terza arriva a ridosso della Conferenza dei servizi del 9 novembre 2016. La proroga stavolta è di 90 giorni. Ma nel frattempo, la Regione Campania si è espressa concedendo il suo nulla osta con prescrizioni.
MO’ BASTA
Il comitato “Salviamo la nostra valle del Sabato” non è rimasto a guardare. Tramite l’avvocato Giovanna Bellizzi ha presentato un esposto indirizzato congiuntamente agli organi della magistratura e al ministero per l’Ambiente.
L’avvocato Bellizzi ci spiega che “l’esposto si compone di due iniziative. Una è rivolta al ministero e l’altra agli organi giudiziari che dovranno accertare le eventuali violazioni della legge compiute e i responsabili. Di ipotesi di reato in questo momento non si può parlare. Sarà la Procura a vagliare la documentazione che abbiamo presentato. Quel che posso dire è che abbiamo ricostruito la vicenda, quella in particolar modo inerente allo Stir, segnalando al contempo tutte le criticità ambientali. Nello specifico ci siamo soffermati sull’ordinanza che la Provincia di Avellino ha emesso il 12 agosto scorso. Su questo impianto ci sono già delle criticità, è in corso un piano di caratterizzazione, è stato individuato il superamento di alcuni parametri tale da rendere necessario un piano per la tutela e la sicurezza dei cittadini. E tutti gli enti sono consapevoli di quel che accade, in quanto partecipano alle Conferenze dei servizi. Nelle more del rinvio della conferenza dei servizi per valutare le dichiarazioni della società che gestisce l’impianto, si inserisce questa ordinanza del presidente della Provincia di Avellino. La vicenda va chiarita. Al ministero e alle Procure diciamo: se c’è una contaminazione deve scattare anche l’indisponibilità del sito e si dovrebbe a nostro parere configurare una limitazione d’uso. Come è possibile procedere alla caratterizzazione e poi alla bonifica dell’impianto se lo Stir non solo continua a svolgere le sue funzioni ma addirittura, in via eccezionale, si configura anche lo stoccaggio dei rifiuti? Al ministero chiediamo di adottare in via precauzionale provvedimenti urgenti. In tal modo rendiamo le Istituzioni consapevoli della questione. E per disposizione del legislatore, hanno l’obbligo di intervenire. Se invece il ministero, recepita questa segnalazione dell’associazione, non dovesse intervenire, allora i cittadini e il comitato avranno facoltà di innescare tutte le azioni giudiziarie del caso.”
RICORRERE AL TAR
Tra le azioni giudiziarie da innescare c’è di sicuro il ricorso al Tar. Ma i sindaci della valle del Sabato non sembrano propensi. Si riuniscono, minacciano opposizioni, inviano note alla stampa per rendere manifesto il proprio dissenso. Ma nella sostanza, non si impegnano a firmare un documento condiviso che metta nero su bianco la volontà di stanziare fondi, congiuntamente, per un ricorso al Tar. Del resto non tutti hanno partecipato alle conferenze dei servizi. Il comitato chiede loro di superare i particolarismi e di schierarsi esplicitamente dalla parte degli interessi dei cittadini. Pressioni che sembrano cadere nel vuoto sotto la scure del disinteresse.
“Le ragioni per ricorrere al Tar sono molteplici”, dichiara ancora l’avvocato Bellizzi.
