Intervista a Simone Togni, presidente dell’Associazione nazionale energia del vento (Anev).
L’Associazione nazionale energia del vento (Anev) nasce nel 2002 con l’obiettivo di favorire la promozione e l’utilizzazione della fonte energetica eolica in un rapporto equilibrato tra insediamenti e natura. L’idea è del padre putativo dell’eolico italiano, già leader indiscusso della Ivpc (Italian vento power corporation), Oreste Vigorito. Attualmente l’Anev rappresenta circa 5000 operatori di settore e più di 70 tra le maggiori società capofila del rinnovabile: Alerion, Vestas, Nordex, Siemens, Erg, Edison, Ivpc, per fare solo alcuni dei nominativi illustri. L’esigenza di intervistare il presidente Anev, Simone Togni, nasce dal quantitativo ingente di quesiti che affollano il mondo dell’eolico e quello che nell’immaginario collettivo rappresenta. Sviluppo? Deturpazione del paesaggio? Green New Deal? Forse. Ma il Belpaese, dilaniato dalla schizofrenia di una politica energetica nazionale che un giorno sembra virare sul fossile e l’indomani chissà. Prima o dopo sarà chiamato ad operare delle scelte. E quando si parla di eolico, è bene che quelle scelte siano particolarmente oculate. Con il presidente di Anev e Ivpc abbiamo parlato dei nuovi incentivi alle rinnovabili non fotovoltaiche, del grado di accettabilità della risorsa eolica e delle sue potenzialità nelle molteplici sfaccettature.
Presidente, il decreto recentemente sottoscritto dai ministri Carlo Calenda e Gian Luca Galletti prevede nuovi incentivi alle rinnovabili non foto-voltaiche. Si parla di 9 miliardi di euro, spalmati in circa venti anni, che dovrebbero rendere le condizioni degli operatori di geotermico, idroelettrico, ed eolico maggiormente vantaggiose. È uno scatto in avanti del Governo dopo anni di immobilismo in materia? Si può effettivamente parlare di “strategia verde”?
Spero di sì, ma più che altro per il futuro. Il decreto in questione è inerente al biennio 2015-2016. È un provvedimento che attendevamo da più di un anno e mezzo. Le ragioni di questi ritardi non ci sono state esplicitate, dato che alla conferenza stampa di presentazione di questa iniziativa governativa sono stati invitati solo due operatori del settore, in maniera quantomeno inopportuna. Fare una conferenza per presentare un decreto che coinvolge i vari soggetti del mondo rinnovabile non fotovoltaico e invitarne solo due, che certo non rappresentano la totalità degli almeno 500 operatori interessati, mi sembra un tantino antipatico. Al di là di queste considerazioni, un anno e mezzo è già passato. Abbiamo ancora sei mesi davanti a noi. La spinta verso le rinnovabili, in questi anni, è stata piuttosto insussistente. E tutta la questione del referendum sulle trivellazioni, per restare nei temi di stretta attualità, è una spia abbastanza indicativa dell’attenzione che il Governo ha riservato alle tecnologie alternative. Certo, bisogna dare merito al neo ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda di aver dato il via, appena insediatosi, ad un nuovo impulso e ad una significativa accelerazione. Tuttavia sarà centrale e dirimente l’atteggiamento del Governo sul prossimo decreto, quello inerente al 2017-2020. Dovrebbe essere approvato, stando alla regola, entro la fine dell’anno. Ma se gli operatori dovessero aspettare altri due anni per l’approvazione del nuovo decreto non noterei alcuna differenza sulla prassi del disinteresse, rispetto al mondo rinnovabile, fino a questo momento perpetrata. Il cambio di passo, in sostanza, va dimostrato. Del resto, qualche intercettazione telefonica ci ha chiarito come mai il Magistero precedentemente capitanato da Federica Guidi mostrasse scarso interesse per le fonti rinnovabili.
Intanto il decreto approvato prevede 85 milioni di euro per 860 megawatt per l’eolico onshore e 10 milioni per 30 megawatt per quello offshore. Quali saranno i passaggi successivi?
I meccanismi di assegnazione degli incentivi prevedono aste competitive. Quei numeri citati dal decreto rappresentano dei massimali ai quali bisogna applicare il 30 o 40 percento di ribasso. Gli 85 milioni per l’eolico onshore e i 10 per quello offshore rappresentano un valore teorico massimo su cui si applica uno sconto che si aggira attorno al 40 percento. Temo che riguardo all’eolico offshore non assisteremo a particolari sviluppi visto che questi impianti sono estremamente complessi da realizzare e presentano costi molto elevati, come si evince anche dal raffronto tra la potenza messa all’asta e il controvalore in termini di energia.
