Il Parco nazionale della Majella sta bruciando da molti giorni. A rischio persone, interi comuni, fauna e flora. Per fare il punto della situazione abbiamo intervistato Massimo Pellegrini, storico ambientalista abruzzese, impegnato con i volontari nelle operazioni anti incendio e di sorveglianza del territorio.
Un’emergenza ambientale gravissima. Un vero e proprio disastro che per oltre dieci giorni ha colpito l’Abruzzo interno. Incendi dolosi, ripetutamente innescati, hanno devastato il Parco nazionale della Majella. Un incubo per Sulmona e alcune delle zone più suggestive e ricche della regione, tra cui l’eremo di Celestino V. L’emergenza maggiore appare ormai alle spalle ma di incendi ci sono ancora. In alcuni casi, anche ad un metro di profondità, le fiamme sono ancora presenti e, appena riescono a giungere in superficie, l’incendio riparte. Insieme ai Vigili del fuoco e alla Protezione civile anche diversi volontari sono stati impegnati in attività di sorveglianza e anti-incendio. Come la realizzazione di preziosissime strade taglia-fuoco.
Terre di frontiera ha contattato Massimo Pellegrini, storico ambientalista abruzzese, già presidente regionale del WWF e tra i fondatori della Stazione ornitologica abruzzese. Impegnato, oggi, con i volontari, ci ha raccontato la situazione e condiviso alcune riflessioni su quanto sta accadendo.
In questi giorni varie volte sei stato nelle aree incendiate, quale situazione hai trovato? Come hai visto evolversi gli incendi?
Avrei voluto essere più presente ma per giorni i volontari sono stati ignorati o considerati quasi come un fastidio. In anni passati ho vissuto come volontario quattro diversi incendi. Ma non ho mai notato una tale avversione, o semplice incapacità di governare ed indirizzare il volontariato. Persino i miei colleghi regionali, che hanno seguito un corso Anti incendio boschivo (Aib) non sono stati coinvolti. Mentre gruppi più o meno autogestiti sono arrivati senza controllo fino al limite dei fuochi. Da casa mia vedevo costantemente l’evolversi degli incendi che si riducevano, solo in parte, di giorno per riprendere violentemente di notte. La dimostrazione che i continui voli dei canadair in azione dalle sette del mattino alle sette di sera non bastavano. Ma solo dopo una settimana è arrivato, per poche ore, il noto elicottero Erickson Air Crane S-64 che scaricava 10 mila litri (circa 5 mila in più dei canadair) ogni sei minuti. Un elicottero in grado di rifornirsi anche dalle piccole vasche di irrigazione della zona, al contrario dei canadair che si son dovuti rifornire sul lago di Bomba, impiegando almeno trenta minuti.
I danni all’ambiente, alla flora e alla fauna appaiono già gravissimi ad emergenza ancora in corso. Si è temuto persino per la scomparsa dell’Eremo Celestiniano e si sono viste foto di animali uccisi dalle fiamme. Da esperto faunista e conoscitore delle aree coinvolte, quali animali sono stati maggiormente colpiti? Quali danni all’ambiente rischiano di essere perenni? C’è il rischio della scomparsa di interi ecosistemi?
Ecosistemi no, ma la maggior parte dei danni sono stati subiti da pinete di rimboschimento di limitato valore ambientale anche se abitate da cervi, caprioli, lupi ed altri animali. Ben maggiori saranno gli effetti indiretti verso specie come l’aquila reale, i cui territori di riproduzione e di caccia sono stati ridotti in buona parte in cenere. Solo nella prossima stagione riproduttiva potremo verificare cosa è accaduto.
Gli incendi hanno colpito grandi aree, varie volte nei giorni sono stati re-innescati, la cartina dei luoghi colpiti può restituire l’idea di qualcuno organizzato e che ben conosce la zona? Perché sono finite nel mirino zone all’interno di un parco nazionale, così come spesso incendi dolosi colpiscono aree protette (per esempio, sulla costa quasi ogni anno incendi colpiscono la Riserva naturale di Punta Aderci)?
Nel caso del Monte Morrone è difficile avanzare ipotesi. Si è parlato anche di ritorsioni verso il Parco. Ma potrebbero anche essere motivi ora poco evidenti. Non dimentichiamo che un’ora di volo di un canadair, di proprietà pubblica – ma gestito da privati – costa in media 15 mila euro. Nel caso del noto elicottero S-64, circa 8 mila euro.
