#40Terremoto1980. Il 23 novembre 1980, alle ore 19:34, per un minuto e mezzo, un terremoto di magnitudo 6.9 sconvolse l’Irpinia e la Basilicata. I morti furono 2.914, i feriti 8.848, gli sfollati 280 mila.
Si racconta sempre questo, o quasi, di quella domenica di 39 anni fa.
Novanta secondi eterni per i nostri genitori e i nostri nonni, gli unici a conservare una narrazione autentica di quel sisma che ha sventrato due regioni, ha sepolto anime e ricordi, ha messo a nudo il Sud con la sua debolezza cronica e con il suo – nostro – eterno isolamento. «Ho visto morire il Sud», raccontò Alberto Moravia.
Oggi l’ennesima commemorazione delle vittime del terremoto del 1980 è divenuto un ricordo sbiadito, copiato e incollato, sulle pagine di cronaca giornalistica.
Il terremoto dell’Irpinia e della Basilicata non ha fatto tremare solo lungamente la terra. L’ha segnata per sempre. Al di là di qualsivoglia ricostruzione ha creato una diaspora culturale, ha sradicato famiglie.
Non è venuta a mancare solo la terra sotto i piedi. È venuta a mancare, d’improvviso, anche la memoria collettiva. Come polverizzata.
Da tragedia nazionale nelle prime ore, i sismografi hanno rilevato una zavorra per tutto il Meridione. Il sisma e il post-sisma hanno lasciato un’eredità drammatica. Macerie emotive e politiche.
Ed è proprio questa eredità, in dote all’Irpinia e alla Basilicata, che vogliamo raccontare, in un percorso che comincia oggi e va a ritroso fin dentro le aree industriali, vere cattedrali nel deserto, erette grazie alla legge n.219 del 14 maggio 1981 e sgretolatesi nella quasi totalità dei casi. Andremo a ritroso fin dentro i 50 mila miliardi di vecchie lire di fondi statali quantificati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti.
Un percorso di inchiesta, testimonianza e racconto che cercherà di ridisegnare i confini di quei settanta comuni quasi rasi al suolo, tra i quali Montemurro, Grumento, Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, San Mango sul Calore e Conza di Campania, che abbiamo fotografato dopo 39 anni, accorgendoci che il tempo si è fermato per davvero.