Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Lavoro e maternità. La coperta troppo corta del Fertility Day

“Una cosa è parlarne tra noi, gente di mondo, e una cosa è parlarne con chi non può capire. Tanto più che lei potrebbe cambiare idea, no?” Ha insistito parecchio su questa faccenda del cambiare idea. Almeno no al terzo mese avevo tutto il tempo di ripensarci, diceva, e ripensarci avrebbe dimostrato saggezza: la mia carriera era così bene avviata, perché interromperla per un sentimentalismo? Ci pensassi bene, non si trattava neanche di interromperla per pochi mesi o un anno: si trattava di mutare l’intero corso della mia vita. Non avrei più potuto disporre di me stessa e non dimentichiamo che la ditta mi aveva lanciato puntando proprio sulla disponibilità che o rivo. Lui teneva in serbo tanti bei progetti per me. Davvero, se ci ripensavo, non avevo che da dirlo. E mi avrebbe aiutato. (Lettera a un bambino mai nato, Oriana Fallaci)

Ieri o nel 1975, le parole di Oriana Fallaci sembrano interrompere il corso del tempo in un’Italia che non cambia e che, semmai, peggiora. A seguito del caso mediatico alimentato dal Fertility Day voluto dal ministero della Salute, dalle campagne pubblicitarie fallimentari, dalle esortazioni – più o meno esplicite – a procreare, ci siamo chiesti quali siano – oggi e non le 1975 – le effettive condizioni per mettere al mondo un bambino ed essere in grado di mantenerlo. Lo abbiamo fatto con Antonio Vento, presidente dell’Osservatorio nazionale mobbing ed ex docente di psichiatria e criminologia presso l’Università La Sapienza di Roma.
I dati che abbiamo raccolto delineano – dal punto di vista lavorativo per le madri e le donne che decidono di intraprendere una gravidanza – un quadro della situazione preoccupante. Quello che troppo spesso si dimentica è che – in Italia – il problema non è la volontà o meno delle donne di avere dei figli, quanto la reale possibilità di continuare una vita normale alle condizioni economiche e sociali conquistate.
Il fenomeno del mobbing legato alla maternità delle donne in ambito lavorativo ha numeri sommersi, legati alla difficoltà di reperire i numeri soprattutto per il lavoro nero. Quello che possiamo commentare è solo la punta dell’iceberg di quanto realmente accade.
Quando si parla di mobbing per maternità bisogna calcolare circa 500 mila casi l’anno. Per le donne con un’età media compresa tra i 25 e i 35 anni, negli ultimi sei anni, il mobbing è aumentato del 30 per cento. Negli ultimi due anni sono state costrette a dimettersi circa 800 mila donne, di cui 400 mila circa discriminate perché “in stato interessante” o per richieste attinenti alla necessità di armonizzare il lavoro con esigenze familiari. In particolare, 4 donne su 10 sono costrette a dare le dimissioni post parto.

IL FENOMENO IN ITALIA
Il fenomeno si manifesta di più nelle grandi città, Milano in testa, dove c’è una maggiore propensione a denunciare il reato, questo dipende anche dal livello culturale delle donne che però, in alcuni casi, decidono di ritirare le denunce. Negli ultimi tre anni il numero delle donne che si sono rivolte ai sindacati oscilla tra le 7 mila e le 8 mila, di cui 1800 alla sola Cgil.
Ai 1800 casi di Milano si aggiungono i “1600 di Roma; 1200 di Torino, 950 di Bologna, 600 di Cagliari, 450 di Palermo.” Per Napoli non ci sono dati precisi. Lo sportello per le denunce è, infatti, commissariato. “La gravidanza – spiega il professor Vento – viene considerata dai datori di lavoro al pari di una malattia, dove a risentirne è il rendimento. Infatti, in una ipotetica valutazione in fase di colloqui, le donne con figli valgono circa 15 punti in meno rispetto a chi non ne ha.” Sono alla pari, statisticamente, le libere professioniste e le lavoratrici dipendenti.

MOBBING E TITOLO DI STUDIO
Il dato interessante riguarda il titolo di studio delle donne che subiscono il mobbing: il 50 per cento ha il diploma di maturità, il 42 per cento il diploma di laurea, il 5 per cento il diploma di scuola media e il 3 per cento quello di scuola elementare. Suddividendo ulteriormente queste cifre per ambiti lavorativi, abbiamo un 30 per cento nei servizi, 22 per cento nel commercio, 17 per cento nell’industria, 10 per cento nella pubblica amministrazione, 5 per cento rispettivamente su sanità e scuola, 4 per cento ciascuno su sport e finanza, 3 per cento agricoltura.

