Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

L’interesse strategico dell’Appennino meridionale

Dall’Abruzzo alla Calabria, attraversando Molise, Campania, Basilicata e Puglia. L’Appennino meridionale è storicamente il centro nevralgico della ricerca e coltivazione di idrocarburi nell’Italia del Sud. Una sottile “linea nera” che unisce materialmente territori e interessi energetici. Mentre la nuova Strategia energetica nazionale (Sen), varata dal governo Gentiloni lo scorso 10 novembre, sembrerebbe direzionata almeno sulla carta verso un cambio di passo in chiave green, le risorse – o presunte tali – del centro-sud continuano a far gola alle compagnie petrolifere, consapevoli che il cuore della Sen batte anche al ritmo del prezzo del petrolio al barile. Vi raccontiamo come un permesso di ricerca, in una piccola provincia campana, possa assurgere a case-study rappresentativo di un intero sistema: distorto, schizofrenico e dissociato.

Gesualdo è un paesino di 3700 anime arroccato a ridosso dell’Appennino meridionale. In provincia di Avellino, nel cuore della Campania, i “cercatori di oro nero”, dal 2010 si affannano per trivellare un pozzo esplorativo. Sette anni dopo, tutto resta immutato. Compresa l’ex cava con il silos giallo, luogo prescelto per la trivellazione. Che resta lì, inerte, come un monumento all’incuria e al degrado eretto dall’illuminata imprenditoria del post-sisma.

IL DESTINO SOSPESO DEL PERMESSO NUSCO
“Sospensione del decorso temporale”: una manciata di parole cristallizzano uno stato di fatto. Nella realtà il permesso di ricerca Nusco è un cane che dorme da quasi 1.700 giorni. E mentre le istituzioni regionali e locali sperano che non si desti mai, almeno fino alla durata del proprio mandato elettivo, c’è chi nel frattempo pensa a come risvegliarlo.
Che l’interesse strategico del pozzo Gesualdo 1 sopravviva nella mente di chi, fin dal 2002, ha avviato la macchina burocratica per il rilascio prima di un’istanza, poi di un permesso di ricerca, è una constatazione. Anche perché uno stimato operatore del settore petrolifero, che ha scelto di restare anonimo, ci rivela che “Gesualdo ha un forte potenziale a olio, giacché è ubicato sullo stesso tema di ricerca di Monte Alpi (in val d’Agri) e Tempa Rossa (valle del Sauro) ”. Tutti siti estrattivi che hanno reso la vicina Basilicata tra i più rilevanti giacimenti di idrocarburi in terraferma dell’Europa occidentale. Ma andiamo con ordine.
Titolari del permesso Nusco sono due differenti società, che operano in join venture. Compagnia Generale Idrocarburi (Co.Ge.Id) spa, che detiene l’80 per cento del titolo minerario, e Italmin Exploration srl, in quota al restante 20 per cento. Sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig) dello scorso ottobre 2017 viene reso noto il trasferimento delle quote di titolarità di alcuni permessi di ricerca – Corana, Fiume Arrone e Nusco – dalla Italmin Exploration srl alla Italmin Energia srl. Ancora in fase di conferimento il permesso Muro Lucano che, comunque, sarà intestato alla neopromossa società Italmin Energia.

