Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

La guerra del glifosato

Il 27 novembre scorso il Comitato d’appello dei 28 Stati membri dell’Unione Europea ha rinnovato l’autorizzazione all’utilizzo del glifosato per altri cinque anni. A favore si sono espressi sostanzialmente compatti i Paesi dell’Est Europa. Ma, nella sostanza, a spostare il baricentro degli equilibri è stata la Germania. Lì dove pesa di più la possibile fusione tra il colosso farmaceutico nazionale Bayer e la Monsanto Company. Intanto, va all’Italia, il primato europeo di maggiore fruitore di rimedi chimici bioalteranti per unità di superficie calcolata.

Il sì di Berlino ha spinto verso il rinnovo Bulgaria, Polonia e Romania. A votare contro sono state Italia, Francia, Belgio, Malta, Ungheria, Cipro, Grecia, Lettonia e Lussemburgo. L’unica nazione astenuta, il Portogallo, non ha di fatto mutato la strategia in campo. Gli Stati, in piena autonomia, hanno sconfessato l’Europarlamento, già precedentemente espressosi a favore di una graduale eliminazione del glifosato.
La partita sul tavolo delle trattative era ancora aperta. Allo stop immediato alla proroga – avallato da cittadini, comitati ambientalisti e associazioni di categoria aderenti alla campagna “Stop Glifosato” – erano contrapposti il rinnovo per altri cinque anni e una graduale dismissione dell’erbicida tossico da dilazionare in tre anni. Proposta, quest’ultima, caldeggiata in particolare da Francia e Italia. Ma il via libera licenziato dal Comitato d’appello, con 18 Paesi favorevoli su 28, se non chiude del tutto la partita, è certamente un segnale politico rilevante. Sul piano degli interessi strategici vincono Monsanto e Bayer. Perdono tutti i cittadini che hanno messo al bando il glifosato invocando il principio di precauzione.

IL CASO ITALIA
Dal rapporto nazionale sui pesticidi redatto dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) emerge che l’Italia, con ben 5,6 chilogrammi di pesticidi per ettaro all’anno, è il maggiore fruitore di rimedi chimici bioalteranti per unità di superficie calcolata. Circa il doppio rispetto a Francia e Germania. Nel 2014, secondo il medesimo rapporto ufficiale, la concentrazione delle sostanze tossiche rinvenute nelle acque italiane ha superato le 134 mila tonnellate. Un ammasso di veleni in cui sono stati identificati circa 175 p.a pesticidi. Sostanze attive che hanno un loro peso specifico sulla salute umana. Tra cui spicca, tra tutti, il glifosato.
I numeri sono in costante crescita. Specie se si pensa che nell’anno precedente, le sostanze attive rilevate erano 166. L’Ispra – in un rapporto relativo al biennio 2011-2012, elaborato sulla base di dati provenienti dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (Arpa) – ha individuato nel glifosato l’erbicida più utilizzato nell’agricoltura italiana.