Tuttavia, proprio rispetto all’offshore, è stato recentemente pubblicizzato il progetto per la nuova centrale eolica di Brindisi. Non le sembra un progetto realizzabile?
Nel caso di Brindisi parliamo di processi autorizzativi in stato avanzato, ma a fronte dei quali servirà un investitore che finanzi l’iniziativa. L’offshore è una tecnologia che forse sarà maggiormente implementata di qui a qualche anno. L ’asta si svolgerà regolarmente, se qualche imprenditore dovesse decidere di investire potrebbe essere assolutamente nelle condizioni di farlo.
Ma ripeto, l’offshore è ancora troppo costoso e l’incentivo non è così significativo. Difficilmente vedremo una tecnologia del genere realizzata in tempi brevi. Lo dico con una certa amarezza, perché sarebbe bello che sull’eolico offshore l’Italia iniziasse a fare dei passi in avanti visti i ritardi accumulati su quello onshore. In termini assoluti l’eolico offshore è più competitivo di biomasse e termodinamico, equivalente a geotermia e rifiuti, ma comunque lontano dal grado di efficienza dell’on-shore. L’eolico su terra ferma è, in assoluto, la rinnovabile più efficiente in termini di potenziale e costo per megawatt incentivato. Come ANEV avevamo richiesto di innalzare la tariffa in maniera tale da rendere l’offshore quanto meno plausibile. Ma non c’è stato concesso.
I dati SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno), confortati dalle risultanze Terna, mostrano un trend, rispetto allo sviluppo della fonte eolica, che premia particolarmente le regioni del Sud Italia: in primis Sicilia, poi anche Puglia e Campania. Come mai gli imprenditori del vento virano verso sud? Perché sulle Alpi, che pure sono ventose, non si possono costruire impianti eolici?
È vero, sulle Alpi non si possono realizzare impianti eolici per una serie di motivi. Innanzitutto è un problema di disponibilità della risorsa. Sulle Alpi chiaramente c’è vento, ma è poco utile a produrre energia elettrica perché il sito teoricamente maggiormente vocato all’implementazione dell’eolico è quello in cui il vento non è turbolento ed ha una velocità costante. L’optimum è rappresentato dalla velocità di 77 m/s, il punto di massima produzione degli impianti eolici. I siti alpini sono caratterizzati da venti che arrivano anche a superare in maniera significativa i 25 o persino i 30 m/s. I venti a raffica, peraltro, sono i meno produttivi in assoluto. Ci sarebbe poi un problema di natura orografica giacché andare a realizzare un impianto ad alta quota potrebbe comportare una serie di criticità: nella viabilità, nel trasporto e montaggio delle singole pale, nella realizzazione di cavidotti e postazioni, nell’aspetto meteorologico e infine, ma non meno importante, nella scarsità di ossigeno. La carenza di ossigeno, infatti, comporta una significativa riduzione della produzione di energia elettrica perché la spinta che il vento dà a parità di velocità è la risultante della consistenza dell’aria. Sulle Alpi il “peso” dell’aria è molto inferiore, gli impianti sarebbero altamente improduttivi. La scelta delle regioni su cui puntare per lo sviluppo dell’eolico, dunque, dipende dalla disponibilità della risorsa. Gli imprenditori di settore si autofinanziano con fondi privati e hanno margini di guadagno solo sull’energia elettrica effettivamente immessa in rete. Non deve stupire che la scelta dipenda dal vento. Ecco perché il trend privilegia Sicilia, Puglia, Campania ma anche Sardegna, Basilicata, Abruzzo, Toscana, Liguria. L’unico caso particolare è proprio quello della Sardegna, la regione con il potenziale maggiore, che però negli anni ha posto in essere una serie di leggi e moratorie, tutte poi dichiarate illegittime, che tuttavia hanno fatto in modo che si accumulassero ritardi su ritardi.
La Sardegna non è l’unica realtà che ha manifestato segni di insofferenza. Ultimamente anche la Campania si è resa protagonista di una moratoria dai dubbi esiti. E poi c’è un substrato di cittadini, di nuovi comitati civici, che decisamente si schiera contro l’eolico selvaggio. Come se lo spiega?