Forum H2O, SOA, Nuovo Senso Civico e Dalla parte dell’orso hanno chiesto l’intervento dell’Esercito. A giugno l’allora capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, affermò che alcune Regioni, tra cui l’Abruzzo, avevano la necessità di rafforzare le strutture anti incendio. Ci sono testimonianze che hanno mosso forti critiche alla gestione dell’emergenza e del loro coinvolgimento, addirittura una testata web ha affermato che le liste sono state aperte e chiuse ripetutamente per favorire i “raccomandati”. Quali conclusioni trai dalla tua esperienza? Come hai vissuto il contatto con le strutture istituzionali? È vero che l’Abruzzo si è trovato impreparato e che l’organizzazione sta mostrando lacune? Cosa e come si potrebbe migliorare?
L’inefficienza principale a mio avviso è da ricercare nella sottovalutazione e nei conseguenti ritardi per l’arrivo dell’elicottero S-64, capace di lanci direzionali, e dell’esercito. La “regione dei Parchi” utilizza solo un elicottero, dei Vigili del fuoco, mentre altre regioni hanno vere e proprie flotte di aerei e/o elicotteri di grande capacità, come i famosi Puma. Il passaggio delle competenze dall’ex Corpo forestale dello Stato ai Vigili del fuoco ha ulteriormente complicato la situazione. I Carabinieri forestali erano sul posto ma non potevano andare sul “fronte del fuoco”. Mentre i Vigili del fuoco hanno agito senza avere particolari esperienze contro incendi nei boschi.
Forti polemiche hanno colpito soprattutto i vertici del Parco e la Giunta regionale. Vertici che vedono la presenza dell’attuale sottosegretario regionale all’Ambiente e alla Protezione civile, Mario Mazzocca – nominato quando era Sindaco di Caramanico – nel Consiglio direttivo del Parco. Le istituzioni quale ruolo hanno avuto e come si sono organizzate in questi giorni? Per quel che tu hai potuto valutare sul campo, l’organizzazione è stata all’altezza della situazione?
Il Piano Aib del Parco, nonostante nel Consiglio direttivo sia presente il responsabile (politico) della Protezione civile regionale, è rimasto un semplice pezzo di carta senza nessun intervento di prevenzione o un semplice programma di sorveglianza.
Il consigliere regionale Maurizio Di Nicola (CD) sui social network ha affermato che la colpa è anche degli ambientalisti che non fanno toccare “neanche una pigna”. È un’accusa che spesso viene rivolta. Lo ha incredibilmente fatto persino De Luca dopo il terremoto ad Ischia. I fatti reali quali sono? Come si smentisce quest’accusa? Quanto c’è di vero (se c’è) nell’accusa che all’interno dei Parchi è vietato togliere persino rami secchi e foglie cadute?
Nei parchi si raccoglie regolarmente il legname nel sottobosco. La cui pulizia deve avvenire altrettanto regolarmente. Così come si autorizzano i tagli forestali per uso domestico o commerciale. Basta dare un’occhiata agli Albi pretori online dei vari Comuni per averne conferma. Il problema delle strade è, invece, in buona parte strumentale. Quelle esistenti non vengono mantenute efficienti nonostante i Comuni sono obbligati dalla legge regionale n.3/2014 ad accantonare il 20 per cento dei ricavi della vendita della legna per uso commerciale. Fondi che devono essere destinati a lavori di miglioramento e nella gestione delle foreste. Le strade non vengono chiuse al traffico ordinario (nonostante previsto dalla normativa vigente) e diventano pertanto il principale veicolo di incendi, furti di legname ed abigeato.
Se i fatti non le supportano minimamente, perché anche esponenti istituzionali lanciano queste accuse? Perché gli ambientalisti spesso finiscono nel mirino?
In Italia gli ambientalisti sono il capro espiatorio delle incapacità altrui. Senza dimenticare che, in particolare nei parchi, la gestione è affidata a Regione e Comuni. Dove di ambientalisti non c’è grande presenza. Anzi, un reale attivismo ambientalista rende molto più difficile vedersi assegnato un incarico pubblico.