Calo dei prezzi della materia prima, aumento delle importazioni, rilancio del made in Italy, incentivazione della filiera corta. Per fare chiarezza su queste ed altre questioni che tengono banco nel settore agro-alimentare abbiamo incontrato Franco Verrascina, presidente di Copagri (Confederazione produttori agricoli).
Presidente, partiamo subito da un argomento di stretta attualità e, soprattutto, di interesse pubblico. Il valore del grano duro e del grano tenero ha registrato un calo importante, ma il prezzo del pane e della pasta è in aumento o nel migliore dei casi stabile. Può spiegarci questo meccanismo che, da una parte, penalizza i produttori locali e, dall’altra, i consumatori?
Si tratta chiaramente di meccanismi di mercato che possono essere ricondotti a movimenti speculativi. Di sicuro, in questa fase, ne escono fortemente penalizzati anche i molini. La situazione va però analizzata nel suo complesso. Nonostante non vi siano ancora dati ufficiali definitivi, la produzione di grano del 2016 raggiungerà un livello record: si parla di circa 5,5 milioni di tonnellate a fronte di una produzione media nazionale di 4 milioni, con rese ad ettaro eccezionali. Infatti, visti i prezzi molto elevati dello scorso anno, gli agricoltori, non solo italiani, hanno seminato un maggior quantitativo di grano duro. Così oggi siamo in presenza di una sovraofferta che ha chiaramente effetti negativi sui prezzi, che sono crollati. Basti pensare che le quotazioni del grano duro sono scese a 180 euro per tonnellata mentre l’anno scorso erano a 315 euro. Secondo i dati Ismea (Istituto per i servizi del mercato agroalimentare, ndr), nel giro di un anno le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43 percento del valore, mentre si registra un calo del 19 percento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione. Al contrario resta alto il prezzo all’ingrosso, intorno ai 300 euro a tonnellata).
All’ingrosso il prezzo resta alto. Quindi già in questa fase qualcosa non va. Insomma, qualcuno che ci guadagna c’è…
Sì. E i prezzi poi lievitano ancora nei passaggi fino al consumatore: dal campo alla tavola aumentano di 5 volte per la pasta e di addirittura 15 volte per il pane. Noi della Copagri siamo convinti che sia una filiera troppo iniqua e che i guadagni non siano equamente distribuiti. È chiaro che a perderci sono da un lato i produttori, con quotazioni troppo distanti dalla copertura dei costi di produzione che mettono a rischio la stessa sopravvivenza di molte aziende impegnate in una delle produzioni più distintive per il nostro modello agricolo, e i consumatori sulle cui spalle ricadono gli aumenti.
Ricapitolando, i numeri ci dicono che i prezzi della materia prima sono calati, quelli all’ingrosso aumentati, cosi come la produzione nazionale. Allo stesso tempo, l’attuale fotografia del mercato delinea un sostanziale aumento delle importazioni. Sembrerebbe un dato contraddittorio. Come stanno le cose?
La situazione va chiarita. L’Italia, come accennavo prima, produce una media di 4 milioni di tonnellate annue mentre più di 6 milioni vengono utilizzate dall’industria della pasta. Come per altre produzioni di punta del made in Italy – ad esempio l’olio – non abbiamo grano duro sufficiente a soddisfare la produzione di pasta. Siamo deficitari di circa 3,5 milioni di tonnellate di grano duro e per questo siamo obbligati ad importarlo (nel 2015 ne abbiamo importato 2,37 milioni di tonnellate). Le produzioni italiane sono cresciute, ma di fabbisogno interno e per l’export.
Produzioni italiane per fabbisogno interno ed export. Si dice che il nostro grano non sarebbe adeguato alle richieste dell’industria.
Una precisazione: il grano italiano non sarebbe adeguato alle richieste dell’industria, per fare una pasta abbastanza al dente ed elastica. Questo, però, non significa che le produzioni italiane non siano di qualità, ma che c’è una differenza net contenuto proteico della granella. L’industria richiede che esso abbia un valore compreso tra il 13,5-14,5 mentre 12,5 è la media del contenuto proteico del grano duro nazionale. Per questo spesso viene usato grano proveniente da altri Stati con produzioni caratterizzate da una maggiore quantità di proteine e glutine. Tuttavia, secondo noi, quello che non va dimenticato è che l’export di pasta italiana (anche con grano straniero) è una perla per le nostre finanze e un fiore all’occhiello che ci identifica, per quantità e qualità.
In virtù di quanto sostiene, è quindi pensabile un rilancio del made in Italy e della filiera corta in questo settore? Cosa pensa?