La moratoria campana è già stata impugnata dal Governo, che evidentemente l’ha ritenuta illegittima. Non sono d’accordo sulla considerazione che ci sia un’opposizione locale, e mi spiego. Si tratta di pochissimi casi, di comitati composti da due o cinque persone al massimo. Il famoso Comitato Nazionale per il Paesaggio, che per tanti anni si è speso contro l’eolico e non contro tutte le brutture che hanno deturpato il paesaggio, è composto sempre dalle solite tre o quattro persone. Sicuramente ci saranno le proteste di qualcuno a cui non piace l’eolico, ci mancherebbe altro. Ma vorrei segnalare che negli anni sono state condotte una serie di ricerche e di rilevazioni sull’accettazione delle risorse energetiche in generale, e rinnovabili in particolare. Molti sondaggi, alcuni promossi da Greenpeace, altri da Anev e altre associazioni, hanno rilevato un’accettabilità per l’eolico che si attesta mediamente attorno a II’80 percento. Tra l’altro, e questo è molto significativo, è più alta nei territori in cui l’eolico esiste già, in cui si arriva persino a punte dell’82-83 percento. Per questo mi sembra scorretto parlare di opposizioni locali. Non esiste alcuna attività umana in grado di registrare condivisioni assolute. Con tutto il rispetto per chi la pensa diversamente, parlare ostilità locale nei confronti di una tecnologia che produce l’accettabilità più alta tra le varie fonti energetiche, mi sembra una lettura distorta della realtà, una disfunzione prospettica. Dal punto di vista istituzionale tutto questo si è trasformato in una moratoria. In Campania, proprio in Irpinia, mi risulta ci sia un progetto di trivellazioni petrolifere. È curioso osservare che lì dove la minaccia di una devastazione ambientale è più forte, lì dove c’è una speculazione petrolifera, sorgano poi comitati contro l’eolico selvaggio. Vogliamo collegare tra loro queste due cose, o preferiamo aspettare la prossima intercettazione? Non saprei. L’Anev è un’associazione. Valutiamo e registriamo ciò che accade. Siamo contenti che il Governo abbia ritenuto che la moratoria in Regione Campania sia un atto illegittimo e che come tale vada impugnato. Vedremo cosa succederà.
Il mini eolico può essere considerato la nuova frontiera dell’energia rinnovabile? Che vantaggi presenta rispetto all’eolico tradizionale?
Partiamo dal principio che un impianto eolico di qualsiasi dimensione è sottoposto a tutti gli iter necessari a verificarne gli impatti: paesaggistici, ambientali, idrogeologici, e via dicendo. Le procedure per il mini eolico si avviano a livello di amministrazione comunale, e sicuramente è diversa la consistenza degli impianti. Si tratta di impatti ambientali molto diversi. Al mini eolico era stata applicata una tariffa incentivata che, per gli anni precedenti, definirei abbastanza generosa. Quando è stata determinata il mini eolico era ancora in fase di sviluppo e la tariffa era congrua a quel specifico momento, in questi ultimi due anni però c’è stata una buona riduzione dei costi, che tuttavia è stata recepita con un taglio molto significativo degli incentivi, probabilmente troppo significativo, tanto da scendere da 268 a 190 euro a mw/h. Cosa accadrà? Purtroppo temo che con queste nuove tariffe il mini eolico subirà un drastico ridimensionamento se non addirittura un blocco. Questo almeno fino a quando i produttori di tecnologie non riusciranno ad ottenere una riduzione significativa dei costi. Per cui oggi è ancora un investimento molto interessante, anche se devo ammettere che gli operatori del mini eolico hanno avuto non poche difficoltà ad interagire col GSE, che ha molto irrigidito le procedure. Non so se continuerà ad essere conveniente nel prossimo futuro.
Spesso si è parlato di una connessione tra eolico e mafie, specie nel sistema dei subappalti. Lungi dal fare di tutta l’erba un fascio, quali sono le misure che l’Anev intende adottare per tutelare quella parte di imprenditori onesti che assurgono a bersagli privilegiati di attentati ed intimidazioni?