TRA FALLIMENTI E ALCHIMIE SOCIETARIE
Cos’è cambiato? La nuova Italmin rileva la vecchia società attraverso una fusione. Non varia l’oggetto sociale, inerente la ricerca, coltivazione e sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi per conto proprio e per conto terzi. Cambiano, invece, capitale sociale e ripartizione delle quote tra soci e titolari di diritti sulle azioni.
Italmin Exploration srl, costituita nel lontano aprile del 1997, aveva un capitale sociale pari a 130 mila euro. La maggior parte dei titoli societari, e dei relativi diritti sulle azioni, era detenuto al 52 per cento da Dove Energy bv – con sede legale ad Amsterdam – per una quota di nominali pari a 67.600 euro. Seguivano Barry James Lonsdale e Mario Panebianco al 10 per cento – quota di nominali pari a 13.000 euro -, Marisa Gagliardi, Martina, Angela e Antonio Panebianco al 7 per cento – 9.100 euro -. L’ultimo amministratore unico, Adriana Gagliardi, sottoscrive il progetto di fusione societaria il 22 marzo 2017.
La nuova Italmin Energia srl, costituita nel maggio 2012, vanta invece un capitale sociale di 10 milioni e 640 mila euro. Le azioni di Dove Energy bv sono precipitate all’8,31 per cento – quota di nominali pari a 884 mila euro -, Marisa Gagliardi detiene l’1,96 per cento – 208.400 euro -, Barry James Lonsdale va all’1,6 per cento – 170 mila euro -, seguito da Martina, Angela e Antonio Panebianco all’1,12 per cento – 119 mila euro -. La fetta più importante delle quote societarie è nelle mani di Mario Agatino Panebianco che controlla materialmente l’84,78 per cento delle azioni, con una quota di nominali pari a 9.020.600 euro. L’attuale amministratore unico, Mario Panebianco, ha tutti i più ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione.
Stando a quanto rivela la nostra fonte “Mario Panebianco è uno tosto, che ha sempre lavorato in join venture. Non sarà in grado di perforare da solo il pozzo di Gesualdo, ma è assolutamente capace di risolvere i problemi organizzativi. La sua strategia è piuttosto semplice: se riesce a portare avanti le pratiche nella titolarità di Co.Ge.Id spa, che Italmin detiene di diritto, andrà in giro a cercare altre compagnie, probabilmente società maggiori, che hanno le competenze e le risorse per trivellare il pozzo Gesualdo 1. A quel punto, una volta venduto l’80 per cento del titolo minerario che era intestato alla Co.Ge.Id spa, sarà piuttosto semplice procedere.” Eh già. Perché nel frattempo, la Co.Ge.Id spa è fallita.

CO.GE.ID SPA ESCE DI SCENA
La Compagnia Generale Idrocarburi è, ormai, un lontano ricordo. La sentenza n.45/16, emessa dal Tribunale di Alessandria il 16 maggio dello scorso anno, mette una pietra tombale su una piccola società attiva nel settore dello studio, ricerca, acquisto e coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi. Partecipata al 95 per cento da Idreg Liguria spa – in liquidazione – e da Hydro Drilling International spa – società attiva in Nord Africa, Europa e Ucraina, dove si occupa di commercio di gas con la Russia – vantava un capitale sociale pari a 10 milioni di euro. Mario Leonardo Marta, nominato curatore fallimentare, è attualmente il solo abilitato a disporre dei permessi di ricerca di cui Co.Ge.Id era titolare. Codogno – in join venture con Edison spa e Irminio srl – Corana e Nusco, in join venture con Italmin Energia srl. Tra questi, il permesso Nusco è quello in fase più avanzata. Il pozzo Gesualdo 1 altro non sarebbe se non un rimasuglio di una ricerca – che dall’Appennino meridionale si dipanava fino al golfo di Taranto – svolta per la Total E&P Italia spa in collaborazione con Fina Italiana spa. Al punto tale che l’istanza, a quanto sembra, all’inizio era stata avviata con Total come proponente principale. Che avrebbe ben pensato poi, in una fase successiva, di lasciare l’espletamento delle pratiche burocratiche nelle mani di Co.Ge.Id spa.
“Ci potrebbero essere altre compagnie disposte ad approfittare del fallimento di Co.Ge.Id” , rivela la nostra fonte. “Del resto, la trafila burocratica è già stata eseguita. Le ubicazioni sono già pronte e il permesso di ricerca, dal punto di vista dell’esplorazione, è già maturo. Chi dovesse acquisire l’80 per cento del titolo minerario si troverebbe con la strada già spianata. Abbattendo, peraltro, i costi iniziali sugli studi geologici già sostenuti da Co.Ge.Id. Il permesso Nusco è dettagliatissimo. Erano più che pronti per perforare il pozzo esplorativo Gesualdo 1.” Anche perché, che esista la possibilità di rintracciare una “scorta a olio” a cavallo tra i comuni irpini di Gesualdo e Frigento non è più un mistero per nessuno.

“CHI NON CONOSCE LA STORIA È CONDANNATO A RIPETERLA”
“L’Appennino meridionale è sempre stato oggetto di particolare interesse per l’esplorazione petrolifera, soprattutto per le numerose manifestazioni superficiali di idrocarburi presenti nell’area. I primi sondaggi vennero eseguiti in prossimità di copiose manifestazioni superficiali di idrocarburi liquidi e gassosi. Nel settore irpino vennero perforati da Agip i pozzi di Sant’Angelo dei Lombardi – 11 pozzi nel biennio 1935-37 – che rinvenirono a bassa profondità (da 286 a 1364 metri) numerose manifestazioni di olio e gas. Durante gli anni ‘50 furono poi perforati una serie di pozzi superficiali da parte di varie società (Sim, Samet, Fondedile, Agip) quali San Mango sul Calore 1 (1953), Castelvetere 1-2 (1955), Remolise 1-2 (1955-56), Nusco 1-2 (1955-57), Irpinia 1 (1954), Serroni 1 (1958, il più profondo, a 2846 metri) e Serroni 2 (1959). […] Durante gli anni ‘70-‘80 la società scrivente, nell’ambito del permesso Guardia dei Lombardi, giunse alla perforazione dei pozzi Ciccone 1 (1982, a profondità di 2673 metri), dopo che Agip aveva già perforato nel 1979 il pozzo Bonito 1d (a profondità di 3107 metri). Cui vanno sommati, nella stessa area, i pozzi Monteforcuso 1-2, Monteverde 1, Taurasi 1, Trevico 1, Ciccone 1 App, Casalbore 1-2.”
A metterlo nero su bianco, attorno agli anni 2000, è la società Edison Gas spa nell’ambito del permesso di ricerca denominato Atripalda, in provincia di Avellino. Il progetto, pubblicato integralmente sul sito Videpi (Visibilità dati esplorazione petrolifera in Italia), dà una percezione chiara degli studi effettuati a partire dal 1935 sulla medesima area in cui in parte insiste il permesso Nusco.
“Grazie ai dati simici e di sottosuolo collezionati negli ultimi decenni sull’area e sulla base dell’esperienza acquisita nella ricerca petrolifera” , prosegue Edison Gas, ”la società scrivente è attualmente fortemente convinta delle possibilità minerarie offerte da questo settore dell’Appennino campano, a tutt’oggi non comprese nella loro interezza. […] Ad esempio, infatti, si può ricordare la presenza di forti concentrazioni di manifestazioni più o meno superficiali di idrocarburi liquidi e gassosi nella zona di Sant’Angelo dei Lombardi. Questo dato ha consentito di focalizzare la ricerca nell’area in tempi passati e, una serie di sondaggi a bassa profondità, hanno rinvenuto abbondanti manifestazioni di olio.”
Ma le mappature riportate da Edison Gas non si limitano affatto al passato. A molti anni di distanza dal permesso Nusco, infatti, la società individua il cosiddetto “lead Gesualdo”. Segno evidente che le conoscenze geomorfologiche, sedimentatesi nel tempo e rimpallate da una società all’altra, conducono a conclusioni che si rivelano piuttosto attendibili sul piano della “fattibilità mineraria”.
“Da una recente revisione delle linee sismiche disponibili sull’area, Edison Gas è in grado di definire attualmente l’esistenza di una zona di interesse minerario meglio definita e denominata come “lead Gesualdo”, ubicata a cavallo tra i sondaggi Bonito 1d e Ciccone 1. Il lead in questione sarebbe costituito da una scaglia di Piattaforma Apula Interna materialmente separata rispetto all’insieme della grossa struttura già investigata sia dai sondaggi prima menzionati, sia da quelli Monteforcuso 1-2. Questo possibile up-lift potrebbe significare un possibile top reservoir a una profondità stimabile sui 1800-2000 metri […] Sulla base di quanto esposto finora, Edison Gas inoltra questa istanza di permesso di ricerca in quanto ritiene di poter proporre, oltre che situazioni minerariamente già abbastanza definite, come il “lead Gesualdo”, e meritevoli dunque di un maggiore approfondimento, anche progetti a più ampio respiro esplorativo su tutta l’area in istanza, per saldare e completare le informazioni minerarie via via raccolte sulle aree limitrofe.”

Piattaforma petrolifera Appennino meridionale

APPENINE OIL TO OIL
Ma la storia delle trivellazioni in Irpinia è legata a doppio filo con quella delle perforazioni nella vicina Basilicata. “La regione campano-lucana” , scrive ancora Edison Gas, ”costituisce una provincia geologica di tradizionale interesse, in cui gli studi di sintesi regionale eseguiti hanno permesso di ricavare un quadro evolutivo e geominerario ben eseguito e di individuare di conseguenza i principali obiettivi di ricerca degli idrocarburi. Edison Gas è presente infatti in questo settore con numerose join venture come quelle stipulate con Agip sulle istanze limitrofe Montecalvo e fiume Ofanto, sulle concessione S. Marco dei Cavoti e Colle Sannita, sul permesso Monte La Rossa e Caldarosa.“
Edison, per citare solo una delle più antiche società energetiche operanti sul territorio italiano, ha portato avanti un’intensa attività esplorativa sull’Appennino meridionale. A partire dagli anni Sessanta ha operato nei permessi Bellosguardo, Palinuro, Altavilla, Benevento, Brindisi di Montagna, Pignola, Acquaviva, Montemiletto, S. Biase, Foiano, Potenza, Savignano Irpino, Avellino, S. Fele, Pietragalla, Guardia dei Lombardi, Vitulano, e altri ancora. La società in questione ha assunto negli anni denominazioni diverse – Idrocarburi Ariano, Idrocarburi Castelgrande, Montecatini Edison – tutte comunque genericamente riconducibili al gruppo Montedison.
”Durante gli anni ‘70-‘80” , ricorda la società, ”l’attività esplorativa ebbe un incremento rilevante, visto il miglioramento e il raffinamento continuo delle tecniche di prospezione geofisica. Infatti, proprio nel settore dell’area considerata, durante la vigenza del Permesso Avellino (1976) vennero registrate circa 58 km di linee sismiche, nel permesso Savignano (1975) 54 km, nel permesso Molinara (1977) 92 km, nel permesso Vitulano 78 km, nei permessi Pietragalla e S. Fele 103 km e infine nel permesso Guardia dei Lombardi circa 377 km che portarono all’ubicazione del pozzo Ciccone 1 (Agip, 1979). […] Infine, nel vigente Permesso Monte La Rossa sono state acquistate e riprocessate circa 245 km di linee sismiche. I risultati positivi ottenuti di recente proprio in quest’ultima area, coi pozzi Monte Alpi 1, Caldarosa 1-1d (Permesso Viggiano), Monte Enoc 1, hanno contribuito a rilanciare la ricerca mineraria in questa provincia geologica. […] I sondaggi, dopo aver attraversato le Unità Lagonegresi, hanno incontrato i carbonati della Piattaforma Apula Interna mineralizzati a olio. Queste importanti scoperte si inseriscono nel quadro dei recenti successi ottenuti nell’Appennino meridionale da varie società, concretizzatisi nella definizione dei campi a olio di Monte Alpi, Costa Molina e Tempa Rossa, dove il reservoir è sempre rappresentato dalla serie carbonatica della Piattaforma Apula Interna.”

IL MECCANISMO DEL “DO UT DES”
Stessa piattaforma geologica, dunque, medesimo destino. Con una particolarità, che merita di essere sottolineata. Le condizioni geologiche dell’Appennino meridionale sono particolarmente complesse. La ricerca e prospezione di idrocarburi liquidi e gassosi non è sempre agevole. Al di là di poche, rare, manifestazioni minerarie superficiali, i pozzi perforati hanno una profondità rilevante. E le tariffe richieste non sono esattamente alla portata di tutti. Il che significa che molto spesso le società, per ottimizzare i costi, scambiano tra loro “informazioni geologiche” pur di raggiungere l’obiettivo minerario predeterminato. La testimonianza è offerta da numerosi studi pubblicati nell’ambito del progetto Videpi. Alcuni, piuttosto datati, riflettono un meccanismo arcaico. Eppure semplice, come un “do ut des”.
In breve, la società intenzionata ad accaparrarsi un permesso di ricerca, acquista da altre aziende del settore – che si suppone abbiano già effettuato ricerca di idrocarburi nella medesima area di interesse minerario – le cosiddette “linee sismiche”. Partendo dal presupposto che la sismica di riflessione è una tecnica di indagine geofisica che serve, in buona sostanza, a effettuare una Tac del sottosuolo per riconoscere in via preliminare informazioni utili sull’assetto strutturale dell’area indagata – ivi compreso per individuare eventuali addensamenti di idrocarburi nel sottosuolo – il suo costo non è a buon mercato. E la modalità di interpretazione dei dati, molto spesso, è fondamentale quasi quanto la conduzione dell’indagine in sé.
Citiamo un caso, quello del permesso Aquilonia (1984-1992) – ubicato tra le provincie di Potenza, Avellino e Foggia – riportato, ancora una volta, sulla piattaforma Videpi. Le società Fina Italiana spa, in partnership con Bp Petroleum Development ltd, Enterprise Oil Exploration ltd e Total Mineraria spa scrivono: ”la difficoltà principale che si incontra nella esplorazione di queste aree è principalmente dovuta alla mancanza di continuità del responso sismico al di sotto del complesso alloctono. Lo sforzo maggiore quindi, nella fase di esplorazione, consisterà nel tentativo di migliorare i risultati della campagna sismica sia nella fase di acquisizione, sia nella fase di trattamento dei dati. Per realizzare ciò si procederà all’acquisizione dei dati sismici già esistenti nell’area sia mediante acquisto che mediante scambio. […] Per lo studio in questione, che sarà condotto nei primi sei mesi di vigenza del permesso, si prevede una spesa di 100.000.000 di lire, ivi compresa l’acquisizione dei dati disponibili presso altre società.”
Ma qual è il costo attuale della sismica di riflessione? ”Una linea sismica” , suggerisce la nostra fonte anonima, ”oggi costa dai 13 ai 15 mila euro a kilometro lineare. Questo vuol dire che servono investimenti per centinaia di migliaia di euro solo per effettuare gli studi sismici preliminari. E la perforazione del pozzo, è solo l’ultimo step.”

QUALI SONO GLI STEP PRECENTI?
Una piccola o media società del settore, prima di pervenire alla perforazione di un pozzo esplorativo, parte ineludibilmente da ipotesi geologiche. Acquisisce e interpreta dati per verificare o modificare tali ipotesi. Li gestisce per ridurre le incertezze geologiche, per quantificare e predire un potenziale giacimento di gas o petrolio non ancora scoperto. Infine, valuta le percentuali di successo e predispone una baseline di progetto, valida sul piano geologico e su quello della fattibilità economica. Dei costi per l’acquisizione e lo scambio delle linee sismiche abbiamo già parlato. Una volta sostenute le spese iniziali, devono essere avviate le pratiche burocratiche. Che, chiaramente, non sono a buon mercato.
La società proponente richiede al ministero dello Sviluppo economico (Mise) un’istanza di permesso di ricerca. Rilascia un programma di lavoro definito e precise garanzie di affidabilità tecnica ed economica. Dall’autorizzazione del Mise – che conferisce l’autorizzazione d’intesa con la Regione interessata – l’istanza viene pubblicata sul Bollettino ufficiale. Da quel momento in poi decorrono tre mesi. Una sorta di “orologio biologico” che scandisce, ancora una volta, i tempi del rilascio del titolo minerario. Se non ci sono società concorrenti interessate, l’istanza diviene effettiva. In caso contrario, si va al ballottaggio o si procede all’accordo in join venture. Accordato il titolo minerario, l’orologio ricomincia a scandire i tempi. La società deve necessariamente cominciare a eseguire il programma di lavoro. Vengono effettuate rilevazioni geologiche e geofisiche e, i dati ottenuti, vengono rielaborati e interpretati.
Sulla base dell’appraisal tecnico, se la compagnia petrolifera decide di eseguire la perforazione di un pozzo esplorativo, avvia tutti gli iter previsti dalla legge. A seconda della posizione del pozzo, possono essere utilizzate una torre di perforazione, una nave di perforazione, una piattaforma semisommergibile, una piattaforma di perforazione o un sistema flottante di produzione. A quel punto, se viene individuato un giacimento di idrocarburi, vengono perforati nuovi pozzi – detti di delineazione – per stabilire la quantità di olio recuperabile, i meccanismi di produzione e il tipo di struttura. E i costi di sviluppo, chiaramente, lievitano e vanno a sommarsi a quelli precedentemente sostenuti. Dalla fase di esplorazione si passa, attraverso una nuova autorizzazione del Mise – sempre d’intesa con la Regione interessata – a quella di coltivazione del giacimento. Con nuovi costi per realizzare le infrastrutture di produzione e di trasporto, più quelli relativi agli interventi di manutenzione e ricondizionamento. La cessazione – e dunque la decisione di interrompere l’attività estrattiva – corrisponde, di solito, al momento in cui i costi eguagliano i ricavi. La compagnia dovrà, dunque, occuparsi della rimozione delle strutture utilizzate per la coltivazione e della bonifica dell’area interessata.

L’ESPLORAZIONE È UN INVESTIMENTO A RISCHIO
”Per ottenere un’autorizzazione per la fase esplorativa, in Italia si attende oltre il 70 per cento in più rispetto alla media globale. Il ritardo aumenta ulteriormente per la fase di coltivazione, dove un’autorizzazione può essere concessa in oltre 9 anni, contro una media di 4 all’estero. Si tratta di ritardi che vanno ad aumentare i costi, in particolare quelli finanziari per lo sviluppo dei giacimenti.”
A ribadirlo in chiare lettere è la X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei Deputati, in un dossier pubblicato nel corso del 2013. È uno dei documenti più recenti in materia di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi nel nostro Paese. Una fotografia dello stato di crisi italiano – corredato dalle opportune fonti legislative – con un’utile comparazione con le esperienze europee e internazionali. L’esplorazione, di fatto, è un investimento a rischio. Che implica costi insostenibili per piccole e medie società del settore, costrette molto spesso a operare in join venture. Scelta, in effetti, avallata anche da colossi come Eni, Total, Shell.
Perché, oltre alle spese burocratiche per avviare gli iter precedentemente descritti, le piccole e medie compagnie petrolifere sono obbligate al pagamento di congrue garanzie fideiussorie. Un costo in più. Che va a sommarsi alle centinaia di migliaia di euro già spese per gli studi preliminari. La circolare ministeriale del 30 ottobre 2012 (“Disposizioni in merito alle garanzie finanziarie per le attività di chiusura mineraria di pozzi esplorativi, di ripristino delle aree interessate da detti pozzi esplorativi da realizzare nell’ambito di permessi di ricerca e di concessioni per la coltivazione di idrocarburi in terraferma”), fornisce direttive chiare. Relative agli importi che le società devono versare per poter effettivamente realizzare un pozzo esplorativo. I soggetti obbligati a presentare tali garanzie finanziarie – prima del rilascio delle relative autorizzazioni – sono le società che hanno un capitale sociale versato pari o inferiore a 10 milioni di euro, purché superiore a 120 mila euro. Gli importi variano a seconda delle tipologie dei pozzi in terraferma e dell’area considerata. Per un pozzo trivellato fino alla profondità di 2500 metri, il costo della fideiussione è pari a 1 milione di euro. Se la profondità raggiunge quota 4000 metri, l’importo sale a 2 milioni e mezzo. Per perforare nelle argille scagliose dell’Appennino, la garanzia è invece di 50 mila euro. Per tipologie differenti di perforazione, gli importi sono stabiliti dall’Unmig sulla base del valore economico dei lavori di chiusura mineraria e di ripristino da realizzare. In più l’Unmig può rideterminare il valore della garanzia in caso di variazione del programma di lavoro.
Se la ratio della direttiva è quella di tagliare le gambe a eventuali speculatori, resta il fatto che ”in Italia, molta dell’attività di ricerca consiste in quello che viene definito “l’upstream dell’upstream” .
In sostanza, come il dossier elaborato dalla X Commissione evidenzia ”aziende, anche medie e piccole, vanno in cerca di qualsiasi traccia di petrolio (e anche di gas) con l’obiettivo di ottenere le concessioni per le estrazioni per poi cederle ad altri gruppi che si occuperanno della trivellazione e della produzione. Ma, nel frattempo, spesso vengono strozzate dalla burocrazia.”

PER UN PUGNO DI PETROLIO
Eppure c’è chi sceglie di investire. Consapevole del fatto che, se i consumi energetici aumentano, mentre il prezzo del petrolio al barile al momento è bloccato, prima o poi la situazione cambierà. E, nel caso, è meglio farsi trovare preparati. È il caso dei “big” del petrolio. ”Tempa Rossa” , sottolinea la nostra fonte anonima, “è il più grande giacimento di petrolio dell’Europa occidentale. Probabilmente, Total ne ha percepito in ritardo le immense potenzialità. È sulla stessa latitudine di Monte Alpi, in val d’Agri (sulla medesima piattaforma geologica, è bene ricordarlo, su cui insiste il permesso Nusco, ndr). Il progetto condotto sull’Appennino meridionale in partnership con Fina Italiana spa, durato quasi dieci anni, ha condotto a un successo clamoroso sul piano della ricerca di idrocarburi nel Sud Italia. Il budget preventivato a inizio dei lavori era di circa tre miliardi di euro. Ma Tempa Rossa vale la spesa. Se ne sono accorti anche Mitsui E&P Italia B srl. e Shell Italia spa. Oggi, la potenzialità di quel giacimento, supera il miliardo di barili di petrolio. Un’enormità per chi è ancora convinto che l’Appennino meridionale non abbia più nulla da offrire.”
Poi c’è Eni spa. Particolarmente attiva sul suolo lucano, recentemente ha chiesto al Mise e alla Regione Basilicata la possibilità di modificare il programma dei lavori di ricerca e sviluppo della concessione di coltivazione “val d’Agri”. Concessione di cui, è bene sottolinearlo, è contitolare insieme a Shell Italia spa. Scatenando, di contro, le reazioni dei comitati ambientalisti attivi in Basilicata. Nella richiesta pubblicata sul Buig dell’ottobre scorso, Eni chiede conferma della perforazione dei pozzi S. Elia e Serra del Monte-Montemurro. Si prevede, inoltre, la trivellazione dei pozzi Cerro Falcone, Monte Enoc 6 Or, Monte Enoc 7 Or – i cui iter autorizzativi sono ancora in corso – nonché l’avallo per i pozzi Caldarosa 2 e Caldarosa 3. “Nell’istanza di variazione del programma dei lavori di ricerca e sviluppo” , scrive il comitato ScanZiamo le Scorie “si fa presente, inoltre, che la modifica si rende necessaria in quanto l’Eni intende perforare un nuovo pozzo, denominato Alli 5, da realizzare nella piazzola prevista per i pozzi S. Elia 1 e Cerro Falcone 7, con l’obiettivo di ottimizzare il recupero dei volumi dell’area a nord-ovest dei pozzi Alli 1 Or, Alli 2 Or e Alli 4 Or. “

L’AGO DELLA BILANCIA RESTA IL PREZZO DEL PETROLIO AL BARILE
Gli ambientalisti lucani sostengono che l’attuale interesse petrolifero delle multinazionali già attive sul suolo della Basilicata sia in netto contrasto con la Sen varata dal governo Gentiloni. In parte è vero. In effetti, nel documento governativo, si fa specifico riferimento a un cambio di passo nell’ottica di una progressiva decarbonizzazione dei consumi energetici. Per favorire, al contempo, l’aumento e lo sfruttamento massiccio delle energie rinnovabili. Ma tutto questo ha senso solo se il prezzo del petrolio al barile resta contenuto entro i limiti attuali.
Allo stato il petrolio costa 57.99 dollari al barile WTI (West Texas Intermediate) e 64.69 dollari se facciamo riferimento al Brent Crude Oil, petrolio grezzo scoperto nel mare del Nord a largo di Aberdeen, in Scozia. Questi sono i prezzi delle due tipologie di petrolio più diffuse. L’Opec (Organization of the petroleum exporting countries), l’organizzazione dei dodici maggiori esportatori di petrolio a livello mondiale, stabilisce attraverso regolari incontri il livello delle quote di produzione. Al fine di mantenere stabile il valore sul mercato. I rapporti mensili dell’Aie (Agenzia internazionale per l’energia) e dell’Opec contengono importanti informazioni sulla domanda e offerta di greggio a livello globale. Entrambe elaborano stime sull’andamento futuro del mercato petrolifero.
”I titoli azionari legati al settore petrolifero” , rileva BorsaInside ”come quelli di Eni, Enel ed Erg, solo per citarne alcuni, hanno il difetto di non seguire esattamente il prezzo del greggio, ma di essere condizionati nel loro valore anche dalle dinamiche interne all’azienda. La quotazione del petrolio, infatti, non è mai stabile. E, proprio grazie alle oscillazioni, è possibile guadagnare. La bravura sta nel prevedere quale sarà la quotazione del petrolio al termine di un intervallo di tempo. Questa capacità non dipendete assolutamente dal caso o dalla fortuna. Se il prezzo del petrolio aumenta o diminuisce non è dovuto alla casualità. Ma è, invece, un effetto di specifiche indicazioni macroeconomiche o dell’impatto di determinate notizie (si pensi, ad esempio, alle indiscrezioni su una possibile guerra nei paesi del Golfo). Per questo motivo, prevedere quale sarà la quotazione del petrolio significa analizzare preventivamente tutta una serie di dati. Quello che occorre, in poche parole, è una visione strategica.”
Una vision che impone all’Italia, stando agli ultimi trend, di agire secondo i canoni della convenienza. Con le stime attuali, è più conveniente acquistare petrolio. Bloccando l’esplorazione sul suolo del Belpaese, o ritardandola fin dove è possibile, finché il prezzo del greggio al barile non sarà nuovamente proibitivo. Con questa chiave di lettura, in sostanza, la Sen appare scandita al ritmo di un attendismo cronico. Più che le buone intenzioni col marchio green, contano i mercati globali. Con un prezzo del petrolio al barile che, con molta lentezza, sta ricominciando a salire. Attirando, e non poteva essere altrimenti, l’interesse dei piccoli risparmiatori e degli azionisti in borsa. Oggi, l’esplorazione può attendere. E l’Appennino meridionale può, almeno in parte, dormire sonni tranquilli. Ma cosa accadrà quando il prezzo del petrolio al barile sfiorerà o supererà i 100 dollari?

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Autore:

Giornalista, caporedattrice del periodico Terre di frontiera. Specializzata in tematiche ambientali. Crede nel cambiamento e nella possibilità di ciascuno di contribuirvi.