Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di Margherita, una studentessa ventitreenne di Pomarico, un piccolo paese in provincia di Matera, in Basilicata che – il 29 gennaio 2019 – è stato sconvolto da una frana che ha avuto effetti disastrosi su una parte del centro storico, compresa la quotidianità e la vita della famiglia di Margherita. «Ogni giorno ti svegli in un letto che non è il tuo, fai colazione senza poter ammirare lo splendido paesaggio che vedevi dalla tua finestra. Ogni giorno cercare quello che ti serve in una casa che non è la tua, è una sfida emotiva: sei sempre ospite», racconta.
Caro/a cittadina/o, lettore. Cari amministratori, parlamentari ed esponenti politici. Mi chiamo Margherita, sono una studentessa e ho 23 anni. Forse non conoscete questa storia, o forse sì. Inizia in Italia, inizia “giù”, in un pezzo di Sud ormai dimenticato: la Basilicata, terra del pane, la terra di Matera Capitale della Cultura 2019.
Proprio mentre Matera si vestiva da capitale, a pochi chilometri di distanza, un paesino crollava a pezzi: Pomarico. Una frana ha devastato il centro storico, 56 persone hanno dovuto abbandonare la propria casa, la propria quotidianità, i propri ricordi lì, in Corso Vittorio Emanuele. Tra quelle 56 persone ci sono anche io, con tutta la mia famiglia. Una grande famiglia di 7 persone. Non sei più una cittadina, adesso sei una sfollata: è cambiata la tua identità, senza neanche accorgertene.
Di quei giorni ricordo tutto: la paura negli occhi di tutti noi, la sofferenza di chi ha faticato tutta la vita per costruire quello che ha, la velocità con cui dovevi scegliere quelle poche cose da impacchettare e portare via perché per chissà quanto tempo non avresti visto casa, l’insicurezza e il sentirsi a pezzi.
Tra le macerie di sofferenza, però, c’era già chi era pronto a fare la sua passeggiata elettorale. “Mister Solidarietà agli Italiani e solo agli Italiani”. Non è stato l’unico a far la passeggiata, per carità. Occasioni del genere non si lasciano sfuggire, sono l’ideale per promesse e proclami.
Oggi, ad un anno e più da quel disastro, mi chiedo: vi siete dimenticati di noi? Siamo ancora in stato di emergenza? Sono ancora una sfollata? Perché da cittadina mi sento abbandonata? Perché in un intero anno – nessuno – ha mai pensato di dover dare un sostegno psicologico a tutti noi? Perché non fare un incontro mensile con amministratori, enti vari e responsabili per avere informazioni precise e puntuali su come (e se) procedono le cose? Perché guardando a quel disastro avete visto tessere elettorali e null’altro?
Sapete, per noi è difficile dimenticare, far finta di nulla. Ogni giorno ti svegli in un letto che non è il tuo, fai colazione senza poter ammirare lo splendido paesaggio che vedevi dalla tua finestra. Ogni giorno cercare quello che ti serve in una casa che non è la tua, è una sfida emotiva: sei sempre ospite.
Sono ancora qui, sono viva e con me tutta la mia famiglia. E sono grata per questo, ogni giorno. Ma non posso smettere di pensare che la nostra era una tragedia annunciata. Non posso smettere di pensare che siamo stati (e forse saremo ancora) materiale da campagna elettorale. Non posso smettere di pensare che il vero problema di un Paese che crolla a pezzi sia la totale mancanza di progettazione urbanistica e tutto ciò che ne deriva. Non posso smettere di pensare a quanto si stia perdendo di vista, nel dibattito politico, la vita delle persone.
Potrebbe essere demodé pensarlo, ma credo che la politica sia uno strumento a servizio dei cittadini, pertanto si dovrebbe preoccupare della loro vita in toto, con passione e dedizione vera. Non basta timbrare “emergenza nazionale” su qualche scartoffia. Noi siamo ancora qui, abbiamo lasciato un pezzo di cuore in quella casa.
Queste parole non vogliono essere una critica a ciò che è stato fatto, ma un invito, una provocazione a fare di più, a fare meglio ricordando di avere a che fare con persone in carne ed ossa, prima di numeri, burocrazia e programmi elettorali. L’intento di questa lettera è smuovere coscienze locali, regionali, nazionali nel considerare le persone in quanto esseri umani. Dare voce a chi in questa triste storia è stato coinvolto, direttamente o indirettamente.
Racconto tutto questo perché penso sia necessario essere consapevoli della miriade di problemi che il nostro Paese, la nostra Italia ha. Racconto tutto questo perché è un mio dovere civico e sociale. Racconto affinché nulla di questa storia finisca nel dimenticatoio, perché nulla si concluda con risposte preconfezionate. È stato difficile parlarne, raccontare quei giorni strazianti: ma penso fermamente che la conoscenza renda liberi e che «il sonno della ragione genera mostri».
Con questa consapevolezza spero che possiate aiutarmi nel far conoscere a tutti ciò che è successo il 29 gennaio 2019, a Pomarico, e far sì che qualcosa possa iniziare a cambiare.
Mi auguro che questa non diventi una delle tante pagine tristi del Sud, ma una storia di rinascita, di come da un evento catastrofico, una comunità intera, insieme al suo centro storico sia rinata. Non importa quanto lunga sia la strada, l’importante è iniziare a camminare.
Grazie a te lettore per aver letto queste poche e storte righe. Grazie a chiunque vorrà camminare con noi. Grazie.
Con immensa stima, Margherita.