“Innanzitutto perché per la zona, segnalata come contaminata, è stato necessario elaborare un piano di caratterizzazione. Con la caratterizzazione si ricostruisce il fatto, si elaborano dei piani di indagine, ma poi si devono elaborare anche della analisi di rischio. È una procedura, insomma, che poi deve evolvere necessariamente in più fasi, ultima fra le quali la bonifica e il ripristino ambientale. Ma come è possibile il ripristino se il sito viene destinato addirittura ad altri scopi? I Comuni hanno un obbligo. Tutti i sindaci sono autorità sanitarie e hanno il dovere di tutelare la salute dei cittadini e prevenire qualsiasi potenziale pericolo in tal senso. Se i comuni della valle del Sabato dovessero individuare in questo impianto o nei suoi diversi usi un pericolo per la salute e l’incolumità dei cittadini devono adottare delle ordinanze per inibire il prosieguo di questa attività. Se, invece, non ritengono di voler o poter emettere queste ordinanze, dovrebbero quanto meno fare ricorso al Tar cercando di individuare più strade percorribili. Ricordo una cosa: il principio di precauzione, nel nostro ordinamento, non dice che i cittadini devono dimostrare che un impianto è pericoloso. Dice esattamente il contrario. Chi intende gestire gli impianti industriali deve dimostrare che la propria attività non è pericolosa. La questione, anche da un punto di vista probatorio, è completamente ribaltata. Se i comuni dovessero decidere di fare ricorso al Tar, i comitati potrebbero intervenire ad adiuvandum. Ma in queste valutazioni subentrano una serie di fattori di opportunità, di fattibilità e non ultimo di capacità dei comuni di fronteggiare le spese per un ricorso. Nel caso specifico potrebbe essere elaborato un Protocollo d’intesa impegnandosi congiuntamente a fare ricorso. Anche perché le criticità della valle del Sabato non sono legate unicamente allo Stir. Nessuno finora ha minimamente preso in considerazione l’effetto cumulo. In questa fase un ruolo molto importante lo giocano i comitati e i cittadini. Se non decideranno di ricorrere al Tar i singoli comuni, potranno essere i cittadini a farsi carico di una simile iniziativa. Con tutte le difficoltà che questo comporta. Ma è una strada che non dovrebbe essere esclusa a priori.”
I VELENI DELLA VALLE DEL SABATO
È il 16 luglio 2014 quando l’Arpac comunica alla Provincia di Avellino i dati sui superamenti delle concentrazioni di manganese nei campioni prelevati dai pozzi spia a monte e a valle dell’impianto Stir. Il 20 agosto l’ente effettua nuovi campionamenti delle acque sotterranee coadiuvata dal Noe di Salerno e dai Carabinieri di Montefredane.
I risultati parlano del persistere dei superamenti delle Csc per il manganese, cloroformi fecali, batteri cloroformi totali, enterococchi intestinali, boro e azoto ammoniacale.
A settembre la Regione Campania di da la società Irpiniambiente, in quanto soggetto gestore dell’impianto Stir, “ad adottare entro 30 giorni idonee e congrue misure atte a eliminare il superamento dei parametri derivanti dai monitoraggi Arpac.”
Il piano di caratterizzazione dello Stir viene presentato da Irpiniambiente il 30 settembre 2014. Nelle conferenze dei servizi successive la Provincia, l’Asi e l’Arpac propongono di monitorare le aree in corrispondenza delle vasche di raccolta del percolato. La Regione Campania approva il piano di caratterizzazione con il decreto n.34 del febbraio 2015. Intanto le analisi del 2014 vanno a sommarsi a quelle già espletate dall’Arpac nelle campagne di monitoraggio del 2005 e del 2007 sul territorio della valle del Sabato.
Nel 2005 l’Arpac accerta la presenza di Pcb in concentrazione superiore ai limiti di legge nel suolo, segnalando altresì la presenza di rame, piombo, stagno, berillio, vanadio e tallio.
Nelle acque superficiali del fiume Sabato viene monitorata la presenza di ammoniaca totale, fosforo totale e tensioattivi anionici ancora una volta superiori ai parametri legislativi. I campioni prelevati invece nelle acque sotterranee evidenziano una concentrazione elevata di cloruri, ammonio, manganese, ferro e idrocarburi. Per ciò che concerne l’aria, va precisato che l’unica centralina di monitoraggio dell’area industriale è quella sita in prossimità dello Stir.
Per i controlli sulle emissioni dei comparti industriali operanti sull’intero tessuto dell’area della valle del Sabato, ci si a da agli autocontrolli delle fabbriche. Nel comune di Atripalda viene registrato un aumento di ozono, ossidi di azoto e Ipa nell’aria. In prossimità di Arcella – frazione del comune di Montefredane – c’è persino il toluene.
