Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

La goccia che fa traboccare l’invaso

Il lago del Pertusillo potabile a fasi alterne?

Il Lago del Pertusillo è una diga artificiale, a sbarramento del fiume Agri, con una capacità di 155 milioni di metri cubi di acqua. È riconosciuto come Sito d’interesse comunitario (Sic) e Zona di protezione speciale (Zps) in Zona 1 del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese. Terminato nel 1962, con i fondi della Cassa del Mezzogiorno, l’invaso serve di acqua la Basilicata, la Puglia (per oltre il 65 per cento) e la Calabria, soprattutto per usi irrigui e potabili. Eppure più che un’infrastruttura è ormai il simbolo dell’incapacità, tutta italiana, di monitorare l’ambiente. Ambientalisti ed accademici, negli ultimi anni, hanno studiato le acque del Pertusillo ma, nonostante questo, mancano ancora molti dati. L’allarme di inquinamento scattato a febbraio, con l’apparizione di grandi macchie nere, è solo l’ultimo di una lunga serie.
A gestire il Pertusillo, anche conosciuto come Lago di Pietra, è il morente Ente di irrigazione di Puglia, Lucania ed Irpinia (Eipli), in liquidazione, commissariato dal lontano 1979. Un macigno. Una macchina mangiasoldi secondo la magistratura contabile e la magistratura ordinaria, con un grande onere: la manutenzione degli invasi, compreso il Pertusillo. Diversi studi scientifici – condotti tra il 2012 ed il 2016, sia dal Centro nazionale delle ricerche (Cnr), ed illustrati nel corso dell’edizione numero trentatré del Convegno nazionale di geofisica della Terra Solida di Trieste, sia dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) nell’ambito del protocollo Val d’Agri firmato tra Eni ed Ingv nel 2013-2015 – attestano che dal 2006, nella zona della diga del Pertusillo, oltre al rischio dell’attività micro-sismica causata dal mutamento dei volumi idrici dell’invaso, si è aggiunto il rischio legato alla re-iniezione petrolifera. Sismicità indotta partita dopo soli quattro giorni dall’attivazione del pozzo Costa Molina 2 (CM2), posizionato a cinque chilometri di distanza in linea d’aria dal Pertusillo, sul quale potrebbe incidere anche la presenza di pozzi petroliferi dell’Eni anche più vicini, come il “Monte Alpi 6” – in riperforazione dal 2016 – a solo un chilometro.
Dal 2015, poi, oltre alla sismicità si è aggiunto il problema della contaminazione della fauna ittica. Nello stesso anno, a Calvello, una ricerca dell’Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) di Puglia e Basilicata rileva nel 20 per cento dei pesci prelevati vivi nell’invaso – tra il mese di marzo del 2012 ed il mese di aprile del 2013 – una contaminazione da microcistine, compresa tra la soglia di rischio sanitario cronico e la soglia di rischio acuto EPA, con il 13,3 per cento di campioni maggiore anche alla soglia stessa di danno acuto. Nei 22 pesci esaminati i veterinari individuano piombo e PCB (sommatoria) fino a 1,38 nanogrammi/grammo e 16 tipi diversi di idrocarburi policiclici aromatici. Rame e mercurio nei muscoli di persici e carpe fino a 3 nanogrammi/grammo, così come fluorantene e fenantrene. Gli stessi idrocarburi che l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata (Arpab) trova in sedimenti ed acque durante gli ultimi monitoraggi del Pertusillo effettuati tra il 2015 e il 2017. Per i veterinari dell’Izs la situazione è così estesa da rappresentare una concreta minaccia per gli “abitanti-consumatori“. Tuttavia, pochi giorni dopo dalla divulgazione dello studio “Monitoraggio cianotossine Occhito e Pertusillo” – come spesso accade in Basilicata – l’Azienda sanitaria di Potenza e lo stesso Istituto zooprofilattico si attivano per smentire o ridimensionare il problema, negando il nesso tra inquinamento e morie di pesci.

INQUINANTI NELLE FALDE E NEGLI ALIMENTI
Tra il 2002 e il 2010, a ridosso del Pertusillo, la Metapontum Agrobios – società a responsabilità limitata (srl) nata nel 1985 come consorzio tra Regione Basilicata ed Eni, e dal 2013 scorporata tra gli enti sub-regionali Alsia e Arpab – trova svariati inquinanti anche nelle falde della zona e negli alimenti. Nel 2008, le falde della Val d’Agri – il cuore del giacimento di greggio in terraferma più grande d’Europa – sono piene di cloroformio, come ad Augusta, in Sicilia. Metapontum Agrobios lo mette nero su bianco nel rapporto sulle aree petrolizzate lucane redatto nello stesso anno. Non solo. Nei sedimenti di alcuni corpi idrici della Val d’Agri risultano evidenti le contaminazioni da trielina (tricloroetilene cancerogeno) e da idrocarburi pesanti nei punti di confluenza dei torrenti Alli e Casale, affluenti del fiume Agri. Le cause della contaminazione si delineano lungo due ipotesi: sversamento accidentale di greggio o procedure non corrette nella lavorazione del greggio. A sforare sono anche i limiti di dicloropropano, trialometani, bromoformio, dibromoclorometano e dibromometano. 

