Il 50 per cento dei detenuti campani è stato vaccinato. La campagna vaccinale negli istituti penitenziari, dunque, procede nonostante tutto. Nonostante, cioè, la capacità delle singole Asl di riferimento di organizzare e distribuire le dosi su larga scala, nonché di adottare un criterio più lungimirante che punti a raggiungere, nel più breve tempo possibile, l’immunità di gregge nelle carceri. Le linee guida ministeriali, d’altro canto, parlano chiaro. Ma la loro coerente applicazione, tuttavia, ci rivela tutt’altro. L’intervista a Terre di frontiera del professor Samuele Ciambriello, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Campania, svela le ipocrisie di fondo di un sistema che in alcuni casi rincorre le emergenze senza tuttavia riuscire a gestirle in maniera omogenea.
Professor Ciambriello, partiamo da un dato: la Campania è tra le regioni con il più alto indice di sovraffollamento delle strutture carcerarie. Tutto questo come si traduce nel contrasto effettivo alla pandemia?
La Campania è la seconda regione italiana per numero delle strutture carcerarie. A questo dato va aggiunto l’elevato indice di sovraffollamento e l’atavica fatiscenza degli edifici carcerari, basti pensare all’istituto di Poggioreale. Tutto questo si traduce in una difficoltà nell’accesso a cure sanitarie adeguate in considerazione anche dei pochissimi posti disponibili nei reparti detentivi ospedalieri. Ci sono 11 posti all’ospedale Cardarelli, 14 nella struttura di Fuorigrotta e, considerando gli altri ospedali campani, arriviamo a un totale di 25 posti disponibili per le persone detenute.
Col diffondersi del virus e dei contagi, il bilancio si è ulteriormente aggravato. Cinque agenti di polizia penitenziaria sono morti per Covid, è deceduto per la stessa ragione un telefonista del carcere di Poggioreale, cui purtroppo si è aggiunto un medico che operava nell’istituto di Secondigliano. Inoltre in questi mesi ben sei detenuti, dislocati tra le strutture di Poggioreale, Secondigliano, Santa Maria Capua Vetere e Carinola, sono morti per Covid. È un bilancio pesantissimo.
Un bilancio pesantissimo al quale oggi, almeno nel contrasto al Covid-19, si può far fronte attraverso i vaccini. Quando è iniziata la campagna vaccinale nelle carceri campane?
La campagna vaccinale in Campania è iniziata il 21 aprile scorso. Nei primissimi giorni sono state vaccinate 24 persone diversamente libere di Poggioreale, 51 detenuti nella casa circondariale di Secondigliano, 16 giovani adulti dell’istituto penale per minorenni di Nisida.
Nell’attuale piano vaccinale si stabilisce che detenuti e personale penitenziario siano da considerarsi come categorie autonome, che prescindono dunque dai target d’età e fragilità. Anche in Campania viene rispettato il medesimo criterio?
Su questa questione è dilagata la confusione. Dunque, cerchiamo di fare chiarezza. Mentre si stava cominciando con le primissime vaccinazioni nelle carceri, il Generale Figliuolo ha stabilito che anche negli istituti penitenziari si dovessero rispettare le medesime categorie individuate nel piano vaccinale nazionale. E che quindi, per essere più chiari, si dovessero somministrare i vaccini sulla base dei criteri dell’età e della fragilità. Chiaramente sono dilagate le proteste.
Su pressione dei Garanti per i diritti dei detenuti e, soprattutto, del Garante nazionale Mauro Palma, il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha sollecitato il Commissario Figliuolo a rivedere questa previsione. Il 22 aprile scorso, quindi, è stato finalmente stabilito che non ci sono limitazioni d’età per la vaccinazione della popolazione detenuta. Dunque si è deciso di procedere a scaglioni e a oltranza, chiaramente con la disponibilità delle Asl competenti in riguardo al reperimento dei vaccini monodose. Poi, però, qui in Campania si è imposta l’anarchia.
In che senso?
