Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Un fiume in agonia

Si chiama Panta Rei l’ultima maxi operazione condotta dal Corpo forestale dello Stato di Chieti e Pescara, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, che ha posto l’attenzione sull’irregolare gestione del depuratore di Chieti. Sotto accusa il Consorzio di Bonifica Centro. Si ipotizza lo sversamento di rifiuti nel fiume Pescara, sempre più agonizzante.

Panta Rei. Di tutto scorre nel fiume Pescara. Dice questo l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, balzani agli onori della cronaca nell’ottobre scorso. Posti sotto sequestro il depuratore gestito dal Consorzio di Bonifica Centro di Chieti e del vicino impianto Salvaiezzi. I reati contestati sono di traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale, truffa ai danni dello Stato, peculato e abuso d’ufficio. Tra gli indagati Roberto Roberti, presidente del Consorzio Bonifica Centro; Tommaso Valerio, direttore tecnico e responsabile dell’impianto di depurazione; Andrea De Luca, capo del settore ecologia e ambiente dello stesso impianto; Stefano Storto, amministratore del laboratorio analisi Dace srl. A seguito dell’inchiesta Roberto Roberti ha rassegnato le proprie dimissioni da tutte le cariche. Andrea Colantonio, amministratore giudiziario del Consorzio, ha invece sospeso dal servizio il De Luca e il Valerio. Coinvolti, a vario titolo, anche Nicola Levorato, amministratore della Depuracque srl; Angelo De Cesaris, amministratore della Angelo De Cesaris srl; Corrado Sorgentone, dipendente della Angelo De Cesaris srl; Fabrizio Mennilli, imprenditore nel settore idraulico; Giustino Angeloni, consulente del Consorzio.

RIFIUTI DALLA TOSCANA
Le indagini hanno restituito uno scenario preoccupante. Sarebbero state alterate le analisi e smaltiti irregolarmente fanghi e altri rifiuti provenienti dalla discarica Bulera di Pomarance, in provincia di Pisa. Solo tra i mesi di ottobre e novembre del 2015 sarebbero stati 37 i viaggi di percolato, per un totale di 1090,45 tonnellate. Perlopiù contenenti elevate concentrazioni di arsenico. Tutte accolte senza le necessarie analisi sulla composizione. A peggiorare la situazione le gravi problematiche strutturali e manutentive degli impianti, più volte nel mirino dell’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente (Arta). Le vasche di trattamento, infatti, presentavano falle attraverso le quali sono confluiti nel sottosuolo reflui e fanghi inquinati. Il pubblico ministero Antonietta Picardi ha sottolineato che “le indagini sono nate anche grazie a segnalazioni anonime, e non, di cittadini di Chieti scalo che si lamentavano dell’impossibilità di una vita quotidiana normale a causa degli odori nauseabondi che il Consorzio emanava.”

L’INGIUSTO PROFITTO
Secondo il dispositivo del giudice per le indagini preliminari ”al fine di conseguire un ingiusto profitto” sarebbe stata allestita ”un’attività organizzata finalizzata al traffico illecito di rifiuti”, miscelando ”in maniera del tutto arbitraria ed illecita” fanghi con due diversi codici CER, avviandoli a smaltimento ”attribuendo un unico codice CER.”
L’operazione sarebbe stata occultata “falsificando sia i formulari che i registri di carico e scarico rifiuti.”
Ricapitolando, il Consorzio di Bonifica Centro avrebbe accettato percolato “senza effettuare la prescritta omologa del rifiuto” e “contenente alti valori di arsenico (valore medio dei conferimenti superiore di 1000 volte il limite autorizzativo di scarico dell’impianto consortile)” , conferito “senza porre in essere alcuna specifica campagna di abbattimento di tale metallo pesante.” Inoltre, tra il 2013 e il 2015 “ingenti quantitativi” di percolato di discarica sarebbero stati conferiti nonostante un “alto valore di azoto ammoniacale (con un valore medio dei conferimenti superiore di 5 volte i limiti allo scarico indicati nell’AIA) pur essendo a conoscenza dell’inadeguatezza dell’impianto.”
Il comportamento in dolo del Consorzio – secondo le stime della Procura della Repubblica dell’Aquila – ha portato ad un risparmio di 300 mila euro nei confronti del Comune di Chieti, con il quale è stato stipulato un Accordo di Programma, ed un “ingiusto profitto” di 17.793,27 euro nei confronti della società Chimica Larderello spa, gestore della discarica Bulera. Nel mirino dell’inchiesta anche gli affidamenti di trasporto e smaltimento dei fanghi da parte del Consorzio alla Depuracque (2014 e 2015) e alla De Cesaris srl (2014), che “violavano le norme di legge relative alle procedure di evidenza pubblica previste dal decreto legislativo n.163/2006” , procuravano “intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale” alle due società, e arrecavano “danno certo al Consorzio di Bonifica Centro che non poteva usufruire delle economie derivanti dai ribassi che vi sarebbero stati in caso di normale gara di evidenza pubblica.”