IDROCARBURI E METALLI PESANTI IN QUERCE, LEMNE E BRASSICHE
Nel 2009 Metapontum Agrobios introduce nei bio-monitoraggi anche gli alimenti. Dopo aver trovato la presenza puntiforme di mercurio fino a 0,17 milligrammi/chilogrammo nella vegetazione acquatica (lemna), con picchi per manganese e zinco, rispettivamente, fino a 53 mila milligrammi/chilogrammo e 12 mila milligrammi/chilogrammo, esclude comunque fenomeni di bio-accumulo che, in seguito, è costretta ad ammettere. Lo fa nel caso della “brassica”, famiglia di vegetali a foglia larga, nella quale rientrano i cavolfiori e le verze: i tecnici certificano un effetto, in corso, di “accumulo di rame, ferro, piombo, tallio, stagno e vanadio.
Sempre nel 2009 Metapontum Agrobios parla di bio-accumulo nelle querce campionate presso le aree pozzo della Val d’Agri per i parametri cadmio, cromo, piombo, nichel e zinco. Poche frasi, prive di dati-analisi, per liquidare un dramma.

IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI NELL’OLIO E PIOMBO NEL FORMAGGIO
Tra il 2006 ed il 2009 Metapontum Agrobios – ente di ricerca regionale dal 2009 non più accreditato – trova tracce di idrocarburi policiclici aromatici e non in campioni di olio d’oliva, miele, mele e fieno da foraggio, nonché piombo nelle patate e nel formaggio nell’ambito di tre campagne di bio-monitoraggi. In particolare il piombo nel formaggio campionato registra valori di oltre 2 milligrammi/chilogrammo. L’Istituto superiore di sanità (Iss), in un suo studio del 2009, cita come massimo valore rilevato fino ad allora 0,02 milligrammi/chilogrammo. Benzene, etilbenzene, xileni ed altri aromatici appaiono ripetutamente in formaggio, insilato, fieno, olio, peperoni, fagioli e patate. La causa della contaminazione degli alimenti è l’acqua superficiale o di falda, o le precipitazioni che portano al suolo gli inquinanti dell’aria?

IDROCARBURI NEI PEPERONI SECCHI, PCB NEI FUNGHI E CLOROFORMIO NEL FIENO
Nel 2010 tocca ai ritardanti di fiamma. Infatti, viene rilevata anche una contaminazione da Pbde in alcuni sedimenti valligiani, nonché ufficializzato il fenomeno di “inibizione dell’accrescimento radicale in alcune piante analizzate.
Alla sorgente del fiume Agri viene rilevato nei sedimenti l’isopropiltoluene. E gli idrocarburi in olio, funghi, drupe e peperoni secchi. Questi ultimi vengono definiti da Metapontum Agrobios come particolarmente interessanti, visto che la loro cerosità esterna sembra essere un ottimo bioindicatore/accumulatore.

LE MICROCISTINE NEI PESCI DEL PERTUSILLO: L’ACQUA NON ERA POTABILIZZABILE? 
Nel 2010 – in tre diverse specie di pesci – vengono rinvenute quantità considerevoli di microcistine, quindi di tossine cancerogene provenienti da cianobatteri. Questi ultimi, rilevati dall’Istituto superiore di sanità solo nel 2012, esistevano presumibilmente nel lago almeno da due anni prima. Tra carpe, carassi e persici-trota le microcistine oscillavano tra 0,85 e 2,01 nanogrammi/grammo. Valori che esponevano i consumatori, anche di un solo pesce da 200 grammi, a seri rischi di cancerogenità. Nel giugno 2010, durante una conferenza di servizi sul Pertusillo – alla presenza di Regione, Arpab ed Istituto zooprofilattico – viene proposto il monitoraggio di casi umani sospetti di avvelenamento, l’interdizione della pesca nell’invaso e l’interdizione dell’utilizzo delle acque, avanzando seri dubbi sull’uso potabile dell’invaso nonché l’analisi di tutti i pozzi artesiani prospicienti l’invaso e l’obbligo di comunicare alla popolazione i rischi nell’utilizzo dell’acqua anche potabilizzata. Perché? Perché le microcistine non erano potabilizzabili e per distruggerle servivano quantità di cloro troppo al di sopra della soglia di legge. Il tutto finì con un “faremo“.