La questione della parentela stretta tra eolico e mafie è stata gonfiata ad arte da alcuni organi di informazione. Di fatto tutti i vecchi procedimenti hanno segnalato un coinvolgimento diretto del Nicastri come soggetto interlocutore di Matteo Messina Denaro, ma non un diretto coinvolgimento degli imprenditori del settore. Che nei lavori per realizzare quegli impianti ci possa essere stata qualche ditta locale preferita all’una piuttosto che all’altra concorrente, è un fatto che potrebbe essere accaduto, ma mi auguro di no. Chi fa eolico tuttavia predilige le aziende locali perché ciò consente di ridurre i costi generando ricaduta occupazionale. In ogni caso non mi pare ci siano state fino ad oggi sentenze che abbiano di fatto giustificato la natura di questi teoremi accusatori nei confronti del mondo dell’eolico. Per quanto ci riguarda, abbiamo promosso e sottoscritto il protocollo d’intesa che Confindustria e ministero dell’interno avevano predisposto proprio per limitare le possibilità che le associazioni mafiose potessero infiltrarsi nell’indotto rinnovabile. Ma mentre Confindustria si è limitata a sottoscrivere il protocollo in questione, l’Anev ha imposto l’adesione obbligatoria a tutti i suoi associati. In più, quando si sono verificati attentati o atti di intimidazione, abbiamo provveduto immediatamente ad attivare, di concerto con le Prefetture delle province interessate, i comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza partecipando a tutti i tavoli di discussione e definendo le procedure di tutela e salvaguardia. Abbiamo inoltre presentato agli organi competenti tutte le denunce promosse dai nostri associati. Ultimamente l’Anev ha chiesto al Mise, che coordina un gruppo di lavoro specifico riguardante le strutture energetiche strategiche e la loro difesa, che gli impianti eolici oggetto di attentati fossero inseriti nell’alveo di quelli attenzionati. Al momento ci hanno dato una risposta che definirei interlocutoria, ma sarà mia premura sollecitarli in tal senso. Di fatto stiamo cercando in tutti i modi di reagire. In questo contesto gli operatori del settore rappresentano comunque la parte lesa, non quella collusa. Come si fa a dire che si è collusi con la mafia se i primi a subire attentati sono proprio i collusi? E poi bisogna accertare quando si tratta o meno di mafia.
In Alta Irpinia, non più tardi di qualche mese fa, si è sparato con dei kalashnikov su alcuni centri di connessione dell’energia elettrica in rete. Sono stati collocati ordigni rudimentali accanto a una sottostazione Enel. E, come se non bastasse, alcuni mezzi adibiti al trasporto di porzioni degli impianti sono stati dati alle fiamme. Scene da far west in un contesto, quello dell’lrpinia d’Oriente, che non è certo caratterizzato da certe fenomenologie malavitose. Se questa non è malavita organizzata, lei che spiegazione si dà di questi episodi?
Hanno sparato in pieno giorno, alle tre del pomeriggio, con un senso dell’impunità che ha del clamoroso. Questa cosa mi ha traumatizzato. Quando ho parlato con la Prefettura di Avellino, ero allarmato. Pensavo fosse una cosa talmente grave da dover disporre immediatamente dell’uso di forze armate. Pensavo ai ragazzi al lavoro mentre sparavano con i kalashnikov. Poi il Prefetto di Avellino mi ha risposto che in questa provincia sono in molti ad essere armati. Forse voleva solo tranquillizzarmi, ma questa cosa mi ha fatto capire che c’è tutto un mondo che probabilmente ignoro in cui certe questioni vengono fatte passare come cose all’ordine del giorno. Il Prefetto forse l’ha presa un po’ alla leggera. C’è chi dice che in alcuni degli impianti su cui si sono concentrate le indagini fossero stati appena revocati i contratti di guardiania. Qualcun altro ha parlato di una rappresaglia in difesa del lavoro. Ne sono sconcertato. Attualmente sembra che la situazione si sia stabilizzata. L’Anev, nel frattempo, sta stipulando dei protocolli di salvaguardia ulteriori, di cui l’ultimo con Terna. Loro sono spesso oggetto di intimidazioni. Stiamo condividendo alcune procedure di sicurezza. Tutto quello che possiamo fare, lo faremo. Per essere ancora più chiari, se un domani si dovesse dimostrare che uno dei nostri associati è a vario titolo connesso alla mafia, sarò il primo ad essere inflessibile. Certo è che l’Anev non può espellere i suoi membri sulla base di un chiacchiericcio diffuso o di qualche titolone fatto per vendere più giornali.