Glifosato Oliveti

Foto: Glifosato e oliveti // Vito L’Erario

I LIMITI ITALIANI AL GLIFOSATO
Il divieto all’utilizzo del glifosato in aree frequentate dalla popolazione o in prossimità di “gruppi vulnerabili” – parchi, giardini, campi sportivi, zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili, aree verdi interne a complessi storici o a strutture sanitarie – è in vigore dal 2016. La normativa di riferimento è quella del decreto del ministero della Salute del 21 novembre 2016 che, modificando i precedenti decreti del 9 agosto e del 6 settembre dello stesso anno – relativi alla revoca di autorizzazioni all’immissione in commercio e modifica delle condizioni di impiego di prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosato – dà attuazione al regolamento d’esecuzione europeo 2016/1313 varato dalla Commissione l’1 agosto del 2016.
È consolidato il divieto d’uso in campagna, specie durante la fase di pre-raccolta. In più, è ancora in vigore la revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari contenenti glifosato con coformulante ammina di sego polietossilata.
Nonostante tutto, i residui dannosi del principio attivo sono parte integrante della nostra dieta. Secondo un’inchiesta condotta da “Il Salvagente”, gli alimenti più a rischio sono pane, farina e prodotti a base di farina. In parte anche perché circa l’85 per cento dei mangimi utilizzati negli allevamenti nostrani sono costituiti da mais, soia, colza Ogm. Tutti prodotti resi resistenti al glifosato e importati dall’estero. Secondo Coldiretti, infatti, nel 2016 l’Italia ha importato oltre 2,3 milioni di tonnellate di grano, in gran parte dal Canada. Lì dove il glifosato viene utilizzato in maniera intensiva anche in fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato.
I fitofarmaci e i pesticidi comunemente utilizzati – quali insetticidi, fungicidi ed erbicidi derivati dalla chimica di sintesi – non creano danni solo all’ambiente e alle biodiversità. Condizionano e incidono pesantemente anche sulla salute umana. Secondo i dati forniti dalle corporation e multinazionali produttrici, i più utilizzati rilasciano residui che, pur essendo riconoscibili in tutta la catena alimentare, non sono nocivi per l’uomo. Tuttavia, altre fonti ritengono che almeno 200 mila persone all’anno muoiono proprio a causa della svalutazione dei rischi legati all’uso di questi prodotti chimici (Washington Post del 19 luglio 2013, un articolo dal titolo “Insetticide blamed for indian school deaths kill 200.000 every year, is related to Sarin”). Chi ha ragione?

L’IDENTIKIT DEL GLIFOSATO
Il glifosato o glyphosate – C3H8NO5P – è un composto amino fosforico della glicina (N-fosfonometil glicina) appartenente alla classe dei fosforganici-fosfonati. Più semplicemente, è un erbicida non selettivo e fitotossico per tutti i vegetali elaborato dalla chimica di sintesi. La sua peculiarità è che agisce come prodotto sistemico. Infatti, una volta assunto per via fogliare, viene automaticamente trasmesso in ogni altra parte della pianta, devitalizzando in breve tempo anche organi ipogei e sotterranei quali rizomi, bulbi e fittoni di ogni organismo vegetale.
In genere è utilizzato nella fase vegetativa di post-emergenza delle piante. L’assorbimento avviene in meno di cinque ore dopo la somministrazione per contatto, mentre la sua azione erbicida è visibile nei dieci giorni successivi. Il glifosato, infatti, agendo nel cloroplasto interrompe la via metabolica responsabile della sintesi degli amminoacidi aromatici – fenilanina, tirosina e triptofano – inibendo la sintesi dell’EPSP sintasi, l’enzima essenziale e funzionale alla sopravvivenza della pinta stessa. Il risultato finale è il totale disseccamento della vegetazione.

ALLE ORIGINI DEL COMPOSTO: GLI INTERESSI DI MONSANTO COMPANY
La sostanza è stata sintetizzata, prodotta e commercializzata dalla Monsanto Company fino all’anno 2001. Alla scadenza del relativo brevetto la molecola è diventata di libera produzione. Questo implica che oggi, il principio attivo viene prodotto e venduto in tutto il mondo da circa cinque o sei multinazionali operanti nel settore della chimica farmaceutica. Non stupisce, dunque, l’operazione tutta tedesca portata avanti dal gruppo Bayer, sempre più proiettato verso un’acquisizione della Monsanto Company.
I bassi costi della sostanza sul mercato, uniti al suo agevole utilizzo nelle colture intensive e a fattori di opportunità – numerosi studi hanno dimostrato che l’utilizzo del glifosato impedisce di sottoporre i terreni coltivati ad aratura profonda riducendo consumo e degradazione dei suoli – hanno determinato il grande successo commerciale del prodotto. Oggi il glifosato è, di fatto, l’erbicida più diffuso al mondo.