Ma il dato più allarmante si registra tra Montefredane, Pratola Serra e Prata di Principato Ultra: i valori di monossido di carbonio, ozono e delle PM10 superano i parametri di legge.
Nel 2007 il dato diviene ancora più angosciante. Oltre alla conferma sui metalli e Pcb nei suoli, la
concentrazione dei livelli di ferro e manganese nelle acque sotterranee è da 3 a 10 volte superiore ai monitoraggi precedenti. Nell’aria, inoltre, persistono i livelli allarmanti di PM10. Si trovano persino tracce di formaldeide. Nel luglio 2011 viene presentato uno studio del Cnr sul trasporto, dispersione e ricaduta al suolo degli inquinanti emessi nel nucleo industriale di Pianodardine. La firma in calce è degli esperti del Cnr Cristina Mangia e Marco Cervino con la collaborazione esterna di Ruggero Gallimbeni.
L’attenzione del Cnr si concentra in particolare sulle emissioni di alcuni impianti: Novolegno spa, Fma, Aurubis Italia srl, Denso Thermal Systems spa e Co.bi.em sas. Ma, come è ovvio, i valori delle emissioni derivano unicamente dagli autocontrolli che le società hanno fatto e certificato. Per la Novolegno si parla di autocontrolli del 2004 e del 2008. Per la Fma addirittura del 2006. Nessun autocontrollo disponibile per la Aurubis, per cui si dovrà fare unicamente affidamento sull’Aia (Autorizzazione integrata ambientale).
Mentre per Denso e Co.bi.em ci si basa su due relazioni tecniche rispettivamente del 2008 e del 1999. Lo studio dimostra che l’aria della valle del Sabato è densa di ossido di azoto, ozono, PM10, e Ipa con particolare attenzione al benzo(a)pirene.
“L’ozono in particolare – si legge nella relazione conclusiva – è comunque un inquinante da tenere sotto controllo in quanto prodotto da reazioni fotochimiche che coinvolgono, tra gli altri, gli ossidi di azoto e i composti organici volatili, entrambe classi di inquinanti presenti nell’area.”
Il Cnr aggiunge la necessità che il monitoraggio dei parametri degli inquinanti in atmosfera sia costante. Che venga circostanziato a tutti gli impianti industriali operanti nel contesto della valle del Sabato. Ma quell’unica centralina Arpac, sita in prossimità dello Stir – le cui emissioni non vengono prese in considerazione nello studio del Cnr – negli ultimi mesi del 2016 ha smesso di funzionare. Le buone intenzioni, sono rimaste nel cassetto.
I RIFIUTI DALLA CALABRIA
Quel che buona parte dei cittadini ignora, tuttavia, è che nell’agosto del 2016 la Regione Campania ha firmato un accordo con la Regione Calabria per il conferimento nel territorio campano dei rifiuti calabresi. La richiesta per un nuovo accordo interregionale è stata protocollata dalla Calabria già nei primi di giugno.
Gli impianti attivi nel territorio calabrese non riescono a trattare le circa 2000 tonnellate di rifiuti che quotidianamente vengono conferite in discarica. Durante i mesi estivi, la difficoltà rischia di trasformarsi in emergenza. I calabresi tendono la mano alla Campania che, calorosamente, la stringe. L’accordo c’è. La trasparenza un po’ meno. Le società provinciali attive nell’arco campano – Samte Benevento, Ecoambiente Salerno, Gisec Caserta, Sap.na. Napoli e Irpiniambiente Avellino – danno la disponibilità tecnica a poter trattare i rifiuti provenienti dalla Calabria nei rispettivi impianti Stir. Del resto anche la Campania, durante il 2015, aveva chiesto una mano alla Calabria per lo smaltimento dei rifiuti provenienti dallo Stir di Battipaglia. È il più classico dei “do ut des”.
