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Crotone e il miraggio delle bonifiche

La storia del sito d’interesse nazionale Crotone, Cassano e Cerchiara Calabra è una storia quasi dimenticata. Cinquecento ettari di terra e mille di mare interessati da contaminazioni industriali, tra rifiuti e discariche. Quattromila anni per una bonifica completa. Cominciamo a raccontarla con l’ingegnere chimico Vincenzo Voce, che conosce bene i veleni che si celano nel crotonese.

La società Pertusola Sud spa, con sede a Crotone, ha prodotto semilavorati e leghe di zinco fino alla sua dismissione, avventa nel 1999. A partire dal 2001 – con decreto legislativo n.468/2001 del ministero dell’Ambiente – Crotone, Cassano e Cerchiara Calabra, vengono dichiarati Siti di interesse nazionale (Sin). Da sottoporre, dunque, ad attività di bonifica urgente. In particolare, si tratta di aree industriali dismesse. Di una fascia costiera contaminata da smaltimento abusivo di rifiuti industriali e discariche abusive. Nell’area insistono anche l’ex Fosfotec, due discariche a mare – Armeria e Farina di Trappeto – e l’area ex Agricoltura. I terreni rientrano a pieno titolo nel “Progetto operativo di bonifica del decreto legislativo n.152/2006, aree Syndial-Sin di Crotone-Stabilimenti ex Pertusola”.
Siamo di fronte ad una vera e propria bomba ecologica”, esordisce l’ingegnere Vincenzo Voce, che da anni supporta, a titolo professionale gratuito, i cittadini del Comitato “La Collina dei Veleni” impegnati in una battaglia quotidiana, spesso solitaria, per ottenere la bonifica dei siti inquinati. “Si pensi che dei 48 ettari di terreno del sito ex Pertusola, 525 mila tonnellate sono assimilabili a rifiuti pericolosi e 450 mila tonnellate a rifiuti non pericolosi. Gli scarti della lavorazione dello zinco più pericolosi sono le ferriti di zinco, che venivano prodotte nel processo di lisciviazione del calcinato (ossido di zinco), a sua volta ottenuto dall’arrostimento della blenda (solfuro di zinco). Le ferriti di zinco sono classificate come rifiuti pericolosi. Questi scarti, sino al 1972, sono stati stoccati nella zona a nord dello stabilimento. Solo dopo questa data sono stati trattati nel forno cubilot, per il recupero di metalli pregiati come indio e germanio”. Nel forno cubilot le ferriti venivano trasformate ad altissime temperature in sostanze non pericolose con matrice vetrosa. Impiegate inizialmente come materiale per sabbiare e, successivamente, come prodotto di base per la produzione di un conglomerato idraulico catalizzato (Cic), costituito per il 50 per cento da scoria di cubilot, per il 12 per cento da loppa di altoforno, per il 37 per cento da sabbia silicea e per l’1 per cento da catalizzatore basico. “In questi terreni sono anche presenti metalli pesanti e loro derivati estremamente tossici. Come il cadmio, classificato come cancerogeno di categoria I dall’Agenzia internazionale per le ricerche sul cancro. Il suo bersaglio principale sono i reni”.

