Intervista al dottor Marco Zappa, direttore dell’Osservatorio nazionale screening (Ons).
L’Osservatorio nazionale screening (Ons) nasce nel 2001 con il nome di Osservatorio nazionale per la prevenzione dei tumori femminili. Una rete nazionale dei centri di screening, creata grazie al supporto economico della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt). Nel 2004, a seguito dell’approvazione del decreto del ministero della Salute del 25 novembre (articolo 2 bis della legge n.138/2004), l’Ons viene riconosciuto come strumento tecnico a supporto di Regioni – per l’attuazione dei programmi di screening – e ministero della Salute, per la definizione delle modalità operative, il monitoraggio allo sviluppo e la valutazione dei programmi di screening in Italia.
Fin dalla sua costituzione, all’Osservatorio nazionale screening hanno aderito il Gruppo italiano screening mammografìco (Gisma), il Gruppo italiano per il cervicocarcinoma (Gisci) e, più di recente, il Gruppo italiano screening colorettale (Giscor). Per approfondire meglio ruoli, competenze e i dati diffusi dall’ultimo Rapporto nazionale screening ci siamo confrontati con il dottor Marco Zappa, direttore dell’Ons (www.osservatorionazionalescreening.it).
Dottor Zappa, per introdurre i nostri lettori alle attività che svolgete quotidianamente, le chiedo di aggiornarci sullo stato dell’arte del vostro progetto.
Il nostro progetto va avanti da ormai 15 anni. In questo lasso di tempo per i programmi di screening è aumentata la diffusione, anche se rimangono differenze di estensione e qualità significative. Ogni anno vengono prodotte le survey di valutazione, discusse con gli operatori dei programmi in riunioni nazionali e regionali, e messe a disposizioni di tutti sul sito dell’Osservatorio. L’Ons sta valutando alcune importanti innovazioni in campo di diagnosi precoce, come il passaggio al test HOV come test primario per la prevenzione del cervicocarcinoma ed il ruolo della Tomosintesi nello screening mammografico. Il 30 luglio 2015, la Conferenza Stato-Regioni – con l’atto n.126 – ha definito, fra le altre cose, le funzioni dell’Ons, che vanno dal supporto scientifico alla pianificazione nazionale e alla programmazione regionale e supporto al miglioramento della qualità dei programmi di screening mediante il monitoraggio e la valutazione dei programmi attivati a livello regionale; dall’attività di formazione di alto livello in ambito regionale e nazionale all’attività di site-visit (visite di verifica della qualità dell’erogazione a livello aziendale); dalla promozione della ricerca in ambito di screening allo sviluppo della qualità dell’informazione e della comunicazione e rendicontazione dei risultati.
Oltre al ministero della Salute, a chi si rivolge l’Ons e con quali strutture operate in sinergia?
Sostanzialmente operiamo in sinergia con i referenti regionali dei Programmi di screening locali.
Quali le principali norme che regolano questo ambito?
L’intesa fra Stato e Regioni definita come Patto della Salute 2014 -2016 definisce dal punto di vista teorico le modalità di sostentamento dell’Ons. L’articolo 17, secondo paragrafo, dell’Intesa stabilisce che: «il 5 per mille sulla quota vincolata per il Piano nazionale prevenzione venga destinato a una linea progettuale per lo svolgimento di attività di supporto al Piano nazionale della prevenzione da parte dei network regionali dell’Osservatorio Nazionale Screening, l’Evidence-based prevention e l’Associazione italiana registri tumori.» L’elemento caratterizzante è l’azione consolidata di questi organismi come network regionali. In altre parole le Regioni italiane dichiarano di rinunciare a una piccola parte di risorse a loro destinate nel Piano nazionale della prevenzione per sostenere l’attività di Centri nazionali che a loro volta lavorano come network regionali. Purtroppo al momento attuale la modalità di finanziamento prevista non si è ancora concretizzata, limitando le capacità operative dell’Ons.
Arriviamo all’ultimo Rapporto nazionale screening (2016). Viene illustrata una fotografia di un’Italia che, come accade in altri settori, viaggia a due velocità. Da una parte il Centro-Nord, dall’altra il Sud. Nel Mezzogiorno d’Italia si registra, per quanto riguarda la copertura, una costante flessione nel 2014 e nel 2015 rispetto al biennio 2012-2013. Può farci capire meglio il problema?