Nel senso che tutto dipende dalle volontà e dalle decisioni delle singole Asl di riferimento. Perché mentre a Caserta, su mia segnalazione in qualità di Garante, si va avanti spediti al punto che ad oggi quasi il 90 per cento della popolazione detenuta è stata vaccinata col monodose Johnson&Johnson, così come è avvenuto anche a Benevento e a Salerno, ad Avellino e Napoli le Asl stabiliscono che vada rispettato e applicato il criterio della somministrazione sulla base dell’età. Anche se quel criterio, come le ho spiegato, era stato sostanzialmente abolito. Per cui oggi la campagna vaccinale nelle carceri campane prosegue a macchia di leopardo. Generando un discrimine evidente, in riguardo all’accesso ai vaccini, tra i detenuti collocati negli istituti di Caserta, Benevento e Salerno, rispetto a quelli di Avellino e Napoli. In sostanza alcune Asl hanno agito in maniera più lungimirante. Altre, invece, hanno scelto di vocarsi alla burocrazia.
Quindi in Campania, al netto delle decisioni delle singole Asl, si sta somministrando anche il monodose Johnson&Johnson?
Sì, certo. Ai più fragili, chiaramente, vengono somministrate dosi Pfizer e Moderna. Ma non mancano soggetti ai quali viene inoculato anche AstraZeneca.
Ci può spiegare come funzionano le vaccinazioni negli istituti penitenziari?
L’iter procedurale viene dettagliatamente stabilito e scandito dagli operatori sanitari nel rispetto della privacy di ciascun detenuto. I medici dialogano con loro e li prenotano, come del resto si verifica per tutti noi attraverso l’uso della specifica piattaforma per le prenotazioni. Successivamente la lista delle prenotazioni viene inviata al responsabile sanitario di ogni carcere e, sulla base di questa documentazione, viene inoltrata una specifica richiesta all’Asl competente per stabilire quante e quali dosi occorrono e quando saranno effettuate le vaccinazioni. Per farle un esempio, nel corso di questa settimana sono state vaccinate circa 400 persone tra gli istituti di Secondigliano e Poggioreale. In questo caso, tanto il personale medico quanto i detenuti erano già a conoscenza di quali fossero i soggetti da vaccinare e in quali padiglioni si sarebbero svolte le vaccinazioni.
Ci sono stati dinieghi?
Sì, qualcuno ha rifiutato il vaccino. Ma era anche abbastanza fisiologico. Volendo fare una stima approssimativa, i rifiuti si sono attestati nell’ordine massimo del 5 per cento della popolazione detenuta. Pochissimi, dunque, hanno rifiutato il vaccino.
Tanto per citarle un esempio, posso dirle che su 130 donne detenute nell’istituto di Poggioreale, ben 122 hanno aderito alla campagna vaccinale senza batter ciglio. La scorsa settimana, nella casa di reclusione di Eboli su 40 detenuti si sono vaccinati in 29 mentre, nella casa circondariale di Vallo della Lucania, su 45 persone hanno scelto di vaccinarsi in 34. I numeri, come può vedere, parlano piuttosto chiaro.
Lo stesso dato vale anche per il personale penitenziario?
La percentuale di adesione in questo caso è più bassa. Le vaccinazioni del personale della polizia penitenziaria si attestano attorno al 39 per cento. La scorsa settimana abbiamo calcolato che erano state vaccinate 2.240 persone tra agenti penitenziari, educatori, volontari e cappellani operanti nelle carceri campane.
Sono previste sospensioni per il personale penitenziario che sceglie di non vaccinarsi?
No, non è prevista alcuna sospensione. Tuttavia personalmente ritengo che siano misure che andrebbero adottate. La vaccinazione, per quanto mi riguarda, è un diritto-dovere di ciascun individuo. Ma per chi entra in carcere è un obbligo morale, altro che obiezione di coscienza. Perché, in coscienza, non si può sorvegliare un detenuto o pensare di entrare nella cella in cui è recluso senza garantirgli un minimo di sicurezza. E non vorrei che qualcuno, tra il personale penitenziario, stesse pensando di non sottoporsi al vaccino per poi accedere alle indennità di rischio previste.
Ci può fornire qualche dato sui numeri della popolazione detenuta che si è già sottoposta al vaccino?