Fino al 31 dicembre scorso sono stati accolti presso ciascun impianto Stir campano 400 tonnellate al giorno di rifiuti urbani calabresi identificati con codice CER 20.03.01. Nell’accordo ufficiale – pubblicato sul Burc n.94 del 16 settembre 2016 – si legge che i rifiuti provengono “dai due impianti TMB di Lamezia Terme e Catanzaro – gestiti dalla società Daneco Impianti spa – e Rossano, Crotone, Siderno, Gioia Tauro e Reggio Calabria – gestiti dalla società Ecologia Oggi spa – mediante attività di trasferenza in un capannone, per il successivo carico su mezzi con capacità superiore per il trasporto in Campania. Resta intatta la possibilità, per i comuni posti nella zona nord della Calabria, di conferire direttamente negli impianti campani, mediante propri auto compattatori, previa certificazione dell’Arpa Calabria della corrispondenza del CER 20.03.01.”
I costi dei conferimenti sono stati pattuiti direttamente tra i gestori degli impianti campani e la Regione Calabria. A monitorare il viaggio dei rifiuti dalla Calabria alla Campania, ci sono rispettivamente le due Arpa regionali. Per conoscenza, l’accordo è stato inviato alle Province nelle quali si trovano gli impianti disponibili ai nuovi conferimenti, nonché alle società provinciali e agli enti gestori degli stabilimenti in questione.
Nel caso irpino, dunque, alla Provincia di Avellino e a Irpiniambiente spa. Proprio nei mesi in cui la centralina di monitoraggio Arpac sita nei pressi dello Stir di Pianodardine ha smesso di funzionare, sarebbero arrivate circa 400 tonnellate al giorno di rifiuti dalla Calabria.
Rifiuti, va chiarito, con un codice CER diverso da quello per il quale, negli stessi mesi, il presidente della Provincia Gambacorta si è a rettato a diramare più ordinanze per l’autorizzazione alla trasferenza e allo stoccaggio della frazione organica dei rifiuti presso lo Stir di Pianodardine. Ma l’atteggiamento poco nitido delle istituzioni resta.
L’INDUSTRIA FANTASMA
La valle del Sabato non è solo lo Stir. La compresenza di un nugolo di industrie non va sottovalutata. L’area industriale Asi di Pianodardine è tra le prime realizzate in provincia di Avellino in virtù della legge n.634/1957. Nel disegno originario del legislatore l’obiettivo era quello di agevolare la promozione di nuove iniziative produttive nel Mezzogiorno mediante la creazione di aree di sviluppo industriali infrastrutturate in prossimità dei principali assi viari.
Nel caso specifico, in prossimità dell’ingresso autostradale A16 Napoli-Bari, del raccordo Salerno-Avellino e della superstrada Ofantina, che consente il collegamento con l’Alta Irpinia. I comuni interessati dagli insediamenti industriali in questione sono quelli di Avellino, Grottolella, Manocalzati, Montefredane, Prata di Principato Ultra, Pratola Serra e Atripalda.
L’area è fornita di un solo impianto per il trattamento delle acque reflue utilizzabili a scopi industriali. Manca soprattutto un sistema efficiente di smaltimento dei rifiuti e di servizi di supporto alle aziende e ai lavoratori.
Sono tre gli stabilimenti iscritti alla tabella delle Aia regionali: Aurubis Italia srl, Novolegno spa e, ovviamente, lo Stir di Pianodardine. L’autorizzazione integrata ambientale è un provvedimento che autorizza l’esercizio dell’impianto, o parte di esso, in condizioni tali da poterlo uniformare alla prevenzione e alla riduzione dell’inquinamento. Un aspetto fondamentale del decreto Aia è il piano di monitoraggio e di controllo. Che prevede, come parametro cardine, la comunicazione all’autorità competente dei dati necessari a veri care la conformità dell’impianto ai parametri ambientali fissati dall’Aia. Ma come si è potuto costatare nel caso dello studio sulle emissioni portato a termine dal Cnr, non sempre le comunicazioni sono state pubblicizzate a dovere.