In generale possiamo dire che nel corso del 2015 abbiamo assistito ad alcuni miglioramenti dei programmi, il che ci ha fatto affermare che questa volta il bicchiere è un po’ meno. In sintesi possiamo dire che per lo screening mammografia), nel 2015, si è avuto un marcato miglioramento della copertura (superiore all’80 per cento). La copertura è intesa come proporzione della popolazione target raggiunta effettivamente da un invito attivo. Parliamo di oltre 3 milioni di inviti, con un aumento di quasi 400 mila inviti rispetto agli anni precedenti. La copertura riguarda più di 9 donne su 10 (praticamente tutte) al Nord. Poco meno di 9 su 10 al Centro e quasi 6 ogni 10 al Sud, con un netto miglioramento rispetto agli anni precedenti. Per lo screening cervicale, invece, nel 2015 si osserva un aumento della copertura rispetto all’anno precedente (+ 4 per cento) con modesti cambiamenti nelle singole macroaree. L’aumento più marcato è per il Centro. Risultano invitate più di 4 milioni di donne (4.079.264). È interessante notare che oltre 650 mila di questi inviti (il 16 per cento del totale) sono ad effettuare il test HPV, che offre una copertura di 5 anni (e non più di 3). In realtà, dunque, la copertura effettiva del Paese è più alta. Per lo screening colorettale, infine, nel 2015 sono stati invitati più di 5 milioni di cittadini (5.394.492) di età compresa tra i 50 e i 69 anni a eseguire il test di screening. Di questi circa 50 mila ad eseguire la rettosigmoidoscopia. Lo screening colorettale prevede in quasi tutta l’Italia la ricerca del sangue occulto nelle feci, mentre il Piemonte vede la proposta della rettosigmoidoscopia una volta nella vita a 58 anni di età e la ricerca del sangue occulto per coloro che non accettano la rettosigmoidoscopia. C’è stato quindi un forte aumento rispetto all’anno precedente: quasi 500 mila inviti in più). Al Nord siamo sostanzialmente alla copertura completa (oltre il 90 per cento), al Centro siamo sopra l’80 per cento, mentre al Sud si arriva soltanto a poco più del 40 per cento, anche se con una costante tendenza all’aumento.
In quali regioni del Sud sono stati registrati i dati più preoccupanti?
Quelle in cui si riscontrano maggiori difficoltà sono probabilmente la Campania e la Calabria.
Secondo lei quali sono i motivi che muovono il “rifiuto della prevenzione” nelle regioni del Sud rispetto al resto del Paese? È solo un problema di sensibilità, attenzione, comunicazione, di risorse, di investimenti, di modalità di attuazione del programma di screening?
È un problema assai complesso con molte dimensioni. Il principale ostacolo credo vada ricondotto alla relativa mancanza di fiducia delle popolazioni meridionali nella struttura pubblica della Sanità. Un programma di screening è uno dei pochi esempi diffusi di sanità di iniziativa. Se manca la fiducia nell’istituzione-struttura che promuove gli screening è evidente che la partecipazione sarà carente. D’altra parte, spesso, al Sud la qualità dell’offerta è minore e anche questo favorisce la scarsa partecipazione. Inoltre, più spesso invece, la Comunità medica locale – o parte di essa – non ha un atteggiamento favorevole rispetto agli screening organizzati e la sanità privata è più diffusa.
Non credo che la carenza di risorse giochi un ruolo decisivo. Piuttosto pesa una maggiore difficoltà organizzativa a creare dei percorsi in modo da utilizzare in modo efficiente le risorse e le capacità disponibili.
Quanto incide l’adesione a screening e prevenzione su diagnosi e guarigione?
Una donna che partecipa regolarmente ad un programma di screening mammografico, ad esempio, riduce del 35-40 per cento la propria mortalità per tumore della mammella. Una partecipazione regolare allo screening cervicale (specie quello con HPV) rende molto bassa la probabilità di sviluppare un tumore della cervice. Nello screening colorettale ci aspettiamo vantaggi sia per quanto riguarda la riduzione di incidenza (almeno il 20 per cento), sia per quanto riguarda la mortalità (riduzione almeno del 30 per cento).
Come classifica, in relazione al vostro compito, l’inesistenza o l’incompleta attuazione dei Registri Tumori regionali, anche a livello di informazione della popolazione?
I registri Tumori sono una fonte indispensabile per una valutazione dell’impatto degli screening organizzati. Al momento i Registri Tumori accreditati meno del 60 per cento del territorio nazionale, ma si stanno espandendo.
Un’ultima domanda: quella italiana è una popolazione che continua ad ammalarsi. Qual è l’incidenza delle principali patologie tumorali e quale il tumore più frequente che avete “incontrato”?
Secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum) si stima che in Italia, nel 2016, siano stati diagnosticati poco più di 365 mila nuovi casi di tumore maligno, di cui circa 190 mila (54 per cento) negli uomini e 175 mila (46 per cento), nelle donne. Complessivamente, ogni giorno, circa 1000 persone ricevono una nuova diagnosi di tumore maligno infiltrante. Escludendo i tumori della cute (non melanomi), negli uomini prevale il tumore della prostata che rappresenta il 19 per cento di tutti i tumori diagnosticati. Seguono il tumore del polmone (15 per cento), il tumore del colon-retto (13 per cento), della vescica (11 per cento) e dello stomaco (4 per cento).
Tra le donne il tumore della mammella rappresenta il 30 per cento delle neoplasie femminili, seguito dai tumori del colon-retto (13 per cento), del polmone (6 per cento), della tiroide (5 per cento) e del corpo dell’utero (5 per cento). I dati dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) indicano per il 2013 (ultimo anno al momento disponibile) poco più di 176 mila decessi attribuibili a tumore, 1000 in meno rispetto al 2012, tra gli oltre 600 mila decessi verificatisi in quell’anno. I tumori sono la seconda causa di morte (29 per cento di tutti i decessi) dopo le malattie cardiocircolatorie (37 per cento). Nel sesso maschile, tumori e malattie cardio-circolatorie causano approssimativamente lo stesso numero di decessi (34 per cento), mentre nel sesso femminile il peso delle malattie cardio-circolatorie è più rilevante rispetto ai tumori (40 per cento contro 25 per cento).