SMALTIMENTO, DEPURAZIONE, QUALITÀ DELLE ACQUE
Secondo il pubblico ministero David Mancini “le indagini hanno svelato un’attività sistematicamente illecita attraverso diversi strumenti, dalla falsificazione dei codici di ingresso dei rifiuti liquidi, ai quantitativi incompatibili, fino allo sversamento dei rifiuti stessi nel fiume Pescara, e dunque nel Mare Adriatico.”
L’accusa è di esser arrivati a sversare oltre mille tonnellate di reflui contaminati da arsenico. Nel dispositivo del giudice per le indagini preliminari si legge che le “attività illecite nella gestione dei rifiuti” sono avvenute “a totale discapito della salubrità dell’ambiente circostante, nel quale vengono immesse, attraverso lo scarico nel fiume Pescara o fuoriuscite dalle vasche di depurazione, importanti quantità di sostanze inquinanti.”
Le risultanze dell’inchiesta fanno rimarcare agli inquirenti quanto sia inutile interrogarsi circa le cause della ricorrente non balneabilità del mare o di odori nauseabondi dei fiumi o di ripercussioni negative sulla fauna ittica. Un durissimo atto di accusa nei confronti di pubblici amministratori. Il fiume Pescara, nonostante lo stato di emergenza dichiarato il 9 marzo 2006 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, continua a vivere una situazione da horror ambientale, che non sembra incontrare argini. Questo nonostante le denunce decennali di Abruzzo Social Forum, Rifondazione Comunista, WWF e lo scandalo della megadiscarica di Bussi, mai bonificata, che continua a rappresentare una minaccia anche per il fiume Pescara.
Una relazione dell’Arta Abruzzo, datata febbraio 2016, documenta nero su bianco che l’inquinamento continua: prelievi di acque superficiali e profonde di falda hanno riscontrato in vari tratti superamenti per il tetracloroetilene oltre 160 volte i limiti di legge.
“Diversi superamenti per solventi clorurati con notevole incremento delle concentrazioni” o esacloroetano concentrato 2372 volte più del consentito dalla legge. Il 29 ottobre scorso il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua pubblica ha reso noto uno studio dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo.
Lo studio ha campionato “35 esemplari di pesci: n.11 trote fario, n.15 cavedani, n.3 rovelle, n.6 barbi comuni. Complessivamente 17 pesci a monte di Bussi (Molina Aterno 14 e Vittorito 3) e 18 a valle (Bussi 3 e Manoppello 15)” , riscontrando che “6 pesci sui 18 che sono stati campionati a valle della discarica hanno superato i limiti di legge per il Mercurio (1 su 3 pesci catturati a Bussi e 5 su 15 catturati a Manoppello) pari al 33% del totale (addirittura 5 barbi su 6).”
L’Istituto Zooprofilattico scrive nella relazione che “il benessere dei Pesci è minacciato, soprattutto a Bussi Officine e Manoppello, come dimostrano la presenza di micronuclei (danni genetici) negli eritrociti, dovuta all’esposizione a sostanze mutagene, e le maggiori concentrazioni di piombo, cromo e soprattutto mercurio (oltre i limiti di legge per l’umano consumo)” e che “la concentrazione di arsenico è rilevante in tutti i punti di campionamento ed è quindi necessario approfondire l’origine della contaminazione, soprattutto nella sua forma più tossica di arsenico inorganico.”
Inoltre, l’Istituto rileva che “l’esposizione alle sostanze tossiche è cronica, poiché la presenza dei micronuclei non si manifesta più dopo la depurazione, e quindi potrebbe derivare o dalla falda inquinata o da scarichi non trattati ancora attivi con continuità.”
L’Istituto sottolinea, inoltre, che “la presenza di sostanze tossiche nei Pesci rappresenta un problema per l’umano consumo e quindi sarebbe necessario vietare la pesca almeno da Bussi Officine in poi o consentire solo la pratica del catch and release.”
Praticamente i pesci catturati andrebbero rilasciati in acqua. A seguito della diffusione dello studio, la Regione Abruzzo ha chiesto ai Comuni della Val Pescara di emanare ordinanze per vietare la pesca ad uso alimentare lungo tutto il fiume Pescara, da Bussi fino alla foce.
La Conferenza dei servizi del 30 novembre 2016 su Bussi e la Val Pescara è stata la dimostrazione dell’incredibile situazione di ritardi, confusione e veri e propri fallimenti istituzionali. Durante la conferenza – come denunciato dal Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua pubblica – il ministero dell’Ambiente “ha sostenuto che è difficile reperire la documentazione, perché in larga parte cartacea e solo in parte elettronica” e di essere venuto “in possesso della caratterizzazione sulla discarica Tremonti, pagata dal Commissario delegato 980.000 euro, il 28 novembre 2016” , “non erano ancora ben chiare le aree da sottoporre a caratterizzazione (c’era una difformità non da poco tra quanto proiettato con slide dal Ministero e quanto sembrava aver previsto la Regione)” , “nei pozzi spia a valle del trattamento delle acque di falda contaminate che sono sotto l’area industriale, ci sono limitati superamenti per il cloruro di vinile” , definito dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro “cancerogeno accertato per l’uomo.”
La Conferenza ha visto la partecipazione di Regione e Comune di Bussi.
Assenti, invece, i Comuni di Chieti, Castiglione a Casauria, Cepagatti, Alanno, Tocco da Casauria, Torre de’ Passeri, Popoli, Rosciano, Scafa, Manoppello e la Provincia di Pescara. Presenze totali peri al 21,43 per cento.