Con 3.214 detenuti vaccinati, lo scorso venerdì 14 maggio abbiamo raggiunto la soglia del 50 per cento delle vaccinazioni dell’intera popolazione penitenziaria presente in Campania. I detenuti della provincia di Caserta, Benevento e Avellino hanno effettuato il vaccino monodose, oltre il Pfizer per i soggetti ritenuti fragili. A questi aggiungiamo le 28 persone recluse negli istituti per minori di Nisida e Airola e i 32 internati delle Rems (Residenze di Esecuzione delle Misure di Sicurezza, ndr) di Calvi Risorta e San Nicola Baronia.
Nel dettaglio, a Caserta sono state vaccinate complessivamente 1.237 persone, a Benevento 203, ad Avellino 389, a Salerno 191 e a Napoli complessivamente 1.194 di cui 253 a Poggioreale, 819 a Secondigliano e 122 a Pozzuoli.
Va precisato, inoltre, che tutti coloro i quali si sono momentaneamente rifiutati di sottoporsi alle vaccinazioni avranno comunque la possibilità di aderire alla campagna vaccinale in un momento successivo.
Perfetto. Durante questi lunghi mesi di pandemia è stato incrementato il numero del personale medico nelle carceri?
Ho fatto pressione sull’Asl di Napoli per cui è stata incrementata la presenza degli operatori sanitari in carcere. Hanno inviato più OSA (Operatori del Settore Alimentare, ndr), più infermieri e ben tre psicologi in più. Personalmente giudico con favore questo avvicendamento della sanità penitenziaria su scala territoriale e regionale perché il diritto alla vita e alla salute è uguale per tutti. Ma penso anche che questo passaggio, da solo, non basti. Ad oggi ritengo più che necessaria una stabilizzazione degli operatori sanitari. Va stabilizzata, cioè, quella continuità sanitaria e fiduciaria tra detenuti e operatori. Il detenuto non deve sentirsi “altro” rispetto all’amministrazione penitenziaria. Il carcere, altrimenti, diviene solo una cartina di tornasole per stabilire il livello di civiltà sociale. Ma che civiltà è mai questa? Finora purtroppo questa stabilizzazione di cui parlo è divenuta concreta solo in Emilia-Romagna e in Toscana.
Qual è il criterio per stabilire il numero del personale medico da destinare a ciascun istituto penitenziario?
Partiamo da un presupposto: il criterio è assolutamente sbagliato. I numeri del personale medico da destinare alle carceri vengono stabiliti sulla base dei posti disponibili di ciascun istituto. Ma quello della disponibilità regolamentare non può essere un criterio accettabile se, come in Campania, le carceri sono sovraffollate. Per cui, in effetti, alle persone detenute viene negato per principio un servizio non solo essenziale ma fondamentale. Basterebbe calcolare la media annuale dei nuovi ingressi nelle carceri per rendersi conto che il criterio è fallace e, conseguentemente, per pensare di raddrizzare l’asticella. Ma questa scelta non è stata fatta.
Lei ne ha discusso con i responsabili sanitari e con l’Unità di Crisi regionale?
Certo, ne discuto continuamente tanto con l’Unità di Crisi regionale quanto con i manager delle singole Asl. Con tutti loro il confronto è continuo e costante. Ma ad oggi la situazione resta immutata. E questo vale sia sui vaccini, di cui abbiamo già parlato, sia sulla garanzia dei trattamenti individuali che spetterebbero in diritto a ciascun detenuto. Ci sono bisogni assistenziali, clinici e sociali che variano da un individuo all’altro. Le cito un esempio: il Sert (Servizio per le tossicodipendenze, ndr) di Poggioreale, che comunemente viene considerata una delle strutture carcerarie più fatiscenti d’Italia, funziona benissimo e riesce a garantire l’assistenza necessaria a circa 400 detenuti tossicodipendenti. Ma questo non accade in tutte le carceri. E, soprattutto, non accade quando di disagi o malattie psichiatriche si parla. La stabilizzazione del personale medico non può prescindere da un’operazione che guardi in primis alla dignità degli individui. Ed è di questo, onestamente, che si dovrebbe ricominciare a parlare.