VERTENZE A METÀ
La maggior parte delle lavoratrici non ha il coraggio di andare avanti in una vertenza. “Non reagiscono alle strategie del datore di lavoro che agisce cercando di non lasciare tracce: le ricattano con minacce di trasferimento che rientra come clausola nel contratto firmato, spesso non letto con attenzione in fase di accordo. Altre volte le donne in gravidanza tengono nascosto il loro stato fin quando possibile, proprio perché temono il licenziamento.
In Italia abbiamo un costo del licenziamento che è il più basso di tutti i Paesi del mondo: tra Tfr (Trattamento di fine rapporto) e giorni di ferie. Abbiamo il costo più basso anche rispetto alla Cina: i nostri datori di lavoro spendono di meno di tutti gli altri Paesi.
In quanto psichiatra e criminologo, Antonio Vento, ci ha raccontato che molto spesso le donne non vogliono lasciare il lavoro o prendersi un periodo di riposo perché spaventate dalla possibilità di perdere, al rientro, il proprio posto di lavoro. “I datori di lavori che licenziano sono uomini, anche perché la maggior parte dei ruoli dirigenziali è ricoperto dagli uomini, ma esistono casi di donne mobbizzate da altre donne. Sulla qualità del comportamento non c’è nessuna differenza: tutti ormai hanno come modello di riferimento il potere.

IL SUD E LA CAMPANIA COME MODELLO IN NEGATIVO
Da questa breve analisi emerge che il fenomeno attraversa l’Italia in modo trasversale. Il Sud è molto colpito se teniamo conto della densità di popolazione rispetto al numero dei posti di lavoro. A Napoli, nel marzo del 2015, la Cgil ha aperto uno sportello interamente dedicato a queste tematiche. Lo sportello oggi è diretto da Luana di Tuoro. “Abbiamo un ufficio legale gratuito, una psicologa a sostegno dei casi violenti, con operatrici compagne della Cgil appartenenti a diverse categorie. Lo sportello si occupa di offrire assistenza in diversi campi, compreso il mobbing sul luogo di lavoro: seguo molte vertenze di episodi con dimissioni in bianco: le donne assunte in età giovane che poi decidono di avere un bambino o di creare una famiglia vengono in qualche modo obbligate a lasciare il lavoro.
Luana svela quella che potrebbe definirsi una vera e propria piaga sociale. “Il 24 per cento delle donne che hanno già avuto un bambino non riesce a tornare a lavoro a causa dell’impossibilità di conciliare i tempi professionali con quelli personali. Viviamo in una regione con pochissime strutture a sostegno delle mamme e dove il vero welfare sociale è ancora rappresentato dai nonni. Bisogna aggiungere che quando una donna rientra dalla maternità molto spesso non ha non ha più le stesse mansioni di prima, si deve reinserire come una neo-assunta.
Come ci spiega Luana è difficile ottenere dei dati aggiornati e sulla casistica incide molto anche il lavoro nero per il quale non si hanno mai notizie certe e complete. Quel che è possibile trarre dalle storie che arrivano allo sportello è che molte donne che pianificano la loro vita sul lavoro, all’improvviso, vedono sparire tutto in concomitanza con la maternità. E la riforma Fornero ha facilitato questo meccanismo concedendo ai datori di lavoro lo strumento del calo di fatturato come “scusa” o giustificazione per licenziare.
Come sindacato siamo in un momento delicato: la difesa dei diritti è difficile e ci ritroviamo a presidiare i diritti conquistati tanto tempo fa invece di andare avanti. È una stagione sindacale difensiva, non stiamo portando diritti nuovi. La crisi economica ha toccato tutti i settori in modo trasversale, dalle operaie alle dirigenti. Qui arrivano le storie più problematiche, soprattutto quelle delle donne che non hanno altri mezzi per difendersi per ragioni economiche o sociali.
I dati con i quali ci siamo confrontati mettono in evidenza un generale stato di abbandono in materia di diritti e lavoro. Non esistono controlli e norme che tutelino l’attività delle donne in ambito lavorativo, senza contare l’evidente divario esistente tra uomini e donne, a svantaggio di queste ultime, ancora in posizione di inferiorità economica e professionale. Affrontare una gravidanza oggi resta per la maggior parte dei casi un problema: economicamente e socialmente non esistono le condizioni minime per decidere di costruire una famiglia. Il pericolo di perdere il proprio posto di lavoro, faticosamente raggiunto, è reale. Così come mantenere la propria posizione all’interno dell’azienda, dell’ente o dell’ufficio.

IL FENOMENO DEL MOBBING IN ITALIA
18 per cento Nord-Est
20 per cento Nord-Ovest
21 per cento Sud
41 per cento Periferie

CASI DI DENUNCE AI SINDACATI
450 casi a Palermo
600 casi a Cagliari
950 casi a Bologna
1200 casi a Torino
1600 casi a Roma
1800 casi a Milano

MOBBING E TITOLO DI STUDIO
3 per cento Scuola elementare
5 per cento Scuola media
42 per cento Laurea
50 per cento Maturità

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