LA MORTALITÀ DEI PROTOCOLLI
Che il Pertusillo sia scomodo lo si vede dall’indice di mortalità e produttività dei protocolli-progetti nati su di esso: tanti siglati, pochi conclusi, e quei pochi conclusisi “positivamente” sull’inquinamento dell’invaso, sono stati bloccati, non rinnovati o rimaneggiati strada facendo, come una tela di Penelope. Una delle poche studiose incardinate nell’Istituto superiore di sanità, che capì la cornice attorno alla contaminazione dell’invaso, in seguito non tornerà più. Questa studiosa, in un’intervista di due anni pubblicata su Basilicata24 – intitolata: “Pertusillo, la verità è cosa nostra”, ed in parte riprese nell’articolo: “L’ombra dei servizi sul Pertusillo?” – ha affermato che “all’epoca del soggiorno in Basilicata, cenai nel solo locale facilmente raggiungibile dal mio alloggio nel centro storico di Potenza, e lì trovai un estraneo di fronte all’entrata che apparentemente perdeva tempo. In realtà quando mi vide attaccò a parlare con una scusa, facendo domande insistenti su cosa stessi facendo lì, il motivo per cui soggiornavo. Alle mie risposte generiche questa persona iniziò a raccontare di sé, sottolineando che per 20 anni aveva lavorato a Roma nei Servizi. Abbandonai subito la situazione con una scusa e per la prima sera finì così. L’indomani, al momento dei campionamenti sul Pertusillo, ci trovammo chiusi per quasi un’ora con un lucchettone dentro il recinto della Masseria Crisci. Per fortuna l’abilità dei soccorritori risolse il problema altrimenti avremmo aspettato per ore i soccorsi, infatti la zona in questione era alquanto isolata. Degno di attenzione fu l’atteggiamento del personale Arpab che sembrava pietrificato dalla preoccupazione scaturita dall’evento. In quei giorni rinvenimmo anche nei pressi dell’invaso un tubo di scarico la cui natura non approfondimmo. Ad oggi, sicuramente importante sarebbe non la sola continuazione del monitoraggio ma proprio il suo approfondimento, dato che le analisi dell’Arpab mostravano una presenza non uniforme ma periodica di idrocarburi nell’acqua (rilevazione che deve essere sistematica, data la veloce clearance di questi composti nell’ambiente acquatico). Questo al netto della concentrazione nella catena alimentare. L’Arpa Basilicata ad oggi non ha ancora versato la sua quota per i monitoraggi in questione. Attualmente questa convenzione è stata rinnovata ma con personale diverso dal primo lavoro ed onestamente in Basilicata si respirava aria pesante.” 
Queste pressioni, minacce, sono state ufficiosamente denunciate anche dall’autrice dello studio sulla fauna ittica, studiosa inquadrata nell’Istituto zooprofilattico di Foggia.

QUANDO TUTTO VA MALE ARRIVA ENI E PASSA LA PAURA
Prende il nome di “Progetto di monitoraggio dello stato degli ecosistemi e del biomonitoraggio nell’area della Val D’Agri”, ed è il lavoro congiunto di Arpab ed Eni – controllato e controllore (non il contrario) – sullo stato di salute del Pertusillo, dell’Agri e dei principali torrenti della zona.
Tra il 2013 ed il 2014 il naftalene viene rilevato nell’acqua dell’invaso e nei sedimenti: 0,2 microgrammi/chilogrammo. Un valore superato frequentemente sia nei sedimenti fluviali che nei sedimenti dell’invaso, con soglie più elevate nei siti “sorgente Rifreddo”, “confluenza Agri nel Pertusillo”, “Villa D’Agri”, “sorgente Agri” e “Fiume Agri”, come nell’area compresa tra il “Centro olio dell’Eni e la diga del Pertusillo” e nel “torrente Maglia” a valle di Sarconi. Invece, al punto “confluenza Agri-Pertusillo” il naftalene arriva a 18 microgrammi/chilogrammo. L’U.S. Army – fonte utilizzata dall’Ispra per lo studio dei sedimenti – suggerisce limiti di legge più bassi per diverse sostanze tossiche/cancerogene rinvenute nel Pertusillo. Soglie più severe rispetto anche al decreto legislativo n.152/06. Stando ai valori Ispra-U.S. Army, oltre al naftalene numerosi altri sforamenti nei sedimenti si sarebbero avuti per antracene, fenantrene, pirene, benzo(b)fluorantene e fluorantene, arrivati fino a 25 microgrammi/chilogrammo.

