Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Puglia, lavoratori stranieri comprano contratti per procedere a regolarizzazione

Non sono bastate le lacrime della ministra delle Politiche agricole alimentari e forestali, Teresa Bellanova. Né gli strali lanciati dalle opposizioni al Governo centrale. La realtà è che il processo di regolarizzazione dei lavoratori stranieri – inserito nel recente Decreto Rilancio – non sta producendo gli effetti sperati.

Specie se i destinatari ultimi del provvedimento, i migranti irregolari impiegati in agricoltura o nel settore del lavoro domestico, troppo spesso non riescono neppure a formalizzare l’istanza d’emersione. Schiacciati dal peso della burocrazia e dei cavilli tecnici. «Ormai si è scatenata una caccia senza quartiere al permesso di soggiorno», dice il segretario regionale della Flai Cgil Puglia, Azmi Jarjawi. «E a farla da padrone sono sempre loro: i caporali.»

I numeri delle istanze di regolarizzazione, ad oggi, ci confermano che la maxi sanatoria procede in sordina rispetto ai risultati attesi. O, almeno, a quelli ipotizzati. Segretario, cosa sta andando storto?
Diciamoci la verità: siamo ancora molto lontani dagli obiettivi che il Governo si era posto. In teoria, avrebbero dovuto beneficiare del provvedimento circa 220 mila lavoratori stranieri. In alcuni casi il numero è salito fino a superare le 500 mila unità. Queste erano le stime del Governo. Ma le domande pervenute sono ancora troppo poche rispetto ai numeri preventivati. Si pensi che ad oggi sono poco più di 30 mila i lavoratori che hanno effettivamente avviato la procedura di regolarizzazione. Tra questi, oltre 29mila sono lavoratori domestici. Innanzitutto chiediamo: perché dai processi di regolarizzazione vengono esclusi, ad esempio, coloro che lavorano nell’edilizia o nell’artigianato? Perché la previsione non viene estesa a tutti i comparti anziché privilegiarne, in linea teorica, solo alcuni? In secondo luogo, se di settore agricolo si parla, il provvedimento è indubbiamente limitato. Ha un respiro corto.

Per quale ragione?
Per beneficiare delle procedure previste dalla cosiddetta maxi sanatoria lo straniero dovrebbe teoricamente lavorare a tempo determinato e continuativo presso il medesimo datore di lavoro che presenta l’istanza di regolarizzazione. Questo nell’agricoltura vera, fatta anche di raccolta e non di sola trasformazione del prodotto, non accade praticamente quasi mai. Perché soprattutto in un territorio ricco di produzioni agricole come quello pugliese, la maggior parte dei braccianti lavora saltuariamente per più aziende, o per più datori di lavoro, nel corso della medesima campagna di raccolta. Magari per cinque giorni da una parte, per dieci giorni da un’altra ancora, e così via. Trovandosi, in tal senso, nell’impossibilità di soddisfare i requisiti imposti dalla normativa. E ciò vale tanto per i braccianti quanto per gli stessi datori di lavoro.

Datori di lavoro che, secondo la norma, devono dimostrare di possedere un reddito imponibile minimo non inferiore a 30 mila euro.
Esattamente. Ma il 95 per cento delle aziende agricole non vanta affatto redditi di questa portata. O magari non li dichiarano. Fatto sta che la previsione esclude tutte le piccole imprese che lavorano sul territorio.
Come se non bastasse, il ministero del Lavoro non si è ancora espresso sui rapporti di lavoro pregressi e i contributi dovuti. I nostri uffici sono quotidianamente invasi da lavoratori che, legittimamente, ci chiedono maggiori informazioni. Tutti esigono maggiore trasparenza nelle procedure. E aspettano direttive precise, spesso invano.

E si tratta, per la maggior parte, di coloro che lavorano in ambito domestico.
Sì, il che riflette ampiamente il dato nazionale. A tutt’oggi sono pochissime le domande di emersione partite da braccianti che operano nel comparto agricolo. A Foggia, ad esempio, abbiamo presentato un centinaio di domande per lavoratori agricoli utilizzando il secondo canale previsto dalla normativa, quello che si attiva quando è lo straniero a rivolgersi alla Questura per ottenere un permesso di lavoro temporaneo. Le difficoltà sono enormi. Innanzitutto per moltissimi lavoratori stranieri è difficile dimostrare di aver svolto attività lavorativa regolare mentre si era irregolari per definizione. In secondo luogo, va assolutamente chiarita la questione relativa alle richieste d’asilo pendenti. Ad oggi, la conversione dei permessi temporanei non è concessa. E in qualche caso si è verificato, e non solo a Foggia o in Puglia, che i lavoratori con una richiesta d’asilo pendente abbiano dovuto rinunciare alla propria richiesta o, piuttosto, al proprio lavoro per poter accedere a questa stringente forma di regolarizzazione. La normativa, con tutti i suoi cavilli burocratici, è estremamente complicata e non aiuta la semplificazione delle procedure. Il che fa sì che gli Uffici di Governo territoriale applichino le misure nella maniera più restrittiva possibile. Perdendo di vista la flessibilità e il fatto, ben più grave, che così si materializzano una serie di ostacoli alla regolarizzazione.