CONTROVERSIE SULLA PERICOLOSITÀ
Nel 1996 i magistrati dello Stato di New York condannano la multinazionale Monsanto dimostrando che il Roundup – nome commerciale del glifosato all’epoca dei fatti – può essere considerato a tutti gli effetti un inquinante non biodegradabile. Al contrario, quindi, di quanto sostenuto fino a quel momento dalla principale azienda produttrice del composto.
Qualche anno dopo, nel 2001, uno studio condotto da Helen McDuffie pubblicato dall’università canadese dello Saskatchewan dimostra che le persone esposte al glifosato per più di due giorni all’anno hanno il doppio delle probabilità di contrarre il linfoma di non hodgkin rispetto a chi non è mai stato esposto. Tesi confermata dai ricercatori svedesi Lennart, Hardell, Mirkael Eriksson e Marie Nordstrom nel 2002 nonché dalle ricerche del professor Robert Bellè in Francia.
Ma è stato l’articolo pubblicato il 30 marzo del 2015 dalla rivista The Lancet a creare maggior clamore. L’autorevole organo di comunicazione riconosciuto dall’ordine medico internazionale pubblica i risultati della ricerca condotta da Kathryn Z. Guyton e Dana Loomis dello Iarc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro). Lo studio dimostra chiaramente che il glifosato è “un probabile cancerogeno per l’uomo” e, come tale, può causare il cancro. La sostanza viene inserita dai ricercatori nella categoria 2°, la stessa nella quale vengo annoverati Ddt e steroidi anabolizzanti.
Tutto questo ha portato l’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) a suggerire, nel novembre del 2015, una serie di studi all’interno di alcuni Paesi membri. Il BfR tedesco conclude la sua ricerca con l’improbabilità cancerogena e la non pericolosità del principio attivo. Una tesi confermata anche in una riunione congiunta svoltasi nel maggio 2016 tra esperti dell’Oms e della Fao sui residui di pesticidi. Nel frattempo, in una lettera aperta al Commissario Ue sulla Salute e Sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis, 90 scienziati – tra i quali i ricercatori del centro di ricerca sul cancro Istituto Ramazzini di Bologna – evidenziano risultati molto più simili a quelli pubblicati in precedenza dallo Iarc. Il glifosato e i fitofarmaci che ne contengono il principio attivo potrebbero provocare gravi danni alla salute, tra cui patologie oncologiche a lungo termine. Sullo stesso filone si colloca l’inchiesta condotta da Le Monde, denominata “Monsanto papers”, che ha portato a galla le pressioni della multinazionale su taluni organismi istituzionali che avrebbero dovuto esprimersi sulla pericolosità del glifosato. Addirittura sembrerebbe che le ricerche attraverso le quali l’Efsa e l’Echa (Agenzia per le sostanze chimiche dell’Unione) avrebbero formulato i loro pareri di no pericolosità del principio attivo siano derivate direttamente dai dati scientifici prodotti dalla Monsanto Company.

STOP GLIFOSATE
L’ondata di indignazione che ha portato numerose associazioni di categoria ad aderire alla campagna “Stop Glifosate” non sembra ancora essersi arrestata. In pochi mesi numerosi cittadini europei hanno chiesto agli organismi istituzionali dell’Unione di mettere al bando il glifosato in virtù del principio di precauzione. Richieste cadute nel vuoto. La Commissione Europea, nel dar seguito a una decisione del Parlamento Europeo, ha portato la proposta di rinnovare l’autorizzazione per l’utilizzo del principio attivo in sede di Comitato d’appello. Che, il 27 novembre scorso, ha deciso a favore del rinnovo dell’autorizzazione all’uso del glifosato.
Ma la battaglia sulla sicurezza alimentare, non può essere svilita a diatriba tra enti di ricerca o gruppi di pressione. È uno scontro epocale tra chi esige regole e rispetto dei diritti e chi insegue il profitto a ogni costo. Unica assente, la politica. Quella che avrebbe dovuto ascoltare e ratificare le richieste dei cittadini europei. Un recente sondaggio, pubblicato dall’associazione internazionale di consumatori SumOfUs e finanziato con il contributo di migliaia di comuni cittadini rivela che l’80 per cento dei tedeschi, il 79 per cento dei francesi, l’84 per cento degli italiani, l’77 per cento dei portoghesi e l’81 per cento dei greci sono fortemente contrari all’utilizzo del glifosato. E, dunque, favorevoli al suo divieto immediato.

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