SIMIL-DIOSSINE NEI SEDIMENTI DEL PERTUSILLO
Nonostante il limite normativo italiano per i Pcb totali si riferisca ai sedimenti marino-costieri – quindi ad acqua non ad uso umano – anche per gli invasi ad uso potabile si usa lo stesso limite, che a questo punto è “culturale”, più che di legge. Tuttavia sempre l’Ispra, ricorrendo agli studi americani, lo consiglia a 1,802 microgrammi/chilogrammo, di molto inferiore rispetto ai limiti vigenti. Perché? Gli attuali limiti di legge sulle diossine non considerano gli studi-effetti che essi hanno con il fenomeno del bio-accumulo, cioè l’accumulo nel tempo all’interno degli organismi. Tematica grave su cui la politica non vuole danneggiare il mondo industriale. Ebbene, nel Pertusillo sono stati rinvenuti diversi tipi di diossine nei punti “Vs10-Agri-Villa D’Agri”, nel canale di depurazione della zona industriale e nell’area compresa tra il Centro olio Eni ed il Pertusillo. Per magia il valore più alto rilevato nel punto “Vs10” è stato di 1,800 microgrammi/chilogrammo, quindi di 0,002 microgrammi/chilogrammo al di sotto della soglia di allarme dell’Ispra. Presenza elevata di diossine è stata rinvenuta anche nel centro invaso, con un valore di 1,49 microgrammi/chilogrammo. Sempre nel centro invaso sono state rinvenute, nel 2013, due tipi di diossine: gli hexaclorobifienili (0,3 microgrammi/chilogrammo) e gli heptaclorobifenili (0,28 microgrammi/chilogrammo). Nel punto “Agri-Villa d’Agri”, invece, sempre nei sedimenti i triclorobifenili arrivano a 0,35 microgrammi/chilogrammo. L’Arpab ipotizza che il centro dell’invaso rappresenti una zona di scarso ricambio e, dunque, di scarsa mobilità degli inquinanti che comunque – stando ai dati – si stanno accumulando in una chiara linea di spandimento che va dal centro-invaso allo sbarramento.

NON VENGONO RICERCATE SOSTANZE COME L’ALLUMINIO
Inguardabili le analisi svolte dall’Arpab tra il 2011 ed il 2013: i punti di campionamento sono discutibilissimi ed i sedimenti quasi inesistenti. Il tutto privo di firme o timbri d’ufficio o nomi di tecnici responsabili del contenuto dei documenti. Insomma pura carta straccia. Per i primi 8 mesi del 2011, alla voce idrocarburi, non risulta alcun esame svolto. E le conclusioni del rapporto? Trenta parole, contate, che dicono che tutto va bene. Il rapporto sul Pertusillo del luglio 2011, nonostante le solite deficienze, riporta però un campionamento importante di acque in località “Bosco dell’Aspro”, nel comune di Montemurro, dove a 50 centimetri dalla superficie vengono rilevati 1530 microgrammi/litro di idrocarburi totali, mentre in località Coste Rainaldi a 2,7 metri di profondità gli idrocarburi arrivarono a 3140 microgrammi/litro: valori non solo cancerogeni e fuori norma ma da inchiesta giudiziaria immediata. Sul sito web dell’Agenzia regionale – nella sezione dedicata al Pertusillo – le analisi sono ferme al mese di marzo 2016 e sono come sempre incomplete, non accreditate e con punti di campionamento discutibili e poco concentrati verso il margine petrolizzato dell’invaso. Nessuno studio sull’effetto sinergico dei vari contaminanti presenti. Nessuna caratterizzazione dell’origine dell’inquinamento. Intere categorie di inquinanti – dai polimeri agli xeno biotici – non sono mai state ricercate. Il monitoraggio satellitare dell’invaso – promesso nel 2012 – è morto nella culla. Delle carote prelevate da Arpab-Unibas e Fondazione Mattei nel 2015 nel fondale dell’invaso non se ne sa nulla, così come le indagini volte a capire la quota d’inquinamento avocabile all’industria, ai depuratori civili o agli scarichi zootecnici abusivi. Quest’ultimo problema noto da decenni alla Regione Basilicata.

GLI ULTIMI CAMPIONAMENTI NEL PERTUSILLO
L’associazione Cova Contro, negli ultimi campionamenti nel Pertusillo svolti a febbraio di quest’anno, ha rilevato tra i 38 e i 270 microgrammi/litro di idrocarburi totali nelle acque superficiali dell’invaso, oltre a fosfati (oltre soglia) e manganese, in aggiunta a valori di azoto totale oltre tre volte la soglia di legge per le acque di categoria A2. Rilevate in un referto specifico in aggiunta agli inquinanti antropici anche fioriture algali per oltre 10 milioni di cellule litro e ciano batteri, quindi alghe ed idrocarburi mixati.

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Autore:

Attivista amante della Basilicata ma poco dei lucani.