Più che un decreto rilancio sembra quasi un provvedimento-tampone incapace di guardare, pur nella complessità, persino a quei comparti già inclusi nella previsione. Lei che idea si è fatto?
Penso che la ministra Bellanova conosca bene l’agricoltura e ancor meglio la declinazione pugliese dell’intero settore. Dopodiché noi speriamo che si vada al di là delle buone intenzioni aprendo la strada per una modifica sostanziale della previsione anche in via parlamentare. Affinché la si estenda a tutti gli altri settori, compresi quelli della ristorazione, del turismo, dell’edilizia e dell’artigianato. E poi per disciplinare la regolarizzazione dei lavoratori agricoli in maniera decisamente più chiara, snella, flessibile. Anche perché, come ho già ribadito, è complicato che un bracciante lavori per un periodo decisamente continuativo presso la medesima azienda agricola, con lo stesso datore di lavoro.
In ultimo, chiediamo di incentivare i datori di lavoro a favorire l’emersione di questi rapporti di lavoro. I braccianti devono avere la possibilità di denunciare il datore di lavoro che rescinde improvvisamente il contratto o che si rifiuta di regolarizzarli. Devono avere maggior potere contrattuale e, in generale, maggiori garanzie.

Il caporalato pugliese ha saputo approfittare del vulnus della normativa?
Ovviamente. Si è scatenato. Caporali e traffichini si sono inseriti lì dove la fragilità del sistema e dei lavoratori si fa più viva. Più evidente. Partiamo da un principio che troppo spesso viene trascurato: per lo straniero il permesso di soggiorno è la vita. E, pur di ottenerlo, è spesso disposto a cedere al compromesso. Caporali e traffichini questo lo sanno. E ne approfittano.
Nel foggiano alcuni lavoratori stranieri sono arrivati a pagare 5 mila euro per avere un contratto sulla base del quale poter procedere a un’istanza di regolarizzazione. A Bari questo business è arrivato fino a 7 mila euro.

Cioè i lavoratori pagano un intermediario per ottenere un contratto di lavoro valido ai fini del permesso di soggiorno?
Sì. Pagano fino a 7 mila euro un intermediario affinché trovi un datore di lavoro, spesso fittizio, che formalizzi l’istanza di emersione. Quando i lavoratori vivono negli insediamenti informali, nelle baraccopoli, spesso l’intermediario è il caporale. Altrimenti, attraverso una rete fatta di conoscenze, il traffichino contatta datori di lavoro in possesso dei requisiti formali, ma non sostanziali, disposti a sostenere dietro congruo compenso una domanda di emersione sulla base di un contratto che non sarà mai realizzato. E dal momento che il settore del lavoro domestico si presta, a differenza di quello agricolo, a garantire un datore di lavoro stabile che possa formalizzare l’istanza di emersione, ecco che i braccianti agricoli vengono portati a provare a regolarizzarsi in un altro settore. Pagando i traffichini con la speranza di ottenere un contratto di lavoro che nulla ha a che vedere con l’agricoltura.

Il risultato è una truffa.
Certo! Perché il lavoratore spesso paga per un contratto che non vedrà mai. Indebitandosi con strozzini e usurai pur di alimentare una speranza. Lo scenario è questo. Si arricchiscono i caporali, i traffichini, talvolta persino gli avvocati. Ormai si è scatenata una caccia senza quartiere al permesso di soggiorno. E a farla da padrone sono sempre loro: i caporali e i traffichini. Con tanto di agenzie che, per trasmettere una domanda di regolarizzazione, si fanno pagare anche 400 euro senza offrire in cambio alcuna garanzia per il lavoratore che li ha versati. L’occasione, anche stavolta, ha fatto l’uomo ladro.

Come siete riusciti ad ottenere queste informazioni?
Sono i lavoratori a raccontarcelo. Anche perché molti degli stranieri che non hanno possibilità di regolarizzarsi ora sono alla ricerca degli intermediari giusti. E si rivolgono a loro, a traffichini e caporali. E non ci dicono chi sono.

Perché non ve lo dicono? Insomma, perché non denunciano?
Proprio perché il permesso di soggiorno per loro è la vita. Anche quando li mettiamo al corrente del fatto che potrebbero essere truffati, loro scelgono di mantenere il silenzio sulle identità dei caporali. Che restano una sorta di possibilità residuale, di una porta sempre aperta sulla speranza di regolarizzarsi.
Se ci si riflette a dovere, non denunciano per le stesse ragioni che tengono in piedi il caporalato. In fondo, chi è il caporale? Quello che quando per lo Stato non esisti ti assicura un lavoro, il trasporto sul luogo di raccolta, quello che ti compra il panino e ti dà da bere quando sei già da ore sotto al sole. È il welfare illegale di prossimità. E il bracciante è spinto a credere che anche il ricatto, il compromesso, siano meglio di nulla. Ecco perché anche quando si fidano di noi, non denunciano e non rivelano l’identità dei caporali. Sono la loro ancora di salvezza e non possono rinunciarci.

E, in assenza di prove o di identità definite, anche i sindacati hanno le mani legate.
Certo, perché anche noi non possiamo denunciare. Come potremmo, senza prove? Quel che facciamo è consigliare i lavoratori a non lasciarsi tentare dalle scorciatoie. Di non fidarsi dei caporali e dei traffichini e di rivolgersi alle sedi istituzionali. Perché la pratica dei falsi contratti, delle frodi organizzate, deve finire assolutamente. Le denunce dei braccianti sono fondamentali. Anche perché spesso i datori di lavoro non hanno alcuna intenzione di favorire l’emersione di questi rapporti di lavoro.
Ciò non toglie, però, che qualcosa debba cambiare anche a livello istituzionale. Regolarizzare significa liberare questi lavoratori, queste persone, dalle gabbie dell’economia sommersa. Significa garantirgli tutele e diritti potenziando anche dal basso le misure di contrasto al caporalato e all’illegalità.

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Autore:

Giornalista, caporedattrice del periodico Terre di frontiera. Specializzata in tematiche ambientali. Crede nel cambiamento e nella possibilità di ciascuno di contribuirvi.