Nel cuore del nucleo industriale, per altro, insistono una serie di piccoli insediamenti urbani. Tra
le altre, la frazione Ponte Sabato di Prata di Principato Ultra risulta praticamente cinta d’assedio da una serie di aziende e di criticità ambientali: Novolegno spa, l’impresa del gruppo Fantoni si occupa di fabbricazione di fogli da impiallacciatura e di produzione di pannelli a base di legno; Fma, che produce motori a combustione interna per automobili; Dentice Pantaleone, specializzata nello smaltimento di rifiuti solidi industriali, nella raccolta e trattamento di materiali ferrosi e nella lavorazione della plastica; la centrale elettrica e le acque stagnanti del fiume Sabato.
Ma non è la sola. Discorso analogo vale per i nuclei abitativi di Pianodardine e per la frazione di Montefredane, Arcella. Secondo il consorzio Asi di Avellino, su 371 ettari disponibili solo 180 risultano oggi occupati da attività industriali. Ancora meno sono gli ettari effettivamente infrastrutturati e pronti a ospitare una qualsiasi attività industriale. Per altro, su innumerevoli lotti gravano curatele fallimentari. Molti capannoni risultano abbandonati da anni. Come se lo sviluppo avesse attraversato solo di striscio questa parte del territorio lasciandosi alle spalle uno stuolo di cattedrali nel deserto. È il caso, solo per fare alcuni esempi, dell’ex Fim Sud spa, dell’ex Isochimica spa, dell’El.Ital. spa, dell’Amuco International spa.
L’EX ISOCHIMICA
L’ex Isochimica spa, tuttavia, merita una menzione a parte. È il 1982 quando il consorzio Asi di Avellino assegna alla società Isochimica un lotto di poco più di 30 mila metri quadri nell’area industriale di Pianodardine. L’anno successivo il Comune di Avellino rilascia la concessione per la realizzazione dell’opificio industriale all’interno del quale approdano le carrozze delle Ferrovie dello Stato per essere scoibentate e ricoibentate. Nel 1985 il lotto di concessione viene ampliato. Sono gli anni in cui, come riporta la giornalista Rossella Fierro, lucida testimone della vertenza, “l’allora ricchissimo e ben voluto imprenditore Elio Graziano portò lavoro nell’Irpinia piegata dal sisma; l’uomo che conquistò politici locali e nazionali, che acquistò la squadra di calcio che all’epoca se la giocava sui campi nazionali della massima serie riuscendo così a diventare l’idolo indiscusso dei tifosi biancoverdi.”
Furono assunti 333 operai. Molti hanno raccontato nel tempo di aver scrostato l’amianto dalle carrozze a mani nude e senza alcuna forma di protezione.
Di aver saputo solo dopo che quella polvere bianca e sottile li avrebbe condotti a una lenta e inesorabile agonia. Di aver interrato le oltre duemila tonnellate di amianto rimosso in almeno tre – gli ex operai parlano di quattro – fosse nel terreno. In ventitré, come scrive ancora la Fierro, ci sono già morti. Gli altri si portano sulle spalle, come un fardello, una carrellata di problemi respiratori e di malattie asbesto correlate.
Nel luglio 2016 il gup della Corte d’Assise del Tribunale di Avellino, Fabrizio Ciccone, dispone il rinvio a giudizio per 27 dei 29 indagati nel processo Isochimica. Una sentenza storica, che poggia le basi su un’inchiesta aperta nel 2011 e che ha portato, due anni dopo, al sequestro della fabbrica killer. Le ipotesi di reato parlano di omicidio colposo plurimo, lesioni dolose, omissione in atti d’ufficio e disastro ambientale continuato. Una tragedia “pulita” consumatasi all’ombra del quartiere di Borgo Ferrovia, alle spalle di un campetto in cui giocano le squadre di calcio locali, a meno di 200 metri da una scuola elementare e da un ex asilo infantile.
“Quegli operai con i loro corpi contaminati dall’amianto – scrive ancora la Fierro sulle pagine de Il Ciriaco – con le loro morti sono riusciti, per citare il professore Antonello Petrillo autore de “Il silenzio della polvere”, a far entrare questa storia nel discorso pubblico. Una storia che adesso pretende di trovare verità nell’aula del tribunale di Avellino.” Il 9 dicembre scorso il processo ha subito un rinvio. La nuova udienza si svolgerà il 24 febbraio 2017.