INCHIESTE INCROCIATE
L’inchiesta Panta Rei è giunta a pochi mesi da un’altra importante inchiesta, quella sul centro oli Eni di Viggiano e sul giacimento Tempa Rossa di Corleto Perticara, in Basilicata, balzata agli onori della cronaca nazionale per il coinvolgimento dell’ex ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi.
Secondo il pubblico ministero David Mancini “è possibile che ci saranno in futuro ulteriori sviluppi di indagine” anche in quella direzione. Secondo l’inchiesta lucana tra il 2013 e il 2014 in Abruzzo sarebbero state conferite nell’impianto della Depuracque a Chieti Scalo 13.482,42 tonnellate di rifiuti liquidi provenienti dalle attività di estrazione (per essere precisi 273,3 nel 2013 e 13209,12 l’anno successivo). Conferimenti finiti nel mirino della magistratura. I rifiuti sarebbe stati classificati “non pericolosi” , considerati “miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio.”
Mentre, secondo una perizia commissionata dalla Procura di Potenza lo erano, in quanto da considerare “miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso.” L’inchiesta della Procura di Potenza s’incrocia con un’altra indagine, resa nota nel dicembre scorso, che ipotizza i reati di traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale.
Una serie di perquisizioni del Corpo forestale dello Stato hanno portato al prelievo di una trentina di faldoni di documenti e alcuni campioni di rifiuti e fanghi. L’accusa è quella di aver sversato direttamente nel fiume fanghi e altre sostanze. Secondo la Procura “pur essendo a conoscenza dell’inquinamento che provocano le acque reflue rilasciate dall’impianto di depurazione consortile di San Martino” , gli indagati sversavano “dolosamente” liquidi “inquinanti interessando, oltre le acque superficiali, anche le acque sotterranee e persino l’interramento dei fanghi.”

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Autore:

Attivista di vari movimenti pacifisti e ambientalisti abruzzesi, referente locale dell’associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink.