Intervista ad Alessandro Bratti, presidente della Commissione bicamerale ecomafie.
L’intervista al presidente della Commissione bicamerale ecomafie, nasce dall’esigenza di fare chiarezza su un tema delicato e controverso.
Di navi dei veleni si parta ormai da circa trent’anni. Se ne parla, è vero. Anche se i confini tra il sospetto e la certezza, tra il disinganno e il terrore – che una prassi agghiacciante possa aver preso piede anche grazie al silenzio-assenso delle istituzioni – non sono mai stati davvero definiti. Quanto sono attendibili le dichiarazioni di pentiti del calibro di Francesco Fonti? È verificabile questa prassi dell’affondamento di imbarcazioni mercantili contenenti rifiuti tossici e radioattivi? Lo Stato sapeva? E i Servizi segreti italiani hanno collaborato con la giustizia o, piuttosto, l’hanno aggirata per perseguire interessi particolari? I documenti desecretati a febbraio dalla Commissione bicamerale non dirimono dubbi. Piuttosto sedimentano l’indistinto. Perché la sensazione che si avverte alla lettura di quegli atti, è che la verità sia ancora un miraggio lontano. Già, la verità. Quella scomoda, quella in grado di far emergere fatti e notizie che se rivelati potrebbero mettere in crisi i capisaldi stessi della ragion di Stato, quella da tacere. C’è chi, queste verità, le ha pagate care. Come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che hanno sacrificato la propria esistenza per raggiungere la verità. Ma oggi le domande senza risposta sono ancora tante. Abbiamo inseguito il presidente Bratti per circa un mese. Perché, per noi, avere la possibilità di confrontarci con chi negli ultimi anni ha dato impulso alla declassificazione dei documenti sulle navi a perdere, era un passaggio necessario e fondamentale. Non gli abbiamo chiesto di rivelarci verità nascoste. Gli abbiamo posto diciotto semplici domande.
Semplici per chi, prima da membro della Commissione Pecorella, poi da presidente del medesimo istituto, la questione dovrebbe conoscerla a menadito. Le risposte di seguito riportate forse basteranno a chi – di navi dei veleni – non ha mai sentito parlare. Di certo, però, non aiutano a scardinare le complessità del fenomeno. E non fanno chiarezza. Avremmo voluto parlare con l’uomo, col ricercatore che in passato si è distinto per l’impegno sulla sostenibilità ambientale. Abbiamo trovato il politico garante di quelle istituzioni che, a distanza di anni, sembrano continuare ad agire come monadi. Perché se emerge un traffico internazionale di rifiuti connesso a flussi di armi e materiali strategici, la risposta «non è di pertinenza di questa Commissione», forse non basta. Men che mai, regge il «come sopra». Quali accertamenti sui fondali del Mediterraneo sono stati oggettivamente portati avanti? Chi è coinvolto? Quali le responsabilità? Come è possibile che il plurindagato faccendiere Giorgio Comerio sia libero di andare a zonzo per la Tunisia, il Nord Corea, o altrove, impunito e in piena libertà? L’insufficienza, resta. Così come il senso di inadeguatezza. Resta il fatto che, ad oggi, una collaborazione interistituzionale tra le varie commissioni che si occupano di questioni delicate come il traffico d’armi, di rifiuti, di materiale strategico, stenti ad avviarsi. Restano le vittime. E gli impuniti. Tra questi, spiccano aziende di Stato. Forse non basta proclamarsi paladini delle verità portate a galla. Forse, un atteggiamento simile, è più o meno spendibile in termini elettorali. Ma in termini istituzionali, nell’accezione più alta, sicuramente no.
Presidente Bratti, la questione relativa alle navi dei veleni tiene banco ormai da quasi trent’anni. Rappresenta, di fatto, uno dei misteri italiani più indagati di sempre. Uno dei più intrisi di complessità. Non è un mistero, tuttavia, che il caso delle navi a perdere sia collegato a vario titolo ai traffici internazionali di armi, rifiuti tossici e radioattivi. E non è un caso che, al di là della flessibilità e illiceità di alcuni commerci privati, molto spesso gli interessi perseguiti fossero pubblici. 0 comunque controllati, direttamente o indirettamente, da soggetti collegati alle istituzioni. Il pentito Francesco Fonti ha sostenuto a più riprese di aver avuto contatti con i Servizi segreti. Alcuni dei nomi fatti ricorrono anche negli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di llaria Alpi e Miran Hrovatin. Il ministero dell’Interno ha mai accertato se nelle località protette gestite dal Servizio di protezione – come quella di Rovereto – il Fonti abbia mai effettivamente avuto contatti con gli agenti dei Servizi?
La Commissione ha affrontato nel corso della scorsa legislatura il complesso tema delle navi a perdere, analizzando compiutamente le dichiarazioni di Francesco Fonti. Sul tema sono state prodotte due relazioni, liberamente consultabili sul sito della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, XVI legislatura. Per guanto riguarda le diverse dichiarazioni che Francesco Fonti ha rilasciato sul tema dei traffici internazionali dei rifiuti queste non hanno trovato riscontri da parte di fonti istituzionali o documenti ufficiali.
I Servizi hanno collaborato con la Procura della Repubblica di Reggio Calabria nel corso delle indagini a carico del faccendiere italiano Giorgio Comerio, accusato di traffico illecito di rifiuti tossici e radioattivi nel procedimento penale n.2114/94. Ma spesso, tuttavia, le dichiarazioni dei pentiti ci hanno restituito un’immagine meno candida delle attività svolte dai Servizi. C’è chi ha parlato del coinvolgimento diretto di alcuni agenti nel traffico illecito dei rifiuti. Ci può chiarire quali sono le responsabilità dei Servizi in questa questione? Cosa è emerso dalle indagini finora espletate?
Secondo quanto ha ricostruito la Commissione fino ad oggi, i Servizi di sicurezza hanno svolto diversi compiti istituzionali, monitorando i traffici illeciti, soprattutto di armi. In questo ambito emergono, tra i documenti acquisiti dalla Commissione e recentemente declassificati, alcune note informative di particolare interesse, con informazioni raccolte, anche in epoca recente, dai Servizi di sicurezza, soprattutto l’ex Sismi, oggi Aisi. Durante l’approfondimento svolto nel corso della scorsa legislatura è emerso uno stanziamento di fondi negli anni Novanta a favore dei Servizi per poter contrastare i traffici illeciti di rifiuti, con una mirata attività informativa, il Sismi ha poi fornito negli anni Novanta una copiosa documentazione alle procure interessate sul tema, poi acquisita anche dalla Commissione. Per quanto riguarda l’interesse del Sismi per Giorgio Comerio, stando alle note declassificate, l’attenzione riguardava soprattutto l’ambito del commercio e intermediazione di materiale militare, con particolare riferimento ad una presunta fornitura di missili all’Iran negli anni Ottanta.
Esiste davvero questa base segreta della Marina presso il porto di Livorno? Quale sarebbe stata la sua funzione?
La Commissione non ha nessuna informazione su questo tema.
Stando ai documenti recentemente desecretati, tra il 1992 e il 1993, parte dei rifiuti radioattivi provenienti dal Centro Enea di Rotondella (Trisaia) sarebbero stati smaltiti illecitamente. Anche in questo caso il pentito Fonti ha parlato di una longa manus dei Servizi. E della distruzione di un fascicolo, composto da tre atti, inerente proprio rimpianto della Trisaia. Cosa può dirci su questo punto e, più in generale, sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi provenienti dagli impianti ubicati sul territorio nazionale?
Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi di Rotondella la Commissione non ha trovato riscontri specifici sui racconti di Francesco Fonti, come già ho spiegato. Sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi in Italia la Commissione sta facendo un approfondimento in questi mesi, soprattutto sul caso del deposito della ex Cemerad. Nei mesi scorsi è stata posta sotto sequestro
la documentazione ancora presente nei capannoni di Statte, per una analisi.
Dunque c’è ancora da attendere per ottenere riscontri. Per quanto riguarda invece gli inabissamenti di mercantili nel Mediterraneo, di navi dei veleni parla un dossier di Legambiente del 1995. Nel documento viene citato l’affondamento sospetto di tre navi: Jolly Rosso, Anni, Euroriver. Negli stessi anni, i diversi filoni di inchiesta avviati dalle procure di Matera, Napoli, Reggio Calabria, Catanzaro e Padova mostrano quanto il fenomeno abbia assunto una portata enorme. Sono oltre un centinaio le navi affondate tra il 1988 e il 1995 nelle acque territoriali italiane. Quali accertamenti sono stati finora espletati per il riconoscimento in mare di questi relitti?
La Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti si è occupata di questi temi fin dagli anni Novanta, con la presidenza di Massimo Scalia, in due decenni sono stati auditi centinaia di testimoni e acquisiti moltissimi documenti.
Il problema centrale è quello di dimostrare – al di là di ogni ragionevole dubbio – l’utilizzo di navi da affondare come depositi di rifiuti. Su questo punto, come lei ricorda, vi sono state molte inchieste della magistratura, tutte terminate con archiviazioni, stando a quanto acquisito fino ad oggi dalla Commissione. Come è noto non è mai stata ritrovata nessuna nave affondata dolosamente con un carico di rifiuti pericolosi (escludendo ovviamente i casi di carichi dichiarati). È la famosa smoking gun che al momento manca.
Ma è stato possibile reperire tutti i registri di carico delle navi? In sostanza, nel Mar Mediterraneo giacciono relitti che celano rifiuti tossici o radioattivi?
Non è possibile al momento confermare o escludere questa ipotesi. Ma è bene sottolineare che fino ad oggi non sono stati acquisiti elementi concreti e inoppugnabili. Dobbiamo però ricordare che se sappiamo ancora poco sugli affondamenti sospetti, abbiamo prove certe e gravi sui traffici transfrontalieri di rifiuti dai paesi europei verso i paesi africani e latino-americani. Una quantità enorme di scorie, spesso pericolose, che imprenditori senza scrupoli hanno cercato di smaltire abusivamente negli anni passati.
Proprio uno di questi relitti nel 2009 è stato oggetto di un accertamento particolareggiato. Sto parlando del Cunsky. Secondo il pentito Fonti questa nave sarebbe stata affondata a largo del porto di Cetraro con a bordo 120 fusti di scorie radioattive. Ma una missione governativa, nello stesso anno, ha ribadito che non si tratta del Cunsky ma del piroscafo Catania, silurato nel 1917. È davvero così? Come è possibile confondere relitti affondati a diverse miglia di distanza l’uno dall’altro?
La Commissione nel corso della XVI legislatura ha acquisito la documentazione ufficiale delle indagini della magistratura calabrese – la dda di Catanzaro – che ha escluso categoricamente la presenza della Cunski nel punto indicato dai rilievi in mare del 2009.
Perché la Commissione che lei presiede non ha ancora pubblicato una mappa dettagliata delle navi affondate nel Mediterraneo?
Trova moltissime informazioni, anche sulle singole navi, nelle due relazioni citate, pubblicate quattro anni fa e presentate in Parlamento. Si tratta di informazioni derivanti dalla documentazione acquisita, dalle audizioni realizzate e dalle attività d’inchiesta svolte nel corso della XVI legislatura.
Sì, ma al netto delle documentazioni già pubblicate, lo stoccaggio e smaltimento dei rifiuti tossici industriali continua a rappresentare un elemento di criticità per il nostro Paese. Specie se i rifiuti da smaltire provengono da aziende di Stato. O che sono state tali negli anni di riferimento. Presidente, cosa può dirci sul conto di Cesarina Ferruzzi che ordinò di caricare alcune navi per conto della Monteco?
Cesarina Ferruzzi è stata più volte audita negli anni passati. Ha sicuramente avuto, come professionista, un ruolo di rilievo nella gestione dei rifiuti tornati in Italia alla fine degli Ottanta, tema oggi oggetto di una specifica attività d’indagine di questa commissione. In quel contesto la dottoressa Ferruzzi ha seguito le fasi di raccolta in Libano dei rifiuti industriali, il trasporto attraverso alcune navi e la successiva gestione in Italia, per conto della società Monteco.
Se il rifiuto è di Stato, come si fa a circoscrivere le responsabilità ed eventualmente a punire i colpevoli?
Su questo punto la Commissione sta svolgendo specifici accertamenti che verranno resi noti con una relazione finale.
Gli elementi di indagine emersi in questi anni hanno aiutato a ricostruire parzialmente le rotte del traffico internazionale di armi e rifiuti pericolosi. Nel settembre 1992 vengono fornite al Sisde informazioni in merito a contatti tra soggetti italiani e autorità somale. Ma la Somalia non è l’unico approdo. Compaiono anche Sierra Leone, Sud Africa, Libano. Proprio qui, in uno studio condotto da Greenpeace e dal Sedra – Accademia dell’ambiente e dell’energia per lo sviluppo e le ricerche scientifiche libanese – si sostiene che «una parte dei rifiuti tossici introdotti in Libano provengono dalla catastrofe di Seveso». I dossier libanesi parlano di container densi di rifiuti tossici. Dicono che l’Italia avrebbe offerto 250 dollari per tonnellata, per un giro d’affari superiore ai 75 milioni di dollari. Affermano persino che i 15.800 barili importati in Libano nel 1987 non sarebbero tornati in Italia, così come previsto, ma sarebbero stati smaltiti illegalmente sul suolo libanese. Cosa si può ancora aggiungere sulla natura di questi traffici? Sono emerse nuove rotte?
Anche questo punto, che riguarda il tema dei traffici transfrontalieri, è oggetto di approfondimenti ancora in corso.
Ma si è riusciti, a distanza di oltre trent’anni, a delineare una geografìa del traffico internazionale di rifiuti tossici e radioattivi?
Come sopra.
Cosa si sa dei traffici di materiali di interesse strategico?
Il tema del traffico di armi non è di competenza di questa Commissione.
In realtà, con la dicitura materiale strategico non intendevo riferirmi al traffico di armi, ma ai flussi di elementi – come l’uranio, plutonio, torio – che sarebbero stati indirizzati verso altri Paesi per uno loro smaltimento o un successivo utilizzo. Peraltro, dai documenti recentemente desecretati emerge in maniera ancora più nitida la centralità di Giorgio Comerio. L’ingegnere è accusato di contrabbando d’armi, riciclaggio di danaro, traffico e smaltimento illecito di rifiuti tossici e radioattivi. La Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha tentato a più riprese di ricostruire i traffici, le attività, le persone che a vario titolo hanno collaborato con Comerio e con le imprese a lui collegate. Ma c’è un aspetto particolare. Dal 1978 al 2002 il faccendiere ha tentato a più riprese di accreditarsi coi governi di diversi Paesi – Somalia, Nigeria, Sierra Leone, Iran, Corea del Nord – per ottenere finanziamenti ai suoi progetti e per alimentare i propri traffici. La proposta era quella di sparare a 30 o 40 metri di profondità rifiuti tossici e scorie radioattive attraverso dei siluri posizionati su comuni mercantili. Si sa se queste sperimentazioni abbiano mai avuto luogo?
Le informazioni in possesso della Commissione sono le stesse contenute dei documenti declassificati. Non è ovviamente possibile, con gli strumenti parlamentari, anche d’indagine, verificare notizie che riguardano altri paesi e in modo particolare la Corea del Nord. Diverse fonti aperte – articoli di giornale, documenti di Università, Ong e centri studi -parlando di questi fatti.
Il Comerio ha preso parte anche allo smaltimento dei residui bellici del primo conflitto del Golfo?
Come ho già spiegato, il tema del traffico di armi non è di competenza di questa Commissione.
Ancora una volta va fatta una precisazione presidente. Se di residui bellici si tratta, la dicitura armi non è congrua. Si tratta in effetti di armi utilizzate più di vent’anni fa, residui per l’appunto, che oggi però sono a tutti gli effetti rifiuti speciali pericolosi che dovrebbero essere smaltiti tenendo conto delle normative internazionali vigenti sulla materia. E poi, come è possibile che un soggetto che ha accumulato avvisi di garanzia a Lugano, nel Principato di Monaco e in diverse procure italiane, sia libero di partecipare alle operazioni di smaltimento dei rifiuti tossici in Nord Corea? Cosa si sa delle ultime attività avviate dal Comerio in Tunisia a partire dal 2008?
Queste in formazioni riguardano presunte attività di Comerio in paesi esteri, dove è molto difficile raccogliere informazioni, in ogni caso alcuni aspetti della vicenda Comerio sono attualmente all’attenzione della Commissione.
In definitiva, la fenomenologia delle navi a perdere coinvolge svariati interessi strategici. Probabilmente per risolvere la questione si dovrebbe puntare su una collaborazione interistituzionale. L’obiettivo comune dovrebbe essere quello di cercare la verità, nonostante tutto. Ma se ad essere coinvolte nell’accertamento del reale sono quelle istituzioni che hanno consapevolmente scelto di mantenere il segreto, se, per intenderci, i controllori sono in parte coloro i quali avrebbero dovuto essere controllati, quale garanzia di verità ci resta? Presidente, quanto conta per lei la verità?
La verità è un concetto complesso. Esiste una verità giuridica, che ha regole ben precise per essere dimostrata, e che ci dice che fino ad oggi nulla di significativo è emerso che faccia pensare ad un traffico più o meno organizzato di rifiuti che abbia portato ad affondamenti di navi o comunque a scambi fra armi e rifiuti. Poi esistono fatti successivi dimostrabili che ci inducono a pensare che molto ci sia ancora da scoprire sul tema. Sono passati molti anni e forse oggi è più facile acquisire qualche elemento di conoscenza in più.
Non così facile, a quanto pare. Mi permetta un’ultima domanda. La verità, accompagnata dal senso di giustizia, può prevalere sulla necessità di salvaguardare fatti e notizie che, se divulgati, potrebbero mettere in pericolo la sicurezza dello Stato? In definitiva: la ragion di Stato, per potersi affermare e sostanziare, ha per forza bisogno che alcune verità vengano taciute?
In senso generale ritengo che la segretezza se è utile a salvaguardare la sicurezza dello Stato sia non solo giusta ma doverosa. Altra cosa poi è a distanza di un tempo ragionevole rendere note le diverse vicende. Anche questo credo sia un compito che lo Stato deve svolgere.