Intervista a Carlo Petrini, sociologo, scrittore, fondatore di Slow Food, pubblicata sullo speciale di giugno di Terre di frontiera.
Partiamo da un tema di attualità e parliamo di TTIP. Cosa pensa del trattato Europa-Stati Uniti in relazione ai concetti di salvaguardia della biodiversità, alla difesa del territorio e delle piccole economie locali? Il TTIP, per chi lo ha pensato e ratificato, rappresenta una grande svista o una mancanza di programmazione e tutela di interessi delle multinazionali?
Siamo di fronte a un accordo che, qualora approvato, regolerebbe non solo gli aspetti economici degli scambi fra Europa e Stati Uniti, ma in buona sostanza ne condizionerebbe l’orientamento giuridico, perché le norme istituite in questo caso dall’UE a tutela dei cittadini verrebbero di fatto sacrificate sull’altare del mercato dopo essere state etichettate come “barriere non tariffarie”. Quello che rischiamo è di assistere ad un’”armonizzazione” forzata degli standard, inevitabilmente verso il basso. La discussione nel merito del TTIP viene condotta lontano dall’attenzione pubblica e i cui atti sono inaccessibili, il che è il primo segnale di pericolo: al centro non ci sono i cittadini, ma gli interessi del mercato.
La politica energetica del nostro Paese passa anche e soprattutto dallo sfruttamento intensivo dei terreni e dall’eccessivo consumo di suolo: centrali a biomassa che bruciano rifiuti, trivellazioni per la ricerca di idrocarburi, inceneritori, discariche. Tutto questo come può essere compatibile con lo sviluppo delle filiere corte e del chilometro zero basate su valorizzazione del paesaggio e della salubrità dell’ambiente? È sostenibile continuare a viaggiare su un doppio binario?
La competizione tra agricoltura e produzione energetica per l’utilizzo del suolo è sicuramente un tema sul quale è necessario riflettere in tutta la sua complessità. C’è bisogno di una visione politica ampia e a lungo termine, che si impegni per una valorizzazione del territorio a vantaggio di tutti, e che metta in campo politiche serie di riduzione dei consumi, innanzitutto, e di investimenti in ricerca e nuove tecnologie che ci permettano di ottenere alti livelli di efficienza nelle energie rinnovabili. Anche queste, infatti, necessitano di essere utilizzate nel quadro di un progetto lungimirante, oppure rischiamo di imbatterci in delle storture, quali ad esempio i grandi impianti fotovoltaici posati su terreni agricoli, o gli impianti eolici mal posizionati e finanche dannosi per l’ecosistema.
Il decreto legge Sblocca Italia ha trasferito i poteri in materia energetica nelle mani dello Stato che si sostituisce agli Enti locali e alle comunità. Che idea si è fatto?
Anziché fermare la colata di cemento, lo Sblocca Italia la rilancia, la promuove, la incentiva con danni al paesaggio agricolo e non. Inoltre, il potere decisionale circa questi temi viene, per l’appunto, ulteriormente allontanato dalle realtà locali, puntando a un accentramento che, in nome dell’efficienza, sacrifica il diritto delle comunità di gestire il proprio territorio. Questo decreto è lontano dal tempo e dal luogo in cui ci troviamo a vivere, ed è impossibile non pensare a come sia stato frutto di interessi particolari e miopi, e non di una visione politica a lungo termine. Ancora una volta abbiamo rinunciato a investire nel futuro per un ritorno veloce e misurabile in qualche punto percentuale di PIL.
OGM, pesticidi, glifosato. Di questo passo, dove arriveremo?
Di certo queste parole, una in fila all’altra, descrivono una realtà agroindustriale che non rispecchia la nostra idea di futuro. Questo sono i termini di un paradigma che non va nella direzione di salvaguardare l’ambiente, né il benessere dei contadini e dei produttori che ogni giorno lavorano per produrre il cibo che mangiamo. Noi continuiamo a lavorare collaborando con altre ONG e con i governi locali affinché il paradigma che descrive la nostra realtà agricola sia descritto da termini quali agroecologia, rispetto dei saperi e delle economie tradizionali, dell’agricoltura di piccola scala e di sussistenza. Quando supereremo l’ambizione dell’accaparramento di beni materiali a scapito del bene comune potremo anche liberarci di parole che suonano molto moderne, ma che in realtà sono già antiquate.
Con Expo, a mio avviso, abbiamo perso una grande occasione per rilanciare l’agricoltura di qualità italiana e soprattutto quella mediterranea. Un modello di agricoltura libera dalle imposizioni e dalla chimica imposta dalle grandi multinazionali. È stata un’occasione mancata per l’Occidente? Un’opportunità sprecata per i contadini di ogni parte del mondo di “nutrire il Pianeta” e nel contempo difendere i territori dall’inquinamento e la salute dei cittadini?
Le perplessità rispetto ai risultati di Expo sono quelle che ci aspettavamo sin dall’inizio. L’Expo è stato forse davvero l’occasione mancata per discutere del cibo e della nutrizione in modo innovativo su un palcoscenico globale, mentre hanno purtroppo prevalso gli interessi alla base della costruzione dei padaglioni, e ahimè, del cemento. Noi come Slow Food, nel contesto di Expo, siamo stati presenti con uno spazio espositivo nel quale incontrare i visitatori, ma soprattutto con quella che è la nostra idea di “Nutrire il pianeta”, ovvero con un’edizione straordinaria di Terra Madre, portando a Milano oltre duemila giovani contadini e produttori artigianali sotto i quarant’anni di età che in ogni parte del mondo cercano di produrre in armonia con la terra, con l’obiettivo di un futuro alimentare più sostenibile. Queste realtà esistono, e il nostro lavoro continuerà a essere quello di dare loro voce.
L’enciclica Laudato Sì rappresenta un monito o un elenco di indicazioni da perseguire? Quali strumenti abbiamo per poterla mettere in pratica?
L’enciclica “Laudato Si” è uno strumento politico di straordinaria potenza. Mai avrei pensato, da agnostico non credente, di arrivare a riporre tanta fiducia e speranza in un Papa, ma questo è un uomo e un leader davvero rivoluzionario. In questa enciclica vedo espressi chiaramente i valori su cui Slow Food e Terra Madre si fondano: il rispetto della casa comune e dell’umanità che la abita in primis. Francesco è un papa innovativo e molto amato, e, in particolare, molto amato anche dai non credenti. Rispetto alla sua figura però, dico spesso che “tutti amano il cantante, ma nessuno conosce la canzone”. Le idee rispetto alla cura del nostro pianeta e rispetto al fallimento di questa economia che letteralmente uccide dovrebbe infatti scuotere più profondamente tutte le nostre coscienze.