ARSENICO OLTRE I LIMITI
L’arsenico, sia nella sua forma metallica, sia nella forma inorganica, é anch’esso classificato come cancerogeno e colpisce vescica e polmoni. Queste concentrazioni nei terreni superano di gran lunga i valori delle Csr stabiliti dall’analisi di rischio. Forse non è un caso che dalle nostre parti ci siano numerosi casi di tumori riconducibili a queste sostanze. Per non parlare dell’effetto sinergico tra questi ed altri metalli, come il piombo, che rendono estremamente complesso il quadro epidemiologico”. Solo di recente la Syndial spa ha presentato un piano di bonifica del sito. L’ultimo di una serie di progetti “ridicoli, con cui la società tenta di eludere la reale bonifica del sito sin dal 2008”. L’ingegnere Voce non ha alcun dubbio. Quando si scoprì che nelle due discariche a mare erano presenti anche sostanze radioattive, la società chiese l’autorizzazione a costruire una discarica di servizio per rifiuti pericolosi. Dove avrebbe trasferito i rifiuti provenienti dalle due discariche. In una zona considerata di interesse naturalistico. Il progetto fu bocciato. Ma successivamente Syndial ci ha riprovato chiedendo l’autorizzazione per la costruzione di un impianto di confinamento dei rifiuti provenienti dalle discariche del fronte mare. Da ubicare proprio nel sito ex Pertusola. “Una vera e propria collina dei veleni. Ecco perché ci siamo opposti con forza, tanto da impedire l’autorizzazione a questo progetto deleterio. Dunque quei rifiuti saranno trasferiti altrove. Questa per noi è una prima importante vittoria.

LA BONIFICA DEL SITO È UN PASSAGGIO NECESSARIO
L’attuale progetto di bonifica presentato da Syndial spa prevede, in buona sostanza, una restituzione di aree ad uso industriale. “Su 5 ettari è prevista la fitorimediazione, ovvero la piantumazione di alcuni alberi che estraggono i metalli pesanti presenti nel suolo. Poi c’è la rimediazione elettrocinetica, che sfrutta la mobilità degli ioni quando questi sono sottoposti a un campo elettrico. Ma, in verità, è una procedura di dubbia efficacia sull’arsenico. Su 2 ettari di terreno è inoltre previsto lo scotico superficiale dei suoli. Mentre per la restante area si parla di messa in sicurezza permanente. Ciò vuol dire che la maggior parte di quei suoli resterà, di fatto, confinata in eterno. L’aspetto più inquietante è che secondo il decreto legislativo n.152/2006, la messa in sicurezza permanente è prevista “nei casi in cui, nei siti non interessati da attività produttive in esercizio, non sia possibile procedere alla rimozione degli inquinanti pur applicando le migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili”. Dunque nel caso del sito dell’ex Pertusola, in cui Syndial prevede la restituzione delle aree ad uso industriale, non ha senso parlare di messa in sicurezza permanente. Il sito sarà infatti destinato ad attività produttive in esercizio. Inoltre, i metalli possono essere rimossi attraverso le tecnologie disponibili. Come del resto si prevede di fare in altre aree con le tecniche di fitorimediazione e di EKRT. Intanto, il 3 febbraio 2017 il ministero dell’Ambiente ha concesso la bonifica del primo lotto dell’area dell’ex Agricoltura e dello stabilimento ex Pertusola. Da realizzarsi tramite fitorimediazione, rimediazione elettrocinetica e attenuazione naturale. “Noi ci aspettiamo che Syndial riveda il progetto. Il problema è che la società dichiara che applicando la prima tecnica ci vorranno 15-20 anni per la bonifica. Ma, in realtà, ce ne vorranno almeno 4000, dato che la tecnica dipende molto dalle specie di pianta utilizzate e dalla quantità di contaminante presente. Una vera beffa. Noi vogliamo la certezza che tra vent’anni la bonifica si sia conclusa efficacemente. In più Syndial fa marcia indietro rispetto al progetto iniziale, sostenendo che la rimediazione elettrocinetica è inefficace e che la fitorimediazione permette di rimuovere solo i metalli biodisponibili. Se si fa una bonifica devono essere rimossi tutti i rifiuti pericolosi, non solo quelli biodisponibili. Per questo motivo abbiamo presentato ricorso al Tar contro la decisione del ministero di autorizzare la bonifica del primo lotto. Hanno aderito al ricorso tanti cittadini, almeno 600, e numerose sigle sindacali e di categoria”. Quello che serve per dare un segnale forte.

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Autore:

Responsabile del Comitato Legamjonici di Taranto. Nel 2010 consulente di parte nell’inchiesta “Ambiente svenduto” sull’Ilva.