Noi della Copagri siamo fermamente convinti che affinché vi sia un rilancio del made in Italy nel comparto, occorre legare la filiera al territorio, costituire cioè una filiera veramente corta in cui il grano locale sia valorizzato, a prescindere dalle quantità prodotte. È necessario puntare molto sulle organizzazioni dei produttori e fare in modo che il grano locale sia sempre di maggiore qualità per essere poi utilizzato in determinate produzioni. Come accade con la Pasta di Gragnano. Poi è giusto che nel mercato ci sia spazio per tutti, senza alzare barriere o rinchiudersi all’interno di spazi ristretti che ci siamo creati da soli. Una pluralità di offerte per una pluralità richieste.
Lei dice «legare la filiera al territorio […] in cui il grano locale sia valorizzato» e «sempre di maggiore qualità». E quindi anche tracciabilità certa. Ma con l’aumento delle importazioni, di fatto, cosa arriva sulle nostre tavole?
Intanto sgombriamo il campo da “leggende metropolitane” in merito a grano contaminato, tossico o altro. Come presidente di una importante organizzazione dei produttori voglio sottolineare che i controlli sull’agro-alimentare in Italia ci sono e sono anche efficaci. Tutti gli organi ad essi deputati svolgono efficacemente il loro lavoro. Poi, non tutto il grano che arriva dall’estero è di cattiva qualità o contaminato. Semmai dovremo tenere sotto controllo la questione del glifosato che in certi Paesi è utilizzato per fare arrivare a maturazione il prodotto (accade in Canada, tra i nostri fornitori di grano, ndr), viste le condizioni ambientali sfavorevoli. Su questo sì bisogna stare attenti e non abbassare la guardia.
Il grano è al centro di importanti interessi geopolitici, soprattutto nel Mediterraneo. Chi decide le quote di produzione in Europa?
Questa è una galassia assai variegata e diffusa. La produzione di cereali è fortemente influenzata dal mercato mondiale. Anche l’Unione Europea influenza il settore con le proprie decisioni e, molto spesso, a nostro parere, si muove “come un elefante in una cristalleria”, senza considerare le conseguenze che possono derivare a seguito di scelte non sempre favorevoli a paesi come il nostro.
Il ministero delle Politiche Agricole ha annunciato, di recente, un fondo cerealicolo di 10 milioni, ed altre misure, come il marchio unico. Nei fatti come lo valuta e come si sta adoperando il Governo per far fronte all’attuale crisi e per controllare le proteste dei piccoli e medi produttori italiani?
La Commissione agricoltura della Camera ha convocato noi della Copagri per un’audizione sul problema del prezzo del grano. Come noi sono stati ascoltati tutti gli attori della filiera e, in seguito, a luglio, il ministero ha convocato il tavolo nazionale della filiera cerealicola a cui hanno partecipato le organizzazioni dei produttori, la cooperazione, l’industria molitoria, quella mangimistica e della pasta. Abbiamo apprezzato che il Governo abbia individuato che il problema è interno alla filiera, tuttavia riteniamo che si debba agire in modo più concreto ed efficace.
Ovvero?
Purtroppo, a nostro parere, le azioni presentate dal Mipa-af (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ndr) non serviranno a ristabilire una situazione di normalità per il settore. In particolare, i 10 milioni di euro stanziati nel decreto legge enti locali – per dare avvio a un organico piano nazionale cerealicolo, e sostenere investimenti anche infrastrutturali per valorizzare il grano di qualità 100 percento italiano – sono ben poca cosa rispetto a quanto realmente necessario; così come siamo convinti che la creazione di una Cun (Commissione unica nazionale), per rendere più trasparente la formazione del prezzo del grano duro, poi, non sarà efficace perché i prezzi li fa il mercato. La Copagri è poi favorevole al marchio unico volontario per grano e prodotti trasformati, per dare maggiore valore al grano di qualità certificata e riteniamo un’ottima misura, da attuare in fretta, il rafforzamento dei contratti di filiera, per i quali è previsto un budget totale di 400 milioni di euro (metà in conto capitale e metà in conto interessi). Apprezziamo, infine, la proposta di un tavolo di filiera, ma rivendichiamo la presenza al tavolo di tutti i soggetti rappresentanti l’intero comparto, altrimenti il tavolo è destinato a restare svuotato di ogni significato fin dall’origine. Infatti, se non parteciperanno tutti gli attori interessati non sarà possibile instaurare un percorso valido e determinare un prezzo sicuro per i produttori, che a tutt’oggi sono ancora l’anello più debole della catena. Come presidente della Copagri insisto, comunque, sulla necessità del settore di contratti e organizzazione dell’offerta: vanno migliorate le relazioni contrattuali, sviluppate le organizzazioni interprofessionali e rafforzate le organizzazioni dei produttori.